lunedì 12 dicembre 2011

Squarci

Il buco nell’ozono e la sua rimozione. Il vero baco del millennio è il buco nell’ozono, uno strappo che si sta allargando sempre più nella sottile pellicola protettiva dell’atmosfera, a causa delle nostre emissioni inquinanti. Al momento sull’Antartide ha raggiunto le dimensioni dell’intero Nordamerica.

Il primo oggetto di rimozione nella coscienza di noi moderni homini sapientes sapientes è proprio questo piccolo, progressivo squarcio nel tessuto gassoso che ci protegge, noi e tutte le specie viventi, dall’arroventarsi del clima. Intanto si cominciano a scoprire anche altre conseguenze irrimediabili della predazione che il genere umano in pieno sviluppo demografico sta portando avanti a ritmo industriale accelerato in ogni dove; conseguenze cui si cerca tuttavia di non pensare, come quella della sparizione di moltissimi tipi di specie e di risorse, o come quella dell’impossibile smaltimento di vari rifiuti. Madre natura, non più madre, ma ridotta ormai ad ancella, a schiava da spremere il più possibile e poi buttare via, non riesce ad assorbire e a trasformare le varie sostanze tossiche o meno tossiche in qualcosa di buono per qualcuno. La velocità con cui lo stravolgimento della faccia della Terra avviene, lo sviluppo con la relativa crescita demografica, non le danno il tempo di abituarsi. E’ come una vecchia serva che lavora ventiquattr’ore su ventiquattro e non ce la fa più a servirci con la dovuta sollecitudine, anzi qualche volta si ribella, si ferma… ma quella muore…?!
Paradossalmente c’è stato anche qualche opinionista o psudoscienziato vaneggiante che per la fine del mondo ha ipotizzato questa soluzione: il lancio nello spazio di qualche sopravvissuto che colonizzi altri pianeti; il nostro possiamo tranquillamente lasciarlo andare in malora, ce ne sono tanti…!

Il calo delle riserve di oro nero. Nonostante il disastroso impatto ambientale, il petrolio è il carburante che ha consentito il vertiginoso sviluppo di tutti i Paesi del mondo. Le superpotenze emergenti, come Cina e India, oltre alla numero uno, gli Stati Uniti, ne hanno un bisogno vitale e non firmano accordi, come quello di Kyoto, che possano frenare lo sviluppo per contenere danni universali. Gli Usa sono il maggior consumatore al mondo di petrolio, ma dagli anni ’60 le loro riserve si sono molto ridimensionate, portando alla scelta strategica dopo il 2000 di rifornirsi all’estero per poter contare sulle quantità interne in caso di emergenza. Il Medio Oriente invece possiede il 65% delle riserve mondiali; in particolare l’Irak ne possiede una quantità superiore a quelle saudite o appena inferiore, non tutte sfruttate.

Fuochi su Baghdad. Dopo l’uscita di scena dell’antagonista sovietico, gli Usa sono liberi d’intervenire più disinvoltamente per mantenere gli equilibri a proprio favore nella regione mediorientale, impedendo per esempio all’Irak, che nutre ambizioni espansionistiche, di accrescere la propria potenza e autonomia. La guerra del golfo contro l’Irak risale al 1990-91 e vede l’impiego di bombardamenti massicci e di armi non convenzionali contro una difesa d’altri tempi. Nel solo primo giorno di bombardamenti vengono gettate 20000 tonnellate di esplosivo. I morti sono circa 300000 nel corso di un conflitto di sei mesi.

La guerra in Europa. Ma per il momento non viene reputata necessaria una vera e propria invasione nello stato irakeno, che tornerà invece utile più tardi, nel 2003. Che cosa sarà cambiato? Con l’apertura di nuovi canali e la riorganizzazione della rete degli oleodotti in area danubiana, l’Europa cercava una via d’approvvigionamento diretto di petrolio e gas naturale. Il successo della sua moneta inoltre rischiava di vederla preferire dai Paesi arabi nelle transazioni internazionali (chi voleva vendere oil for euro era per esempio l’Irak di Saddam). Con i bombardamenti Nato della Bosnia e dei ponti della Serbia vengono ridimensionati anche i progetti europei di gestione più autonoma del trasporto e dell’acquisto di petrolio.
I conflitti interetnici scoppiati con la dissoluzione dell’ex Iugoslavia, che portarono alla formazione di nuovi stati indipendenti, durarono nella fase acuta fra il 1991 e il 1995, causarono circa 200000 morti e milioni di profughi. Furono nutriti da odi atavici, contrapposizioni religiose, faide e violenze di ogni tipo, tali da ricordare alcuni eccessi della seconda guerra mondiale, come campi di concentramento, fosse comuni, pulizia etnica. Uno degli episodi più cruenti avvenne a Srebenica (luglio 1995), in Bosnia orientale, ora Repubblica serba, in cui furono trucidati per rappresaglia dall’esercito serbo-bosniaco circa 7800 (qualche associazione parla di 10000) musulmani bosniaci maschi di età compresa fra l’adolescenza e la vecchiaia. I caschi blu dell’Onu presenti sul territorio non intervennero.

Lo skyline spezzato. Nel settembre 2001 la frangia più agguerrita di una borghesia araba ormai potente, arricchitasi col commercio dell’oro nero, l’organizzazione terroristica saudita denominata Al Quaida, riesce ad assestare un colpo al cuore dell’impero americano. In un plurimo attacco kamikaze senza precedenti che comprende il dirottamento di quattro aerei, viene colpito l’edificio del Pentagono in Virginia, ma soprattutto crollano i due più importanti grattacieli del centro commerciale e finanziario di New York: oltre al danno materiale e d’immagine incalcolabile, muoiono quasi 3000 persone. L’azione terroristica in grande stile offre la giustificazione morale per ritornare con l’esercito in Medio Oriente, dove le guerre si succedono da quel momento senza tregua l’una all’altra. Si comincia con l’Afghanistan (2001), accusato di ospitare campi di addestramento di terroristi, ma ci si accorge che in realtà torna anche utile invadere l’Irak, il cui destino era rimasto in sospeso. L’attacco all’Irak riprende nel 2003 senza bisogno di motivazioni molto dettagliate. L’accusa di fabbricare armi di distruzione di massa è infatti smentita dagli osservatori internazionali, ma poco importa ai belligeranti Stati Uniti, Regno unito ed europei al seguito. Per reazione attentati di matrice islamica vengono compiuti in tutto il mondo, da quello alla stazione di Atocha a Madrid (2004) a quello nella metropolitana di Londra (2005) al recente blitz terroristico a Mumbay, in India (novembre 2008). Si fa rovente il conflitto nell’area mediorientale, in cui s’intrecciano varie micce: il controllo diretto o indiretto di estrazione, lavorazione e vendita del prezioso oro nero, diversità culturali, antiche contrapposizioni religiose. Il risentimento dovuto a secoli di colonizzazione o a decenni di controllo economico da parte delle multinazionali straniere, perlopiù angloamericane, si è ammantato di motivazioni religiose che, nei casi più estremi, nel vasto mondo islamico fa appello alla guerra santa e al martirio nel corso di attentati che possano creare anche il minimo disturbo agli eserciti occupanti o agli stranieri in quanto tali.
L’ostilità delle popolazioni vinte e il dissociarsi di vari alleati dalla guerra complica le operazioni militari, che in Irak s’impantanano. Le cifre delle perdite umane sono abbastanza precise per i militari: si parla di 4000 soldati americani, di 4000 soldati irakeni nella prima fase del conflitto; per i civili periti in atti di guerra o attentati o lotte interne tra le fazioni locali si parla invece di un numero oscillante fra i 600000 e più di un milione.
Più in generale le vittime civili dei conflitti nel mondo dal 1945 a oggi hanno superato i 20 milioni e costituiscono il 90% dei caduti. Sono aumentati in misura esponenziale gli “effetti collaterali”. Di fronte all’enorme peso che può avere in futuro l’aumento demografico di alcuni Paesi rispetto ad altri a crescita zero, purtroppo non è difficile immaginare che gli effetti collaterali potrebbero non essere più del tutto dovuti al caso.

Si rompono gli occhiali rosa. Il sistema capitalistico, oltre a saccheggiare selvaggiamente ogni risorsa, attraversa periodicamente crisi profonde o meno profonde. Pare che quella appena iniziata per errori di calcolo di vari gruppi finanziari statunitensi, sia la peggiore dal 1929 e di portata mondiale. Negli ultimi mesi del 2008 si sono rotti gli occhiali rosa che ci consentivano di vedere tutt’intorno un mercato in continua fioritura. Ha cominciato a soffiare anche in Europa un vento gelido sulla lunga primavera di un consumismo gioioso e inarrestabile. Ai lavoratori della Motorola di Torino, per esempio, è capitato che un dirigente americano, arrivato in volo e ripartito nel giro di un’ora, avesse il tempo di comunicare in maniera sintetica ma efficace che lo stabilimento a breve sarebbe stato chiuso: pare che 370 persone restino senza neppure la cassa integrazione ordinaria. In Piemonte si parla di almeno un quarto delle grandi imprese a rischio. Sono già in sofferenza anche il settore automobilistico e tessile di Lombardia e Veneto.

Massacri. Le guerre di oggi si presentano spesso come attacchi improvvisi per oscuri motivi. Vengono condotte da superpotenze con armi sofisticate e potentissime su popolazioni inermi accusate di essere ribelli o di ospitare gruppi di rivoltosi nascosti nelle loro case. Così per esempio il bombardamento statunitense del gennaio 2007 su interi villaggi della Somalia meridionale sospettati di ospitare basi di terroristi di Al Quaida. I civili morti furono più di una sessantina.
Ma quando l’occupazione deve essere stabile e duratura, le faccende di guerra possono diventare interminabili, come in Afghanistan o in Irak. Qui il lungo capitolo della guerra, iniziata nel 2003 col significativo nome di “Guerra infinita”, ha visto protagonista una resistenza interna che non accenna a morire.
In area mediorientale si muove anche l’esercito d’Israele, stretto alleato americano, che periodicamente effettua rapide sortite al di fuori dei suoi confini, idealmente impegnato in un immane tentativo di autodifesa contro vari Paesi islamici, dichiaratamente o implicitamente nemici. Anche questo conflitto appare infinito, poiché continuamente rilanciato da violente aggressioni nei confronti dei territori circostanti. Nel luglio 2006, come risposta al sequestro (accompagnato dal lancio di alcuni razzi su villaggi) di due soldati israeliani in perlustrazione sul confine libanese e all’omicidio di tre, in poco più di trenta giorni l’esercito della stella di David invade il Libano producendo migliaia di morti e una distruzione pressoché totale. 

Il sacrificio di Gaza. L’ultimo grave episodio che vede come protagonista l’esercito israeliano prende di mira la striscia di Gaza, territorio palestinese ridotto ai minimi termini e cinto d’assedio dall’espansionismo israeliano. Da anni la striscia è sottoposta a embargo dalle potenze del mondo poiché colpevole di aver regolarmente eletto un partito integralista islamico irriducibile come legittimo rappresentante. Improvvisamente la mattina di un sabato di fine dicembre 2009 comincia sui palazzi della capitale popolosissima una pioggia di massicci bombardamenti, i quali nel giro di una ventina di giorni, senza tregua, non risparmiano nessuno, nemmeno case isolate o quartieri periferici, sedi dell’Onu, ospedali, ambulanze, moschee. L’escalation della violenza è rapida e si fa anche qui fin da subito uso di armi non convenzionali, come cortine fumogene al fosforo nella fase di penetrazione via terra. I valichi e i confini vengono subito chiusi dai Paesi circostanti timorosi di un allargamento del conflitto, con la conseguenza che migliaia di profughi chiusi in trappola vagano da una parte all’altra senza trovare una via d’uscita come dannati nell’inferno dantesco presi in una bufera che non finisce mai, mentre feriti e morti restano sotto le macerie e gli ospedali non hanno più spazio né medicine. In una ventina di giorni si contano 1300 morti di cui 700 bambini; una catastrofe umanitaria in cui le organizzazioni internazionali faticano a muovere i primi passi. Nonostante il divieto d’accesso alla stampa, filtrano attraverso la rete e arrivano sui giornali di tutto il mondo terribili immagini di sangue.

Ebrei e israeliani: immagini a confronto. Nella sua fase espansionistica in Terra santa Israele riaccende in tutto il mondo l’antisemitismo. Alle antiche motivazioni superstiziose e irrazionali si aggiunge ora l’accusa d’imperialismo e colonizzazione. Gli ebrei, sempre perseguitati nella storia, sarebbero ora passati dalla parte dei persecutori. Che cosa è cambiato?
Se una volta gli ebrei erano semplicemente uomini donne e bambini considerati elementi di debolezza nell’ideologia nazista, come gli zingari, gli omosessuali, i disabili, e sottoposti finché possibile a coscienzioso sfruttamento, infine uccisi, una volta spremuti fino all’osso o per puri motivi irrazionali (vittime che non costituivano una minaccia per nessun sistema, non si facevano portavoce di nessun desiderio eversivo, subirono lo sterminio senza ribellarsi se non in rarissimi, disperati tentativi di difesa naufragati nel nulla), oggi invece un buon numero di loro si sono costituiti in uno stato, ovviamente con l’appoggio di una superpotenza che li sostiene per evidenti motivi di politica estera. Come tutti gli stati nazionali, esso non è innocente e, nei suoi rapporti con gli altri stati, segue logiche di convenienza, alleanza, calcolo, aggressione, espansione. La differenza è dunque questa fra gli ebrei perseguitati e gli israeliani persecutori: la ragion di stato. I primi, di fronte alle angherie e alle superstizioni fuggirono o subirono maltrattamenti fino alla morte; i secondi, posti nella condizione di costruirsi una patria per difendersi, cercano di fortificarla il più possibile fino a perseguire obiettivi di allargamento e potenziamento ai danni dei vicini più deboli.

Il nostro piccolo schermo. Durante una trasmissione della televisione italiana, Annozero, molte immagini del massacro di Gaza arrivano nel salotto di tranquilli italiani abituati alla tradizionale copertura televisiva dei fatti. La proiezione del filmato di sangue straccia il velo di tutte le possibili parole o giustificazioni o precisazioni che si possano imbastire alla bell’e meglio. A caldo e in presenza anche di protagonisti coinvolti da anni nella questione israelo-palestinese non si riesce a effettuare una ragionevole rielaborazione degli eventi. Una giornalista, irritata dal clima caotico e molto nervoso della trasmissione, esce dallo studio accusando il conduttore di partigianeria. Il giorno dopo s’invoca pressoché da ogni parte la censura.

Manifestazioni-funerali. Dopo la sconfitta storica del sistema sovietico a fine anni ‘80, la Sinistra allo sbando (chiamo così, genericamente, quella parte del mondo politico che dovrebbe elaborare, almeno teoricamente, un’alternativa allo stato delle cose presenti) si frantuma in formazioni o correnti più o meno incerte e compromesse, poco incisive nelle sue rivendicazioni. Intanto i salari perdono potere, così come il divario globale fra detentori di ricchezza e sfruttati aumenta anziché diminuire. Anche l’armamentario bellico usato negli scontri fra popoli o fra classi rispecchia la disparità del confronto: da una parte armi di distruzione di massa d’inaudita potenza, dall’altra le mani nude dell’Intifada; da una parte poliziotti armati che caricano la folla con le camionette, dall’altra cittadini che sventolano pacifiche bandiere come nel G8 di Genova. Il capitalismo conserva le sue contraddizioni e le sue crisi senza che si riesca a pensare seriamente e concretamente a una via d’uscita.
Nelle ultime manifestazioni di solidarietà per le vittime di Gaza non si vedono bandiere rosse. Sventolano i simboli della rivolta o del risorgimento arabo; il corteo-fiume, ibrido di razze, colori, simboli diversi, sia a Milano che a Roma sfocia in una preghiera islamica. Circondati dalle foto dei morti bambini, gli uomini tutti inginocchiati per terra, pare di trovarsi in mezzo a un oceanico funerale.

I due poliziotti ovvero la speranza del mondo. Difficile evitare il sospetto che l’alleato americano non fosse informato dell’attacco israeliano a Gaza; prevedibile invece che questo fosse già concordato da tempo e sia stato programmato proprio nella fase di transizione da una presidenza all’altra, in una fase di massima deresponsabilizzazione, di vacanza del potere centrale. Probabilmente è stato previsto che gli Stati Uniti, dovendo concentrarsi sui problemi economici interni, siano costretti nei prossimi anni a cercare una tregua sul fronte mediorientale. Si è lasciata ai falchi d’Israele la mano libera di distruggere il partito palestinese più irriducibile o d’indebolirlo fortemente per cercare poi un accordo coi moderati. Il presidente degli Stati Uniti uscente, già caduto in disgrazia nell’opinione pubblica a causa dell’estenuante e criticato intervento in Irak, si addossa anche l’ennesima nefandezza di una guerra lampo a Gaza, fatta sostanzialmente sul corpo di una popolazione affamata e di bambini inermi, mentre il fuoco cessa proprio alla vigilia dell’insediamento del nuovo presidente, che può fare la bella figura di tendere la mano della pace. E’ un po’ come la storia dei due poliziotti, quello buono e quello cattivo: quello cattivo ti massacra di botte, poi arriva quello buono che ti porge un bicchiere d’acqua.
Ma è solo un sospetto naturalmente.


(25-1-09, sito del Primo amore)

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