mercoledì 12 dicembre 2018

Esempi di cammino sociale e turismo sostenibile

Intervista a Maria Luisa Guidi


Secondo il saggio sull'età del turismo di Marco d'Eramo Il selfie del mondo (Feltrinelli, Milano 2017) il turismo è la prima industria del pianeta nel secolo che stiamo vivendo. E' un'industria pesante che muove i capitali e le masse, produce ricchezza ma anche consumo di suolo e inquinamento.
Il cammino sociale o social walking può offrire un'alternativa a forme di turismo più distruttive. A questo proposito ho intervistato Maria Luisa Guidi, membro di Repubblica nomade e di altre associazioni, che ha attraversato a piedi anche vasti territori, lanciando in varie occasioni un messaggio ecologista, sociale e politico.

R  Ciao, Maria Luisa, a inizio estate hai fatto un lungo percorso a piedi con un gruppo di camminatori: dalla Puglia alla Bosnia attraverso la Grecìa salentina e la Grecia. Da dove siete partiti esattamente e dove siete arrivati?

M  Sono partita con la mia cara amica di Genova Laura Cignoli il 24 maggio 2018 con un treno notturno che da Milano Centrale ci ha depositato a Bari Centrale dove abbiamo incontrato un altro amico, Alberto Papi di Livorno. Ci siamo così incamminati sulla “Via Francigena del Sud” con l’obiettivo di arrivare a Lecce il 1° giugno per incontrare i compagni di Repubblica nomade, circa cinquanta persone, con i quali ci siamo recati, in treno, a Melpignano che è uno dei 9 comuni raggruppati nella Grecìa salentina, ossia il territorio nel quale si parla un dialetto denominato griko direttamente derivato dalla lingua greca ma scritto in caratteri latini. Abbiamo camminato per questo territorio visitando paesi e monumenti molto belli ed entrando in contatto con le realtà locali; me ne vengono in mente due: il Festival dell’inutile al Castello di Corigliano d’Otranto e la Chiesa di Santo Stefano a Soleto. Abbiamo poi raggiunto a piedi la stupenda Lecce e da lì siamo andati in treno a Brindisi, dove alla sera del 4 giugno ci siamo imbarcati per il porto greco di Igoumenitsa, da dove abbiamo raggiunto Delphi, luogo d'inizio della parte greca del cammino. Qui, per per prima cosa, ci siamo recati all’impressionante sito archeologico, dove abbiamo interrogato l’oracolo ponendo questa domanda: che fine farà l’Europa? Da lì abbiamo camminato sino ad Atene passando in luoghi storici molto importanti, per esempio Tebe e Eleufesina. Il percorso è stato bellissimo, molto agreste e punteggiato da piccoli centri. Non è stato facile il contatto con le realtà locali soprattutto per le difficoltà linguistiche. Nei paesi agricoli più remoti gli abitanti erano soprattutto persone anziane, mentre una cosa che ho notato è stato il fatto che abbiamo incontrato diverse persone che parlavano l’italiano perché avevano fatto l’università in Italia (mi vengono in mente gli incontri con una farmacista, un veterinario e un medico). Siamo poi rimasti quattro giorni ad Atene, dove siamo stati ospitati in una chiesa armena in cui si dava asilo anche a dei rifugiati siriani. Quotidianamente abbiamo camminato attraverso la città recandoci in tre realtà nate e funzionanti a causa della crisi: l’hotel occupato City Plaza Atene, un ristorante solidale nei pressi dell’Università di Atene e l’ambulatorio sociale e solidale di Elleniko. 

R  All’arrivo in Bosnia che ricorrenza veniva celebrata?

mercoledì 28 novembre 2018

Una scrittrice ingiustamente dimenticata: Livia De Stefani

Caduta nel dimenticatoio per più di cinquant'anni, autrice di un racconto sperimentale fra i più riusciti del dopoguerra, Viaggio di una sconosciuta, mai ristampato fra il 1963 e il 2018, viene finalmente riscoperta dalle edizioni Cliquot con una raccolta di racconti e poesie che prende il nome appunto dal testo sunnominato (Roma 2018).
Scrive Giulia Caminito nell’introduzione che Livia De Stefani ha una scrittura “articolata e sperimentale” e “una capacità di usare la lingua e le immagini che ogni nuovo autore contemporaneo dovrebbe avere”.
Si tratta di un'autrice che ha il gusto di sperimentare e non lo fa astrattamente o freddamente come altri autori degli anni Sessanta bensì mettendosi in relazione empatica coi drammi umani, adeguando l'espressività o la duttilità della sintassi ai sentimenti forti di angoscia, disperazione, frustrazione, impotenza. Il viaggio della sconosciuta è una camminata per Roma di una diciottenne sedotta e abbandonata, che porta in una valigia per chilometri sotto il sole d'agosto, indebolita e mezzo dissanguata dal parto fatto in casa da sola di nascosto, il corpicino del bimbo che ha messo al mondo come "le pecore, le cavalle" e soffocato sul nascere. Al bimbo concepito con un bellimbusto arrogante che l'ha ingannata, offesa e umiliata fintanto che è rimasto con lei, si rivolge ancora dolcemente, fantasticando come avrebbe potuto essere. Riuscirà a liberarsi del peso della fatica e della colpa solo quando giungerà al fiume e s'inabisserà col suo piccino, "per non lasciarlo solo, in quel buio". Fino a quel momento non mancano spaventi, rimorsi, brutti ricordi di violenze subite quasi da tutte le persone che la circondano, compreso il molestatore che la segue sperando di trarne qualche vantaggio sessuale, intuito il suo stato di grave difficoltà. Poiché questi s'accorge che la ragazza non vuole mollare la valigia, l'accompagna e ricatta fino a che non riesce a ottenere un rapporto sessuale da lei che pure aveva cercato di allontanarlo in ogni modo. 
Nella narrazione si alternano a stretto giro di frase la prima e la terza persona, in uno scambio serrato che mette a fuoco ora l'interiorità alterata e confusa della protagonista ora il paesaggio urbano deserto sotto un sole schiacciante, le comparse dei passanti che non capiscono la situazione, i flashback sul mondo contadino di provenienza, sulla pesantezza del lavoro a servizio di una famiglia agiata e sulla storia d'amore col seduttore prepotente. I tempi verbali cambiano in maniera poco realistica e talvolta passato e presente sembrano fusi insieme. La situazione della ragazza risulta ancora più schiacciata in un destino senza  via uscita.
Lo stile è talmente vicino a noi che mi ha ricordato Schooling di Heather McGowan (traduzione italiana nell'edizione Nutrimenti, Roma 2007), una giovane scrittrice sperimentale. Lì il flusso di coscienza interrotto dall'osservazione dei dettagli del mondo esterno in terza persona mostra brillantemente la lezione joyciana.



venerdì 23 novembre 2018

Una poesia di Antonella Doria

Millant'anni di corruzione...

Da Metro Polis


Correva l'età dell'oro...
Correvano duchi cavalieri valvassini
e paolotti
Correva ciclone complicità
compiacenze   connessioni
(palla al centro)   la Città
moda modale   tuttadabere
di questo grande pappamondo
la Città
illuminata   maggioranza
silenziosa   paludosa...
Imbuti d'oro   mani
marmellata    appiccicata
d'unguenti   invischiata
infetta
balsami blasfèmi
fetòre
esala   il pentolame
malaffare

Da Millantanni, edizioni del Verri, Milano 2015

martedì 9 ottobre 2018

Intervista a Viola Lo Moro della libreria Tuba di Roma


Viola è una delle organizzatrici di Inquiete, festival di scrittrici a Roma, al suo secondo anno.


In una giornata ventosa, mutevole, che si addice al titolo di questo festival di scritture, venerdì 5 ottobre 2018, domando a Viola…
-          Perché Inquiete?
-          L’inquietudine è la condizione generatrice sia della scrittura sia della lettura. E’ un momento generatore di possibilità. Il termine ‘inquiete’ fa riferimento all’irrequietezza ma contiene in sé anche la quiete. Si può leggere pure così: in-quiete. La quiete non è al di fuori del discorso. E’ uno degli esiti possibili.
-          Mi pare che abbiate cercato di mantenere, come l’anno scorso, una certa attenzione alla varietà degli editori, grandi, medi e piccoli. Accanto a Mondadori ed Einaudi compaiono anche Chiarelettere, definito medio, o Jacobelli, piccolo.
-          C’è molta Einaudi, ce ne siamo accorte strada facendo… Sì, comunque abbiamo cercato di considerare anche i medi e i piccoli. La questione dei medi editori è che spesso sono assorbiti dai grandi e fanno parte pure loro di grandi gruppi. In ogni caso abbiamo cercato di compensare la preponderanza dei medio-grandi con tre sezioni dedicate alle esordienti. La scelta e la preparazione dei momenti incentrati sugli esordi è avvenuta grazie alla collaborazione fra SIL (Società Italiana delle Letterate) e la libreria Tuba.

sabato 29 settembre 2018

Perché ancora flusso di coscienza

In un'epoca di scritture composte e conformi il flusso di coscienza può rappresentare uno spostamento da limiti troppo rigidi, da consuetudini che stanno strette, un modo per non arretrare di fronte all'indisciplinato, al molteplice, al contraddittorio, all'inconsapevole.

sabato 1 settembre 2018

Chi scrive ha la mano che trema

Lo dice Dante nel Paradiso (canto XIII).
Come si fa a essere sicuri di se stessi?

domenica 1 luglio 2018

Trame forti

Per fortuna non esiste soltanto lo storytelling convenzionale, privo di sostanza. Capita ancora d'imbattersi in storie che hanno una loro ragion d'essere.
Dopo aver letto alcuni romanzi di scrittrici contemporanee (per citarne alcuni, La Mennulara di Simonetta Agnello Hornby del 2003, Accabadora di Michela Murgia del 2009, L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio del 2017) mi sono sentita riconfortata. La trama è densa e profonda; s'intuisce che viene da un'esperienza provata o sentita molto vicina, non raccontata così per dire, tanto per vendere pagine. Queste narrazioni dimostrano una loro necessità. Chiamiamolo nucleo emotivo, chiamiamolo pathos: qui qualcosa da dire c'era e premeva.
Una trama forte è diversa dal semplice storytelling d'intrattenimento. Uno delle ragioni è non sminuisce i grandi temi della morte, dei sentimenti, della malattia. Riesce a porsi al livello dei suoi argomenti.
Grazie Simonetta, Michela e Donatella, di averci donato figure vive e interiormente ricche come la Mennulara, e Adriana, la sorella dell'Arminuta, o dell'antica sapienza dell'Accabadora, ultima madre. 


venerdì 22 giugno 2018

Lettura di una poesia di Christian Tito

Dalla raccolta Ai nuovi nati, Fiori di Torchio, Seregno 2016

Ho tolto il relitto dal giardino, mamma
impediva all'erba di crescere

questa è la mia casa
qui ci sono i miei figli

ho aperto il cancello e l'ho lasciato andare

E' difficile costruire un cancello,sai?
Ancora più che metterci dietro una casa
che sia la tua casa

senza lavoro non c'è mutuo
ma per questa mia casa
c'è voluto un muto lavoro

è stato quello
che mi ha insegnato a parlare.



La poesia nasce da un momento di sollievo perché l'io del poeta pare essersi liberato di un peso: il relitto che impediva addirittura all'erba di crescere non c'è più, l'io narrante ha forse trovato il modo di metterlo fuori dal cancello ("lasciato andare" è ben detto poiché allude anche a una vita e volontà propria che il relitto ancora possiede). 
Il cancello inizialmente viene mostrato aperto, ma nei versi successivi la situazione sembra ribaltata: il cancello acquista valore per la sua funzione difensiva per casa e figli (il relitto potrebbe anche tornare indietro? qualche altra minaccia potrebbe profilarsi all'orizzonte?). Il cancello passa in primo piano rispetto alla casa stessa, il che fa pensare che la posizione difensiva per l'autore sia molto importante, insomma sia la sua posizione, con un cancello difficile da costruire, una difesa che gli si presenta difficile giorno per giorno.
La poesia aperta dalla leggerezza di quel cancello che si apre e di quella cosa pesante in giardino che esce come in volo, nella seconda parte è piegata da un senso di pesantezza, veicolato dal tema del lavoro, del mutuo, delle fatiche quotidiane.

domenica 10 giugno 2018

Il "Ventriloquio" è un geranio

Il mio "Ventriloquio della crisi" somiglia a un geranio, fiore celebrato da Quasimodo. Umile, ma resistente e tenace, forse simbolo di un ottimismo della volontà.

martedì 15 maggio 2018

Una poesia di Mariano Baino

otto jazz club

jazz - o la nota che non c'entra niente
con la nota di prima e quella di dopo.
fa un riff il gatto, arriffa pure il topo,
botta e risposta, permanentemente.

raddoppi cambi intoppi della mente,
il senso del silenzio il corpo il nodo
di note sottintese, il senza scopo
di quell'attacco uscito rilucente

dal nulla - ostico jazz, arcimagìa
dal pianoforte, a sprizzo, in una scia
assurda e blu di tromba, che perdura

- sa il sax una gentile scortesia,
respiro circolare e un'eresia
che vuole il mondo vivo a dismisura.

(dalla raccolta Prova d'inchiostro e altri sonetti, Aragno, Torino 2017)

venerdì 20 aprile 2018

Chi balla sul tetto con le infermiere?

Brano tratto da Ventriloquio della crisi pubblicato su Nazione Indiana


"Ragazzi, volete sapere l'ultima?"
"Be'… ragazzi… adesso non esageriamo…."
"La notizia merita un sussulto di entusiasmo e di ringiovanimento. Ragazzi, udite udite: le infermiere sono salite sul tetto! Stanno protestando contro le minacce di licenziamento!"
"Stai scherzando? Qualcuno ha parlato di licenziamenti?"
"Sì. Girava voce di prossimi tagli del personale."
"Non si sapeva quando però… Era un'ipotesi…"
"Recentemente è diventata più chiara, è stata formalmente espressa dall'azienda."
"Aspetta aspetta… Sono salite sul tetto con gli zoccoli e tutto, proprio con la divisa e le scarpe da infermiere?"
"Ma perché t'interessa?"
"Così… mi sembra piuttosto scomodo…"
"Sono salite con giacca a vento, sciarpe, cappelli per il freddo e addirittura delle piccole tende da campeggio perché hanno intenzione di dormire lì…"
"Che forza!"
"Una di loro è Graziella, la conosco. E' sola con due figli da mantenere. Ancora adolescenti. L'unico stipendio è il suo; sarebbe un grosso problema per lei restare improvvisamente senza lavoro…"
"Un'altra è Margherita, la conoscete? Ha quattro figli e un marito in cassintegrazione."
"Il coraggio ti viene per forza in certi casi."
"Sapete che vi dico? Dobbiamo aiutarle!"
"Dobbiamo armarci di forza e coraggio e andare anche noi sul tetto a portare la nostra solidarietà!"
"Forse è la volta buona che si torna giovani…"
"Mi sento già scorrere altro sangue nelle vene…"
"Saliamo, saliamo!"
"Andiamo a vedere!"
"Uniamoci alla lotta!"
"Andiamo a vedere chi c'è!"

Le donne salivano sui tetti, i quasi-pensionati e i cassintegrati restavano sospesi a mezz'aria, in spaccata, da una situazione all'altra… Tutta quell'aria fresca aveva schiarito le idee. Le idee erano molto più chiare adesso, e anche i progetti.
"Ma che dici? Questo è solo un chiacchiericcio, cicaleccio, ventriloquio collettivo, scilinguagnolo, scioglilingua… blablabla… parole vuote… tutto fumo e niente arrosto… Qua non si combina niente…"
"Ma che vuoi combinare?"
"Questo lo dici tu, che non si combina niente… Ragazzi, andiamo!"
"Andiamo a portare la nostra solidarietà!"
"Il nostro aiuto!"
"Siamo qui! Ci siamo anche noi!"
Qualcuno si era portato anche la bandiera, ma quella coi pesci, con tanti pesci piccoli che mangiano il pesce grosso.

giovedì 5 aprile 2018

Maschilismo o nepotismo?

Naomi Alderman in Ragazze elettriche deve inventarsi un superpotere femminile da supereroine dei fumetti per rappresentare un mondo dove le donne siano dominanti. Per una sorta di mutazione genetica donne dell'intero pianeta e di tutti gli strati sociali si trovano arricchite di una capacità fisica che permette loro di difendersi da stupratori, molestatori e oppressori vari con semplici scariche elettriche. Dotate di questa nuova potenzialità gruppi di donne, nuove amazzoni, riescono persino ad affrontare eserciti e a ribaltare il rapporto fra i sessi, caratterizzato per migliaia e migliaia di anni con varie sfumature dal dominio maschile.
Romanzo pubblicato in Gran Bretagna nel 2016, in Italia nel 2017 (Nottetempo, Milano), che cosa lascia intendere dell'ambito sociale di cui è frutto?
Sicuramente un forte desiderio di rivalsa. Nonostante i diffusi diritti civili e lo sviluppo della libertà di costumi delle metropoli postmoderne, s'intuiscono dinamiche psicologiche ancora classiche e arcaiche in cui per esempio la violenza e le molestie sessuali sono all'ordine del giorno, più o meno sotto gli occhi di tutti; in cui i dirigenti amministrativi e aziendali fanno la voce grossa e tengono al loro posto le dirigenti e le collaboratrici, anche quando queste manifestano idee brillanti, e così via: comportamenti cui siamo abituati a tal punto da non fare notizia, salvo divenire oggetto di una denuncia virale e globale con Metoo nel 2017. A suscitare le ondate di protesta degli ultimi due anni anche la crisi economica senz'altro ha avuto la sua parte, determinando un peggioramento della condizione della donna e un acuirsi del senso di sconfitta nonostante le conquiste del passato, arretramento reso più drammatico da quel fenomeno così esteso in alcune aree dell'Europa e dell'America latina da meritare una denominazione precisa: femminicidio.

giovedì 22 marzo 2018

Una poesia di Mara Cantoni

Come un gatto immaginario

Vivo con un gatto immaginario
abbiamo un linguaggio singolare
e un modo di guardarci semiserio
che è insieme distratto e puntuale

Il nostro benessere felino
ha un che di relativo e d'infinito
si irradia da un piccolo cuscino
si installa nel centro di un tappeto

Passiamo del tempo alla finestra
guardando curiosi le persone
e tutto quel frou-frou che ci si mostra
nella sua disordinata confusione

Abbiamo un ritmo nostro differente
che molti non riescono a capire
e il senso fatalista ma presente
di un essere antico e in divenire

Al sole siamo grati enormemente
per quella sua carezza luminosa
che scalda e quasi ci addormenta
facendoci sapienti d'ogni cosa

Talvolta ci perdiamo in una zuffa
se è il caso ci lecchiamo le ferite
non è che un po' di pelo che si arruffa
(si dice che abbiamo molte vite)

Così filosofando lietamente
tra noi o tra di me (che poi è uguale)
diventa più fatato l'orizzonte
vivo come un gatto e non è male


Progetto artisti per la salute, a cura di Marco Maiocchi, Facoltà del Design, Politecnico di Milano, in collaborazione con l'Istituto dei Tumori, Milano 2010. Questa poesia scritta su tele di Mara Cantoni è esposta in una sala del Centro Tumori.

Una poesia di Sara Ventroni

La sommersione

Il nuovo sentimento nazionale è la concordia.
Dopo le piccole ambizioni, dopo i colori accesi
dei canali commerciali
salutiamo la costa e ci inchiniamo
alla vita che resta
anche senza di noi.

Ci affidiamo alle regole degli abissi calmi.
Indossiamo cravatta e scarpe buone.
Riposiamo sul fondale. Non ci disturba
più nessuno, e niente ci disgusta.


Poesia in copertina della raccolta La sommersione, Aragno, Torino, 2016

mercoledì 21 marzo 2018

Differenza fra romanzi e racconti

Scrivere un romanzo è come aver trovato casa; scrivendo racconti la si sta ancora cercando.

domenica 18 febbraio 2018

Cellulari contro libri

Spesso ci si chiede come mai telefonini e smartphone abbiano avuto un impatto così negativo sulla carta stampata, al punto che siamo costretti a riconoscere con amarezza che ormai tutti i passeggeri di metrò, treni, mezzi pubblici, nonché i passanti per le strade, hanno gli occhi fissi sul loro proprio telefono portatile, divenuto l'oggetto d'intrattenimento principe, con cui si può giocare in modi svariati in ogni momento, o più semplicemente sono occupati in una lunga telefonata, mentre è raro trovare qualcuno che sfogli un giornale o sia immerso fra le pagine di un libro. Uno dei motivi è certamente il condizionamento mediatico. Ma non può venire del tutto rimosso il ricordo culturale di lontane diatribe a proposito di parola scritta e parola orale, laddove vinceva pienamente l'oralità. Non è il caso tuttavia di scomodare Platone o antiche questioni filosofico-religiose legate al tema della voce. Per la grande quantità della popolazione globale vince comunque l'oralità perché è immediata, spontanea, meno intrecciata all'istruzione e a percorsi culturali più complessi. Le voci, i suoni, i rumori, le immagini, reali o veicolate da quella propaggine multimediale che ormai teniamo tutti in tasca o in borsetta, costituiscono l'ambiente in cui l'uomo contemporaneo, autoctono o straniero che sia, si trova immerso. La parola scritta viene ignorata più facilmente di un segnale acustico o di una fonte luminosa, come dimostra per esempio la pubblicità televisiva che ha sostituito la cartellonistica laddove possibile, per esempio nelle stazioni ferroviarie e metropolitane. L'oralità si conferma più viva e attraente della lettera scritta, invece più associabile al passato, alla morte. E' più normale conversare con amici e parenti anche lontani, all'altro capo del mondo, oppure concentrarsi sulle parole scritte da un autore secoli fa e rivolte all'umanità futura o magari scritte da uno studioso riguardo a problemi attuali? Per quanto interesse possa avere la risoluzione di problemi che in varia misura ci circondano, il legame più forte resta quello con la voce parentale o amica, con la persona viva che si rivolge a noi. E tutto il contorno di pubblicità, distrazioni, informazioni e disinformazioni veicolato insieme con le voci amiche viene servito come su un piatto d'argento a distogliere da forme comunicative impostate su approfondimento, critica, riflessione. La presenza viva degli affetti trascina il suo strascico di caos e distrazioni. I libri non sono neanche più acquistati dal pubblico delle letture di poesia.
Potrebbe essere che la civiltà della scrittura per un certo periodo torni a essere latente, dimenticata, trascurata.