mercoledì 28 dicembre 2011

NITA (tm)

Seconda e ultima parte del lungo racconto di Carlo Cenini

T*** B***: “La tecnologia quantistica messa in campo per la realizzazione del gioco SHERWOOD® e, ancora di più, quella sviluppata per creare le condizioni di controllabilità di NITA™ attraverso la sua versione depotenziata DAIMON™ è, non solo dal punto di vista dei materiali utilizzati ma anche dell’estensione e della qualità di memoria coinvolta, senza precedenti, completamente all’avanguardia, il che ci ha esposto a una serie di rischi che diciamo non abbiamo saputo gestire nel modo migliore, almeno fino alla prima fase alpha inoltrata, quando finalmente Little John ha diciamo vuotato il sacco (ma è bene precisare che diversi tester a questo punto avevano già manifestato delle diciamo crepe nel loro equilibrio nervoso, crepe che a quell’altezza nessuno sarebbe stato in grado di far risalire al collaudo del gioco, anzi direi crepe che possiamo percepire solo ora come tali, con il senno del poi, ma che al tempo potevano al più apparire come vezzi o tic) nominando per la prima volta NITA™ (anche se non sono autorizzato, né è al momento pertinente, non sono autorizzato a dire con quale nome di preciso l’abbia nominata), e qui mi scuserete se mi dilungherò un po’, ma per spiegare come sono stati condotti i test è necessaria una digressione sull’organizzazione interna della fabbrica di giocattoli, sui suoi livelli e le sue gerarchie, nonché su alcuni inevitabili difetti del suo (della fabbrica di giocattoli) apparato burocratico che, in questo particolare caso, si sono rivelati essere, ancorché minimi, critici; come se non bastasse, la produzione di SHERWOOD® è stata decisamente travagliata, specie nelle fasi iniziali del progetto, e molte delle persone coinvolte sono state allontanate dopo che ... (omissis) ... ; per cui quando durante i test nella fase alpha Little John ha nominato NITA™ (naturalmente come ripeto non è detto che Little John abbia usato subito il nome Nita, quello è un nome di comodo, una diciamo media onomastica, il nome come ripeto non è sempre e forse non è mai lo stesso ad ogni nuova apparizione ... (omissis) ... ) siamo diciamo caduti dalle più alte nuvole, perché nessuno di noi ovviamente aveva mai sentito parlare di NITA™ (fosse o non fosse quello il nome ... (omissis) ... ). Naturalmente all’inizio abbiamo pensato che il problema fosse Little John, e abbiamo provveduto a isolare il personaggio per capire quali fossero le riparazioni necessarie, tuttavia poco dopo che Little John era stato messo diciamo in quarantena è stato frate Tuck a intonare una ballata su “una dama che sale / su una scala di legno marcio / verso il soffitto del caseificio di Malta”, dama nella quale ora non abbiamo difficoltà a riconoscere il personaggio nominato da Little John, tanto più che Malta ha poco o nulla a che fare con le avventure di Robin Hood; dopo frate Tuck è toccato a Lady Marian, poi allo sceriffo, a re Giovanni, tutti uno dopo l’altro hanno iniziato a diciamo sputare il rospo, perfino la monaca che nell’ultimo game-over recide l’arteria di Robin Hood addormentato e apre le bende per lasciar fluire via il sangue -- noi all’inizio avevamo pensato che L.J. si riferisse a lei, alla monaca, il che peraltro sarebbe anche diciamo calzato a pennello con il tipo di suicidio eseguito dai due tester, ma tant’è -- fino a che è stato giocoforza indurre che il rospo, cioè NITA™, era sempre lo stesso pur non essendo nessuno dei personaggi previsti dal diciamo canovaccio, e proprio a quel punto le diciamo “macchine della verità” per la produzione automatica di flussi linguistici hanno cominciato ad emettere le prime descrizioni dei tester, segno evidente che la diciamo anomalia si stava diffondendo, mentre d’altro canto in SHERWOOD® si era creata una situazione paradossale per cui la quarantena nella quale ormai era radunata la gran parte dei personaggi del gioco risultava decisamente più avvincente del gioco stesso, del quale praticamente non restavano che gli scorci di foresta dove i tester, ormai privi dei necessari punti di riferimento rappresentati dai personaggi, finivano per smarrirsi. È stato durante questo stadio critico del collaudo di SHERWOOD® che una parte della mia equipe, all’inizio semplicemente per evitare che i tester si annoiassero troppo (i primi crolli nervosi erano stati in effetti attribuiti alla noia e all’esasperazione per ritrovarsi a vagare in una foresta deserta emettendo descrizioni automatiche di tubi di neon e simili) ha avviato i primi test su quello che poi sarebbe diventato il prototipo depotenziato DAIMON™, estraendo inizialmente le stringhe di flusso linguistico meno involute e diciamo psichicamente stressanti ... (omissis) ... Non è che riconoscere la natura del problema, peraltro, ci abbia aiutato granché a risolverlo; il fatto che NITA™ di fatto esista come storia che circola tra i vari protagonisti di SHERWOOD® la/lo rende particolarmente difficile da catturare, e con questo non voglio dire che NITA™ sia la storia ovvero le storie che parlano di lei; non siamo così ingenui; tanto varrebbe dire che Gesù è i quattro Vangeli; no; io parlo dell’esistenza di NITA™, non già di NITA™ stessa, parlo cioè dell’esistenza al di là ovvero al di qua delle equazioni quantiche, e questo perché nelle equazioni quantiche stesse di fatto non c’è niente, almeno non dal punto di vista dell’azione drammatica ovvero della diciamo presenza fisica del personaggio in quanto contorno catturabile o, se non catturabile, almeno parzialmente osservabile; forse per diciamo capirci meglio possiamo tentare di spiegare l’esistenza di NITA™ in un altro modo, cercando non tanto di risalire ad una falla nelle nostre equazioni (che di fatto, parlo delle equazioni, non esistono nel senso letterale del termine, ovvero è come se non esistessero, ovvero non c’è nessuno che propriamente le abbia scritte o, men che meno, le possa correggere) quanto piuttosto ad un errore umano, quanto deliberato non importa, almeno per ora. Affrontando la faccenda da questo nuovo punto di vista, diventa ovvero potrebbe diventare verosimile che NITA™ sia il frutto di una sorta di diciamo “eccesso di verosimiglianza”, il vecchio vizietto di essere diciamo “più reali del re” da cui i programmatori e gli sceneggiatori di giochi complessi e polifonici come quello di SHERWOOD® sembrano del tutto incapaci di liberarsi. Chi non ha mai lavorato alla produzione di giocattoli (e non parlo solo di videogiochi) non ha idea del livello, spesse volte veramente anormale e anzi direi patologico, del livello dicevo di ossessione per i dettagli e per il realismo che si può raggiungere nella scusate il bisticcio realizzazione di un giocattolo, come se a un giocatore importassero davvero queste cose, ovvero, voglio dire che naturalmente gli importano, ma certo non fino a questo punto, intendo dire cosa direste se vi dicessi che per SHERWOOD® alcune persone sono state pagate, pagate, per effettuare uno studio sulla biancheria intima dell’epoca e sul modo in cui questa poteva influenzare i movimenti dei personaggi? Che si può davvero guadagnarsi da vivere semplicemente indossando un paio ammuffito di mutande vecchie di secoli, o nutrendosi per mesi con una dieta a base di ghiande, neanche fossimo tutti quanti ritornati nell’età dell’oro, e tutto questo per un giocattolo, ma sto divagando. Proverò a spiegarmi meglio con un esempio, nient’altro che una mia teoria personale, è chiaro, solo un diciamo abbozzo di tentativo di spiegazione per cercare di capire chi sia ovvero chi fosse la persona o la categoria di persone o perché no l’oggetto cui L.J. ha fatto riferimento quando ha nominato NITA™ per la prima volta. Dunque, ecco qua. Ai tempi e nei luoghi in cui si svolge l’avventura del videogioco, in alcuni villaggi era ancora viva, in particolare tra le donne, una pratica di matrice diciamo pagana, una pratica particolarmente stomachevole consistente nell’assunzione di alcuni principi attivi dell’amanita muscaria attraverso l’urina di cani o di neonati scelti a sorte tra quelli più deboli o di rango più infimo e appositamente ingozzati di muscaria, i cui cadaveri (dei cani e dei neonati) venivano abbandonati nei fossi dopo l’intossicazione e la diciamo mescitura; orbene, non è escluso che il personaggio cui L.J. ha fatto riferimento con il nome Nita o affini appartenga a questa classe di “streghe del piscio” o pisswitches (tale era il titolo con cui venivano definite le adepte di questo rito) riesumate chissà donde da un qualche programmatore maniaco della precisione, e del resto, non è che io voglia tornare ad ogni costo alle equazioni proprio adesso che stavamo parlando della storia, ma il cosiddetto entanglement quantistico, che possiamo paragonare a una serie di intricate ragnatele arrotolate su sé stesse a formare una diciamo viscida fune bianca che nel gioco si traduce in un’imprevedibile varietà di situazioni, tale entanglement era stato adottato per la prima volta in SHERWOOD® appunto per permettere ai programmatori o, che alla fine è lo stesso, ai loro programmi, l’inserimento continuo e duraturo, anche dopo l’acquisto del gioco da parte del cliente, di un diciamo flusso di nuovi personaggi destinati a sparire rapidamente per essere sostituiti da altri ancora e così via, un ricambio senza sosta, proprio come nella vita di tutti i giorni senza però la monotonia (della vita di tutti i giorni); ecco, non è escluso che NITA™ sia stata diciamo partorita da uno di questi entanglement di personaggi, un entanglement particolarmente ingarbugliato e diciamo barocco, ecco (senza contare, cosa di cui siamo o meglio io sono venuto a conoscenza solo in un secondo momento, quando abbiamo coinvolto i diciamo letterati nella faccenda, che allo stesso Robin Hood è diciamo aggrappata una serqua di nomi, a grappoli, come zecche, peggio di NITA™, cioè quasi peggio, almeno non mi risulta che nessuno si sia mai diciamo tagliato la gola, con tutto il rispetto, a causa di Robin Hood, ma il fatto è che anche qui ci siamo trovati davanti ad una specie di entanglement, una vera persecuzione questi entanglement, con i letterati inglesi con diciamo gli occhi fuori dalla testa anche solo a sentir pronunciare il nome di Stendhal, neanche fosse colpa nostra se ... (omissis) ... --- insomma, roba da far scoppiare la testa, altro che -- e Robert e Robyn e Robyne e Heud e Hude e Hudgin e Hodekin e Wood e Robehod e Hobbehod e Rabunhod e, insomma fate un po’ voi, che altro, ecco, Robert Fitz Ooth, ma vi rendete conto, voglio dire, Robert Fitz Ooth, ma che roba sarebbe, ditemi voi in quale videogioco ... (omissis) ...; e mica è finita: e Scherewode e Nottingham e Loxley e South e West Yorkshire, e Scarlet ovvero Scarlock ovvero Scathelocke, e Marian e Marion e Mary-Ann, tanto per dirne uno cioè due cioè sei, e poi tutti i king, king king king, come le palline dei flipper: e Edward I e III, e John e Richard the Lionheart, e non parliamo poi di Richard-at-the-Lee, di tutte le piante e gli animali... Stendhal? e chi l’ha mai sentito nominare Stendhal [giova a questo punto ricordare come, per non si sa quale lapsus, T*** B***, durante tutto il processo e, presumibilmente, anche durante la realizzazione di SHERWOOD®, abbia continuato a sostituire Dumas con Stendhal, considerando quest’ultimo come l’autore del rifacimento: dati i rapporti già (a quanto è dato inferire) piuttosto tesi con il comitato stilistico-narratologico, tale lapsus non ha fatto che creare un fiume di nuovi e (ma qui gli omissis sono quasi un imperativo) in qualche modo spassosi equivoci, ritardi e contrattempi nell’esame stilistico-narratologico di NITA™ - tanto per dirne una, alcuni dei collaboratori scelti di T*** B*** sono stati visti sottolineare De l’amour e La Chartreuse e persino, per quanto ciò possa rasentare il nonsense, Le Rouge et le Noir nell’illusione di aver scovato tracce decisive del passaggio su quelle pagine della strega del piscio (cfr. supra)]? macché: e Langland e Wyntoun e Fordun e Bower e Montfort e Godberd e Gale e Scott e Shakespeare e Jonson e Barclay e chi più ne ha più ne metta, altro che entanglement, qui c’era diciamo di tutto e di più, altro che streghe, altro che piscio; streghe, goblin, troll, folletti, dèi e dèe del giorno di maggio, del giorno di giugno, di luglio, agosto, novembre, dicembre, ogni volta che a uno diciamo gli va, accidenti come se piovessero a tutti e quattro gli elementi, cazzi e diciamo coglioni a cavalcioni, ecco, tanto per farla à la diciamo Mozart, ma - del resto è noto che Mozart aveva congegnato una macchinetta per costruire minuetti, roba che saprebbe usarla anche una scimmia, e -- quello che volevo dire è che queste macchinette in fondo sono le nonne o diciamo le bis-nonne di NITA™ ovvero per meglio dire di DAIMON™ --- io sono uno dei pochi ad aver avuto la diciamo fortuna di vedere, nella sala riservata della Mozart-Haus di Salisburgo, il rocchetto di filo che Leopold aveva usato per slogare le dita al piccolo Amadeus ovvero Amadé in modo da ... (omissis) ... --- -- -) anche se posso garantire che in nessun modo i produttori di SHERWOOD® permetterebbero che nel gioco venissero usate espressioni come “streghe del piscio” o simili, voglio dire che in effetti il termine “flusso” può trarre in inganno e suggerire l’immagine di un programmatore qualunque che di punto in bianco fa un pandemonio del tutto diverso da com’è scritto nel libro, qualunque sia questo libro, non è importante ... (omissis) ... e--- dimenticavo anche di dire che la prima cosa che abbiamo controllato, dopo che L.J. ha del tutto inaspettatamente tirato fuori questa diciamo intrusa, è se Stendhal (o chi per lui, ... (omissis) ... (e cfr. supra)) avesse mai parlato di una strega con il nome usato da L.J. quella prima volta, non solo nel Robin Hood ma anche negli altri suoi romanzi, un’indagine che ovviamente abbiamo interrotto a metà quando ci siamo resi conto che il nome usato la prima volta da L.J. non era l’unico nome con cui la diciamo anomalia si manifestava, e che andando avanti così sarebbe finita che ad ogni nuovo nome dato a questa strega (che poi, come si è visto in seguito, non era affatto una strega, almeno non tutte le volte, e forse in effetti nemmeno la prima volta ... (omissis) ... ) ci sarebbe toccato di rileggere ogni volta daccapo Stendhal (cfr. supra), una cosa da far saltare i nervi ... (omissis) ... però non ci siamo rassegnati e abbiamo diciamo cercato di aggirare il problema dell’eventuale natura stendhaliana (cfr. supra) dell’intrusa grazie a consulti piuttosto approfonditi e, dato che ne abbiamo parlato, anche alquanto concitati (cfr. supra) presso ambienti di diciamo studio umanistico e letterario, in seguito ai quali consulti abbiamo potuto dirci ragionevolmente certi che mai nessuna cosiddetta “strega del piscio” sia mai apparsa in nessuno dei romanzi di Stendhal (cfr. supra), il che non so se basti per invalidare la mia ipotesi di partenza (che tuttavia come tengo ancora una volta a ricordare ho avanzato a mero titolo di esempio, solo per evitare di stancarvi con analisi di equazioni e grafici statistici, tutte cose troppo tecniche per una giuria, o almeno per diciamo questa giuria -- tra l’altro è bene tenere presente ancora una volta e per l’ultima volta che a quanto pare Stendhal (cfr. supra) non è che la punta dell’iceberg, sebbene a SHERWOOD® l’unico Robin Hood che abbia visto girare sia quello di Stendhal (cfr. supra), con buona pace del comitato stilistico letterario, tuttavia non si può mai sapere dove possa arrivare un costruttore di giocattoli, come ho già detto ... (omissis) ... Fitz Ooth! ... (omissis) ...), epperò, insomma, ecco, non voglio sembrare quello che a tutti i costi si attacca alle proprie convinzioni o intuizioni, ma credo non sia stata sin qui sottolineata a dovere l’evidente somiglianza, che solo persone con fette di prosciutto alte così sugli occhi potrebbero considerare casuale, tra i nomi Nita e amanita---” (a questo punto l’udienza dovette essere aggiornata perché l’affranta madre del secondo tester/vittima suicida di nove anni aveva dato in escandescenze di fronte alla piega ovvero alle pieghe grottesco-antropologiche che T*** B*** stava cercando di imprimere al processo, e, resa afona dalla rabbia e dall’esasperazione, aveva cercato di raggiungere lo stesso T*** B*** con l’evidente intenzione di farlo tacere una buona volta ovvero di fargli confessare le responsabilità che lei (l’esasperata e arrabbiata e affranta signora) riteneva lui (T*** B***) avesse avuto nella morte del figlio (come già ricordato, gli “ambienti di studio umanistico e letterario” cui T*** B*** faceva riferimento più sopra sono stati chiamati in causa durante il processo anche per una “consulenza stilistica-narratologica” (sic) la cui utilità ai fini della valutazione delle responsabilità di T*** B*** nel suicidio dei due tester/vittime risulta tuttora poco chiara, ma grazie alla quale è venuta alla luce anche l’esistenza di un secondo laboratorio, forse già operativo, per il collaudo di DAIMON™ (la versione a quanto pare depotenziata e perciò più innocua ovvero più circostanziatamente nociva di NITA™) nel quale laboratorio i test su DAIMON™ venivano a quanto pare effettuati non da uomini bensì “da/su animali” (questa la formula stabilita in seguito ad un’animatissima discussione “linguistica-stilistica” sorta in seno all’ambiente umanistico-letterario su quale delle due preposizioni fosse più adatta a definire gli esperimenti/test (“ ... (omissis) ... ”) effettuati nel secondo laboratorio)).
Il flusso raccolto dagli elettrodi del casco, che inizialmente ovvero nelle intenzioni dei primi tuttora (il che è tutto sommato inaudito, ma tant’è) ignoti programmatori del videogioco doveva servire semplicemente a rendere il personaggio di Robin Hood (nonché naturalmente tutti gli altri personaggi della storia) conforme e, da un punto di vista linguistico-stilistico, concorde, per così dire, al/col giocatore che di volta in volta avrebbe utilizzato il viedogioco SHERWOOD® (Interpolazione: DOTT. T*** B***: (parole pronunciate durante il processo in una, chiamiamola così, arringa non esplicitamente richiesta che in base al recente art. 3555 (29/7/2020) a regolamentazione della pubblicità spontanea/involontaria in luoghi pubblici è costata una pesante sanzione a T*** B***, sanzione che tuttavia, a causa dell’impopolarità dell’art. 3555, ha guadagnato a T*** B*** le simpatie di quella parte di pubblico, in effetti la pressoché totalità dei presenti se si tolgono le persone in qualche modo legate ai due tester/vittime, di quella parte di pubblico che non ha trovato nulla da obiettare né di cui indignarsi alla notizia che T*** B***, una volta scoperti gli effetti dirompenti e in nessun modo previsti e, a quanto pare, in base a una qualche imperscrutabile legge dell’altrettanto imperscrutabile informatica quantistica, comunque fosse imprevedibili del sistema per la creazione linguistica automatica poi sviluppatosi in NITA™, una volta scoperti tali effetti che chiaramente indicavano che la sperimentazione di NITA™ avrebbe dovuto procedere secondo parametri medici o anche peggio, il dottor T*** B*** nonostante questa scoperta avesse deciso, evidentemente per poter continuare a testare/far testare il programma da/su umani e non, come prevederebbero i parametri di una rigorosa sperimentazione medica, da/su intelligenze artificiali prima (a questo proposito è stato rilevato come NITA™ non sembri in grado di estrarre un flusso creativo coerente da programmi gemelli, la frase più comprensibile e anche lontanamente interessante ottenuta tramite simili esperimenti essendo stata: “Cacare una cabeza nei regi uffici di Tangeri”) poi da/su animali (“microbi, vermi, insetti, crostacei, grandi crostacei, pesci, rettili ... su su fino ai mammiferi, ai delfini, ai diciamo primati”) e solo alla fine, dopo un complesso iter preospedaliero-zoologico-burocratico, da/su esseri umani, il dottor T*** B*** nonostante tutto ciò avesse deliberatamente deciso di continuare a considerare anche la versione depotenziata ma pur sempre potenzialmente pericolosa DAIMON™ (dato che NITA™ era del tutto instabile e da questo punto di vista può essere considerata non tanto un processore per la creazione automatica - tale è stata, per buona parte del processo, la tesi della difesa - quanto piuttosto un autentico elettroshock creativo automatico, dato che a quando pare i flussi creativi decodificati dopo l’esposizione a NITA™, tralasciando le dd.d.N., che ne erano una versione per così dire diluita, hanno prodotto testi che, sebbene quasi del tutto innocui per tutti gli altri, sono risultati affatto devastanti per la psiche delle persone stesse da cui sono stati estratti, ovvero completamente illeggibili per queste persone che pure ne erano in certo modo gli autori, ovvero leggibili (i testi prodotti) ma solo al prezzo di una irrimediabile compromissione del proprio equilibrio nervoso, “un po’ come se ciascuno portasse racchiuso nella propria testa un suo personale Necronomicon”, ha chiosato T*** B*** tirando non del tutto opportunamente in ballo la letteratura del terrore, “un Necronomicon che NITA™ avrebbe l’inopportuna capacità di scovare e portare alla luce, come una sorta di specchio psichico convesso fino al fuoco”; fatto sta che a quanto pare una nuova equipe, la cui composizione è strettamente top secret, sta attualmente cercando di catturare ovvero ricatturare NITA™ per scopi a quanto si dice militari ma che più verosimilmente riguarderanno la sicurezza interna e il controllo informatico/mentale) di considerare DAIMON™ come un giocattolo e non come un medicinale, in modo da poter proseguire con i suoi test/esperimenti con/su persone e, quel che è più importante, con/su bambini): “La tecnologia di DAIMON™ sta ai sistemi per la creazione linguistica automatica prodotti sin qui come i primi computer giocatori di scacchi stanno al finto giocatore meccanico di Maelzel. Prima di DAIMON™ i personaggi di un videogioco venivano concepiti come marionette. Mi si conceda di citare un mio studio giovanile nel quale sostengo che oggetti come i pupazzi per ventriloqui, le marionette, gli automi e altri giocattoli che ora non mi vengono in mente siano l’estrema propaggine di grossolane tecniche preistoriche per la rianimazione dei morti. Il buon Maelzel per la verità aveva costruito anche veri automi, delle specie di immani carillon, organi o orchestre a orologeria, e chissà che un domani applicando DAIMON™ alla materia grigia di un compositore, con adatte macchine decodificatrici non si riesca a tirarne fuori una qualche sinfonia quantistica, naturalmente una sinfonia il cui ascolto sarebbe irreparabilmente nocivo per il compositore stesso, una Necronomicon Symphonie, per così dire, tanto più che lo sanno tutti che Beethoven e Maelzel per qualche tempo hanno calpestato l’uno la segatura dell’altro, al circo, come diciamo culo e camicia--- ma sto divagando. Nei videogiochi (parlo dei vecchi videogiochi) si trattava semplicemente di dissimulare sempre di più i fili che reggono la marionetta, aumentandone la trasparenza e la sottigliezza, allungando a dismisura quei fili fino a creare l’illusione dell’infinito e dell’assenza, ma l’idea matrice, e cioè la resurrezione dei morti, quella era sempre la stessa. DAIMON™ no; DAIMON™ recide quei fili moltiplicandoli all’infinito, rendendoli talmente onnipresenti e diffusi da annullare, per così dire, la differenza tra ragnatela e paesaggio; è il Pinocchio ovvero l’anti-Pinocchio dei videogiochi (sì, certo, anche le marionette di Mangiafuoco sapevano parlare), con in più, o se si preferisce in meno, l’assenza di qualsiasi desiderio di diventare vero, e questo non tanto perché la realtà ossia la verità non siano più o non siano mai state qualcosa di desiderabile, ma più semplicemente perché al livello cui siamo arrivati parole come “reale” o “vero” non significano più nulla”. Fine dell’interpolazione.) il flusso prodotto dagli elettrodi del casco e raccolto dalle “macchine della verità” (nome per la vendita: SCRIBA™ secondo i piani originari di T*** B***, piani che dopotutto non c’è motivo per giudicare definitivamente accantonati) veniva decodificato secondo incomprensibili (almeno per i profani) codici di crittografia quantica e infine “ritradotto” attraverso un’ulteriore matrice in dettagli ovvero vezzi linguistici che poi venivano ridistribuiti tra i vari profili dei personaggi in modo che il mondo virtuale e temporaneo del videogioco offrisse al giocatore un panorama il più possibile corrispondente (pur rispettando i parametri di elevata avventurosità che, corrispondenza o non corrispondenza, devono comunque caratterizzare ogni gioco in modo da differenziarlo dalla vita) alla “stilistica-narratologica” ovvero, secondo una terminologia più antiquata, alla psiche del giocatore. A quanto pare, ovvero giusta una delle tante chiamiamole così spiegazioni messe avanti da T*** B*** durante il processo, è in un qualche difetto nel casco per la raccolta dei dati linguistici-stilistici del giocatore che va ricercata la prima causa dell’insorgere di NITA™ (sembra che un certo gruppo di elettrodi avesse la tendenza a raccogliere i dettagli stilistici-narrativi in diagrammi organici e autosufficienti, “quanto di più vicino ad un’autentica intelligenza artificiale si sia prodotto sinora”, ha detto T*** B***, “ovvero una intelligenza autonoma la cui essenza insista in una esasperazione e in una diciamo spavalda suppurazione dell’artificialità stessa, anziché nella pedissequa imitazione dell’intelligenza come la intendiamo noi”) ed è quindi anche intorno alla conformazione del casco prima e del gruppo di elettrodi poi che si è svolto uno dei duelli centrali del processo. “Al di là di quella che sarà la sentenza finale per le attuali imputazioni a T*** B*** e alla fabbrica di giocattoli - così, con sobrietà retorica e un tantino supponente, l’accusa - l’incidente con NITA™ obbligherà (tale almeno è il giudizio della maggior parte dei commentatori) obbligherà e anzi obbliga positivamente la regolamentazione medica a riformulare per intero il concetto di “farmaco”: se, come pare sia vero, ai tester/vittime non sono state fatte assumere sostanze di sorta prima dei test/esperimenti, tuttavia è innegabile che l’esposizione al gioco è equivalsa in tutto e per tutto ad un’intossicazione; in nessun modo l’utilizzo di NITA™ può dunque essere considerato, con buona pace della difesa, “puramente linguistico-narrativo” né tantomeno ludico, quanto piuttosto “farmacologicamente linguistico” o “farmacologicamente narrativo”, per quanto ridicole o persino illogiche possano apparire tali formule, e uno dei compiti più urgenti del legislatore sarà senz’altro quello di emettere una regolamentazione esauriente per queste sperimentazioni farmacolinguistiche o, se proprio si vuole concedere qualcosa a T*** B***, farmacoludiche, e, prima di arrivare ad una tale regolamentazione, interrompere immediatamente gli esperimenti/test che T*** B*** e la fabbrica di giocattoli stanno conducendo in questo preciso momento con DAIMON™ sotto la speciosa giustificazione del depotenziamento e della conseguente messa sotto controllo di NITA™.”
Circostanza non del tutto sorprendente è che, persino dopo la pubblicazione degli atti del processo, numerose persone (sempre più numerose persone, in effetti) si sono offerte spontaneamente per entrare a far parte del gruppo di tester/vittime (formula questa che ha finito per assumere una sorta di attrattiva per il pubblico, come se lo statuto di “vittima” fosse lì a nobilitare tutto il resto, tanto che la fabbrica di giocattoli non si è fatta scrupolo di mantenerla nei propri volantini di reclutamento) dell’inedita e al momento ancora solo eventuale fase charlie di sperimentazione di DAIMON™. Le ragioni che spingono i volontari a richiedere di poter entrare a far parte del gruppo charlie dei tester/vittime di DAIMON™ appaiono differenti, e vanno dalla fiducia che per l’inedita fase charlie della sperimentazione la fabbrica di giocattoli avrà adottato nuovi protocolli per la sicurezza dei tester/vittime, alla convinzione di essere un qualche modo privilegiati e/o mentalmente più dotati dei precedenti tester/vittime, e preparati da tutte le discussioni e lo scandalo fatti intorno al processo e quindi più coscienti del pericolo e di conseguenza decisamente più equipaggiati da un punto di vista psicologico ovvero stilistico-narratologico per affrontare le insidie di DAIMON™ (e tra i membri di questa chiamiamola così “corrente spavalda” c’è persino chi sarebbe disposto a sottoporsi ad un trattamento con l’originale e micidiale “strega del piscio” NITA™); altri ancora (la maggioranza, temiamo) sono semplicemente attratti da un test con simili dispositivi linguistici-narrativi (cui con buona pace della difesa è in tutta coscienza difficile rifiutare uno statuto farmacologico) per quel tanto di fantascientifico e al contempo, come dire, maudit che emana dalla cosa, e pare stiano circolando in rete versioni amatoriali dei due dispositivi di creazione automatica, versioni ovviamente del tutto imperfette e non paragonabili, né per intensità né per raffinatezza ovvero aggressività, agli originali, per ovvie ragioni tecniche legate all’attuale impossibilità o altissima difficoltà nel trasmettere o - che in questo caso è lo stesso - decodificare informazioni quantistiche in rete; un altro punto che sembra incoraggiare (anche in questo caso non si capisce bene perché) coloro che sempre più numerosi si offrono come volontari per i test della fase charlie di sperimentazione di SHERWOOD® è il fatto che, a quanto sembra, gli effetti più deleteri, sia di NITA™ che probabilmente di DAIMON™, si manifesterebbero sotto forma di un irrefrenabile impulso a scrivere una d.d.N. (ovvero, presumibilmente, da ora in poi, una d.d.D.), e, ciò che agli aspiranti volontari pare decisivo, solo dopo un certo intervallo di tempo dall’esposizione. Secondo le testimonianze che si sono potute raccogliere, infatti, sia i tester/vittime che i tester/superstiti non hanno accusato alcun autentico sintomo anormale subito dopo l’esposizione; solo dopo diversi minuti passati sulle finte sedie da barbiere, i tester/vittime si alzavano alla ricerca di un foglio e di un pezzo di carta o di qualsiasi cosa (il telefono, il computer, una macchina da scrivere) con cui scrivere --- forse è importante sottolineare che tutti i tester/vittime hanno sentito l’impulso di lasciare un testo scritto, mai di per esempio comunicare a voce il contenuto dei loro pensieri a un familiare o a un registratore o anche soltanto al vuoto della propria camera, né tantomeno tramite un disegno, e questo benché i testi prodotti fossero assolutamente qualcosa che appariva forzare gli stessi assiomi della comunicazione verbale scritta: “Una voce”, ha spiegato T*** B*** durante il processo sulla base delle proprie personali osservazioni sulle sconnesse testimonianze dei tester/vittime prima del definitivo crollo nervoso, “una voce, durante la notte, inizia a descrivere con minuzia esasperante delle scene, delle vicende, dei volti, degli ambienti. Non è proprio come un sogno, dato che si tratta solo di parole, e non si tratta propriamente nemmeno di una voce, dato che inizialmente le parole è quasi come se venissero lette, ovvero formano un filo di frase che passa nella mente come quando si sta leggendo qualcosa, solo che di fatto non si sta leggendo nulla, nemmeno nella propria immaginazione, viene insomma realizzata solo la parte finale del processo della lettura, la parte mentale, quella già decodificata, mentre le parole è come se fossero già state lette, come se fossero appena state lette, è come una lettura mutilata di una sua metà, ed è per questo che ho parlato di una voce, anche se non si tratta di una vera e propria voce, quindi sarebbe meglio parlare di [con gesto delle dita per mimare le virgolette] “voce”; non so se mi state seguendo; comunque sia: questo fenomeno di diciamo lettura amputata ha delle conseguenze piuttosto interessanti: proprio come chi, dopo che gli è stato amputato un arto, sente con particolare intensità proprio l’arto mancante, come se fosse la parte più viva di tutto il suo corpo, il “lettore mutilato” continua a sentire, in modo particolarmente doloroso, l’assenza delle parole, che iniziano diciamo a tumefarsi (tumefarsi beninteso nell’immaginazione del lettore amputato, dato che di fatto non esistono più ovvero non sono mai esistite) e a suppurare sotto forma di immagini particolarmente luminose, quasi disturbanti per la loro lucentezza, ovvero, di nuovo, non si tratta di vere e proprie immagini, né di allucinazioni, piuttosto si può dire che le descrizioni prodotte dalla “voce” sono talmente particolareggiate e ricche di densità, nonché arricchite di luce dalla percezione delle parole amputate, da essere quasi paragonabili a delle immagini, senza contare che, dato che questa specie di monologo di solito si svolge nelle fasi a ridosso del sonno dei tester, può effettivamente capitare che, in brevi lampi, e precari, le parole, per dirla con uno dei tester intervistati al suo risveglio nella fase intermedia tra la ricerca spasmodica di una penna e di un foglio e il grave diciamo prolasso nervoso che ha caratterizzato le prime esposizioni a NITA™ prima che ci convincessimo a sospendere i test e a sviluppare una versione meno aggressiva del programma all’interno della quarantena dei personaggi di SHERWOOD®, le parole, diceva[no] questo[-i] tester con le lacrime agli occhi, “coagulano; diventano cose”; il processo, di natura violentemente invasiva per il sistema neurale degli esposti, all’inizio ci è sembrato richiamare da vicino quegli stati di ispirazione profonda (anche se per gli esposti a NITA™ forse sarebbe diciamo meglio parlare di “ispirazione aggravata”) che molti artisti, e parliamo in particolare dei poeti, hanno indicato come origine dei loro diciamo capolavori, ovvero con capolavori intendo dire opere che nelle parole di questi poeti (anche se in questo momento non me ne viene in mente nessuno in particolare) risulterebbero scritte come “sotto dettatura”, ed è stato naturalmente questo paragone il motivo principale per cui il nuovo prodotto della fabbrica di giocattoli DAIMON™ è stato chiamato così [l’accusa, seguendo un piano tutto suo, a questo punto ha fatto mettere agli atti una indagine svolta presso diversi artisti viventi, in particolare appunto presso poeti, ai quali è stato chiesto se davvero nel momento di scrivere il o i loro cosiddetti capolavori avevano sentito, cioè fisicamente sentito, una voce nella loro testa che parola per parola gli dettava ciò che dovevano scrivere, nella modalità di “lettura amputata” descritta sommariamente dai tester/vittime a T*** B*** e alla sua equipe; i poeti interpellati, forse in soggezione per la sede processuale ovvero pre-processuale in cui la loro testimonianza sarebbe stata collocata o magari anche per paura che la voce nella loro testa sarebbe sparita se loro ne parlavano troppo, hanno risposto tutti senza eccezione in maniera quasi infantilmente evasiva o in ogni caso non definitiva riguardo questa famosa voce dell’ispirazione, né alcuno di questi poeti - il che dopotutto era prevedibile nonché perché no scusabile - ha accettato di esporsi a DAIMON™ in qualità di “esperto stilistico-narratologico” (come sempre sic), per poter cioè verificare l’affinità tra la “voce” prodotta dal gioco per la creazione automatica e la voce che loro avevano o avrebbero dovuto avere in testa]. Sebbene talmente ricche di dettagli, pieghe e sfumature da avere l’impronta ruvida di un oggetto reale [e questo al di là di qualsiasi considerazione di tipo stilistico: a detta degli ambienti umanistici-letterari (sic) coinvolti nella fase istruttoria del processo, le descrizioni o narrazioni ottenute dopo l’esposizione a NITA™ risultano, nello stesso tempo, incredibilmente involute e prolisse da un lato, fastidiosamente frammentarie e vaghe dall’altro, sembrano cioè avere proprio quella stessa specie di urgenza che è stata riconosciuta in tutti i tester/vittime nel periodo successivo all’esposizione al gioco, quell’urgenza di chi in un solo rapidissimo colpo d’occhio ha avuto una visione incredibilmente nitida e particolareggiata di un qualcosa (un panorama, un volto, un fatto, una creatura) di terribilmente importante, e che oramai che quella visione è svanita (“può ben essere”, ha spiegato T*** B*** dopo che la sentenza era stata emessa, “che questa[-e] sparizione[-i] della[-e] visione[-i] subito dopo il suo[/loro] apparire unita alla sua[/loro] incredibile ricchezza di dettagli e al bisogno impellente di mettere per iscritto tale ricchezza sia[no] dovuta[-e] alla struttura quantistica dei programmi dei due prototipi, che com’è noto impedisce nel modo più categorico di comunicare qualsivoglia informazione senza nel contempo distruggerla, come in un binomio reciproco e indissolubile decifrazione/distruzione ovvero esistenza/amputazione implicato nel processo stesso della nascita, ovvero, come dicono dalle mie parti, “per contare le zampe di un centopiedi occorre staccargliele tutte”, binomio che probabilmente, anche se ciò qui non ha alcuna importanza, magari era anche già stato sviscerato a suo tempo dai tecnici della poesia, e la cui realizzazione dall’altro punto di vista, cioè diciamo dal punto di vista quantistico, va di certo iscritta sotto la rubrica di linee tangenti tra la fisica quantistica e le più astruse diciamo “scienze dello spirito”, linee tangenti che, dal punto di vista del progresso scientifico, sono in effetti del tutto prive di significato, cioè, in questo caso, stabilito che dire qualcosa implica la sua distruzione (vale a dire come ripeto la distruzione dell’informazione, ma per tutte o quasi tutte le astruse “scienze dello spirito” e in un certo senso anche per la fisica quantistica la cosa non fa differenza), a essere allarmisti si potrebbe allora inferire che la “strega” NITA™ con la sua produzione incessante e patologica di descrizioni potrebbe avere tra i suoi “obiettivi”, che so, la distruzione dell’umanità ovvero dell’informazione dell’umanità, mentre per quanto riguarda DAIMON™ questa sete di distruzione avrebbe dovuto ovvero, volevo dire, dovrà essere temperata da una forma di (naturalmente simulata, trattandosi pur sempre, dopotutto, di una macchina; parole come “sete di distruzione” o “obiettivi” non sono che metafore per cercare di spiegare i complessi paradigmi quantistici da cui sono scaturiti/che scaturiscono da NITA™ e DAIMON™) simulata pietà”)] le immagini possiedono un’evanescenza, un grado di evaporazione tanto più elevato quanto più sono numerosi, interessanti e urgenti i dettagli che le compongono, il che costringe l’esposto a cercare di ridirle seguendo il violino capriccioso della memoria, saltando da un punto all’altro con diciamo una famelica frenesia descrittiva, divagando di continuo e perdendosi in digressioni e diverticoli che sembrano aumentare esponenzialmente man mano che la descrizione procede, nonché essere progressivamente privi di qualsiasi nesso con alcunché.” I tester/vittime l’hanno descritta come “la visione - qui in effetti è sempre T*** B*** a parlare - di quelle immagini oniriche o preoniriche che ci appaiono come fotografie ma che sono talmente dense di dettagli, non solo materiali ma anche psicologici e narrativi, che spiegarne l’intero significato richiederebbe ore anzi giorni anzi anni, una cosa da ridursi a sputare sangue a furia di parlare, quasi fossero cattedrali o piramidi per i sacrifici umani, senza contare che l’immagine non ci rimane davanti come le cattedrali o i sacrifici umani, ma è già scomparsa nel momento in cui noi cerchiamo di descriverla, ed è a propria volta il risultato di un accumulo di descrizioni ovvero di “letture amputate” da cui l’immagine è scaturita come una scintilla dopo un lungo attrito, per cui i nostri tester in effetti prima di diciamo abbandonarci non sapevano più se stavano ripetendo parole che avevano “sentito” durante la “lettura amputata” o non piuttosto i dettagli dell’immagine apparsa (“accesa come un’insegna al neon”, così ha detto uno di loro, il che dà da pensare che anche la descrizione e chissà, sempre che il tester che attualmente la sta compilando regga fino alla fine, la mappatura di CittàNeon, insieme al dettaglio degli occhi di fango e della cresta d’uovo gigante, possa avere un’importanza decisiva per la futura cattura di NITA™), ma diciamo il succo era che sentivano ovvero sentivamo un autentico bisogno di catturare quell’immagine che già si stava affievolendo nella memoria, e sembrava quasi di poter toccare la loro[/nostra] disperazione mentre i dettagli si accumulavano inutilmente uno sull’altro (con i tester che crollavano sul foglio coperto di scritte, la grafia sempre più simile agli elettroencefalogrammi prodotti e decodificati durante il “gioco” dalle “macchine della verità” SCRIBA™) e non sapevano[-mo] più cosa fare per arrestare l’evaporazione dell’immagine, come un dissanguamento, una polaroid che si sviluppa al contrario, ovvero prima c’è l’immagine e poi, mano a mano che la osserviamo e ne troviamo i dettagli cercando disperatamente di raccoglierli come chi durante una bufera ha troppe cose da salvare, tutti quei preziosissimi e interessantissimi e fondamentali dettagli vengono irreparabilmente risucchiati, sprofondando come gigantesche ossa deformi nell’abisso della loro stessa, diciamo, alchimia.”

Pubblicato sul n 55 di Nuova prosa, aprile 2011

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