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mercoledì 10 settembre 2025

Il narratore che indaga su sé stesso...

... è quello che m’interessa precipuamente in un romanzo. Lo trovo qui nel Sillabario all'incontrario di Ezio Sinigaglia (Terrarossa, Bari 2023). Pure l’indicazione “all’incontrario” è spia del fatto che ci troviamo in un campo diverso dal solito (un campo minato? Vedremo). Non avremo a che fare con dei personaggi, generalmente visti dall'esterno (almeno, non solo con dei personaggi), ma con un io, con una persona ovvero il personaggio-uomo (come si espresse un celebre critico* a proposito dei più significativi romanzi che edificarono la letteratura novecentesca). È sotto i riflettori l’essere umano che cerca di comprendere sé stesso.

“All’incontrario”: dichiarazione esplicita di sovversione. Quale, per esempio? Il testo è più che narrativo, analitico; più che sviluppato in orizzontale, sviluppato in profondità; più che svolgimento di fatti, considerazione di parole-chiave.

L’oscurità, la zona d’ombra su cui s’indaga è la depressione, al cui vortice centrale si cerca di avvicinarsi attraverso le sonde delle parole-chiave, che in effetti sono calamite di significati, risonanze, reminiscenze, simili ai densi elementi del sogno.

A questa struttura romanzesca predisposta alla meditazione, all’approfondimento, all’analisi, infonde ritmo il tambureggiare della punteggiatura. Anch’essa si presenta anomala, trasgressiva. La briosa cadenza dei due punti fa pensare a un mare increspato, un mare in apparenza abbastanza tranquillo ma le cui piccole onde incalzanti mandano sott'acqua i nuotatori senza che neppure se ne accorgano. Sono poche le pause vere e proprie, i punti fermi. Si naviga su un mare inquieto, continuamente mutevole. Infatti, quando il narratore sfida il lettore apertamente a trovare una bussola, un sicuro orientamento, il lettore capisce al volo di trovarsi difficoltà. Deve mettere alla prova la sua intelligenza, la sua intuitività, il suo istinto per comprendere la materia affascinante ma sfuggente. 

Tuttavia, completato l’alfabeto, seppur rovesciato e trasgredito in più punti (non per rendere le cose difficili, per puro gusto provocatorio e sottilmente maligno, ma perché le cose sono in effetti difficili), la mia risposta di lettrice all’enigma proposto dall’autore è che le cause nascoste dello stato presente siano celate soprattutto nei capitoli Narcosi, Eros, Dilazione, Bambini. S’intravede la terribile ombra del sacrificio, ma nel mare increspato, a volte tumultuoso, di questa navigazione complicata, le certezze sfuggono rapidamente, le immagini si disfano in un batter d’occhio; si è inoltre distratti dalle piacevoli digressioni dettate dall’ironia, dalle intemperanze, dal fluire della vita, che nella sua maniera inaspettata, totalmente gratuita, persino in alcuni momenti difficili, è capace di doni generosi, tali da ribaltare tutto.


* Giacomo Debenedetti






martedì 6 dicembre 2011

Il miracolo della follia nell'opera di Federigo Tozzi

Nella novella Il miracolo di Federigo Tozzi, databile fra il 1917 e il 1919, pubblicata sul “Tempo” nel 1919, ci vengono descritti ben due miracoli. Viene tratteggiato un personaggio, non più giovane, sempre più solo e triste. E’ arrivato a un punto che gli pare di vivere come in sogno, tanto si sente separato dal mondo, e gli oggetti qualche volta gli pare persino che si animino di vita propria. “E la pazzia dell’Appesi non si ferma qui, si completa ogni giorno e si raffina (…) Egli vorrebbe anche smettere di mangiare; e, quando va a letto, dopo aver pregato, rimpiange sempre di non essere uno di quei romiti che pensavano soltanto a Dio e si sfamavano con una crosta di pane.” Ma in una splendida giornata di sole la moglie estranea e un po’ ributtante che gli vive accanto gli appare in tutt’altra luce. “Credette di avere un’altra moglie e di esserne innamorato. Entrò in camera, e la Madonna andò da sé su la scrivania.” La figura ultraterrena gli tiene un vero e proprio un discorso, proponendogli di andarsene di casa senza voltarsi indietro: sarebbe come la morte e la rinascita a una nuova vita. Ma l’Appesi non se la sente: rifiuta questo miracolo, che potremmo definire divino per via dell’animazione sovrannaturale. A salvarlo sarà invece un miracolo del tutto umano, che potremmo definire dell’immaginazione: “Si convinse d’essere un ragazzo; e la moglie sua madre (…) Soltanto dentro a sé aveva la certezza deliziosa di essere un ragazzo; e poteva sorridere delle proprie ragazzaggini. Come si sentiva privilegiato fra tutti gli altri uomini.” Come in tanti momenti dei racconti, il rifugio negli anfratti della madre terra offre la possibilità di tornare alle sorgenti della gioia: “… andava vicino a un albero; come se lo avesse chiamato. E si sedeva alla sua ombra, alzando di quando in quando gli occhi alle rame; perché lo divertivano. Metteva le dita dentro i crepacci della terra; camminava tra le spighe del grano, per i solchi più lunghi; portava in mano le zolle di terra; scoteva le canne, per sciupare i loro fiori bianchi; senza stancarsi, guardava scorrere l’acqua; abbracciava gli alberi.”