lunedì 26 dicembre 2011

Economicismo e anti-economia in letteratura

In "generazione Tq", nel "Teatro Valle occupato" e in altre associazioni culturali attive in questi mesi è presente la rivendicazione al riconoscimento del lavoro sommerso, cioè il legittimo desiderio che sia regolarmente retribuita qualsiasi fornitura di manodopera o di straordinari svolta per case editrici, giornali, università o altri enti. E la rivendicazione affinché il lavoro non perda sempre più terreno, credito e importanza, travalica i confini di settore che interessano più direttamente: laddove si è presenti, va estesa nel sindacato, nella prassi politica, nell'elaborazione di teorie che si spingano a immaginare un futuro ancora animato dal "principio speranza".

Spingendoci in letture e territori utopistici, incontriamo questa considerazione generale: il peso del lavoro materiale (secondo alcuni fin dalle origini sentito come una maledizione "Lavorerai col sudore della tua fronte"; secondo altri considerato una risorsa utile e decisiva all'evoluzione umana) è giusto che sia equamente distribuito. Per non rievocare il mito dell'uomo totale di hegeliana memoria, sarà sufficiente fare riferimento a un sociologo contemporaneo, Richard Sennett, che nell'Uomo artigiano (Feltrinelli, Milano 2008) scrive come sia facile riscontrare che vi sono "attitudini naturali alle quali gli esseri umani attingono nel perfezionare le proprie abilità tecniche: l'universalità del gioco, le capacità fondamentali di scendere nello specifico, di porre domande, di aprirsi all'esterno. E tali capacità non sono appannaggio di una élite, ma sono largamente diffuse fra gli esseri umani." (p. 276). Abbiamo tutti diritto a tipologie di lavoro sopportabili con orari ridotti, retribuzioni non esageratamente diseguali, possibilità di rotazione o variazione, parti di tempo da dedicare al lavoro ma anche al gioco, allo studio, all'ozio filosofico.

In questa dimensione aperta e varia, che gioverebbe sia alla democrazia sia all'arte, è incongruente, secondo il mio modesto parere, la figura dello scrittore "in carriera", che svolga una professione simile ad altre professioni borghesi, con inizio intorno ai trent'anni, come per iscrizione a un albo professionale, e conseguente produzione seriale a ritmo sostenuto di cose varie: dal romanzo alla biografia, al reportage, a ibridi di diverso tipo possibilmente di largo consumo. Nella prospettiva di una società improntata sul bene pubblico più che sul profitto privato, vanno prese le distanze, anche in campo artistico e letterario, da aspirazioni puramente economicistiche, carrieriste o "rampantiste", per cui uno scrittore si senta legittimato, o costretto, a scendere a gravi compromessi con agenti ed editori al fine di continuare a scrivere o di essere notato o di entrare in qualche classifica. Si è tanto parlato in sede critica di psicologia dell'autore, di ombra lunga dell'autore, di personalità dell'autore; adesso si dovrebbe anche parlare di "spina dorsale" dell'autore, alla sua capacità di opporsi, o di schivare, logiche di profitto per restare fedele a uno stile che sente autentico.

Riporto alcune frasi tratte da libri di Serge Latouche:

"Ogni capitalista, ogni finanziere, ma anche ogni homo oeconomicus (e lo siamo tutti) tende a diventare un criminale comune più o meno complice della banalità economica del male." (Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, 2008, p 29);

"La convivialità di cui parla Ivan Illich punta precisamente a ritessere il legame sociale disfatto dall'orrore economico (espressione di Arthur Rimbaud). La convivialità reintroduce lo spirito del dono nel commercio sociale, là dove vige la legge della giungla, e in questo modo riannoda la philìa aristotelica." (p 55);

"Lo spirito del dono è essenziale per la costruzione di una società della decrescita." (Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi, Bollati Boringhieri, 2010, p 71);

"La considerazione per la dignità delle persone passa per la battaglia contro l'economizzazione del mondo." (p 92).

Nel passato recente le iniziative culturali di cui siamo stati più che altro spettatori erano fortemente informate di presenzialismo, protagonismo, autopromozione, quasi che, nel panorama da giungla che ci circonda ormai da decenni, il principio che conti di più sia la legge del più forte (chi appare di più, chi ha più voce in capitolo, chi può muovere le leve giuste dell'amministrazione per organizzare eventi, coinvolgere personaggi di grido e così via). Si assiste a una tendenza generale ad alzare la voce come nei talk show. Mi riferisco a molte sfilate di scrittori, a premi o iniziative pubbliche di maggiore o minore richiamo, ma non solo. Forse attiene a questo costume la tendenza a caricare di effetti speciali la narrativa, che in molte produzioni di genere vive in evidente competizione col cinema (e in particolare col genere mozzafiato del thriller). Persino la moda così diffusa della poesia performativa, in relazione a questi aspetti sociali, può essere interpretata come una risposta alla sempre più decisa e violenta esclusione della poesia dal discorso comune, al rarefarsi di momenti privati di ascolto, di lettura silenziosa e riflessiva.

L'età borghese si è prodigata per trasformare tutto, o quasi, in un impiego stipendiato alle dipendenze di qualcuno. Avrebbe voluto assimilare e ha assimilato anche l'artista e lo scrittore nel "sistema"; non ce l'ha fatta in molti grandi esempi di spiriti liberi che riuscirono a conservare un proprio stile. Essenziale per l'arte rimane la libertà, l'indipendenza di giudizio, la tensione interna a un miglioramento che non si sottoponga a calcoli legati all'immagine, al mercato o simili. La natura esistenziale della scrittura e dell'arte, le cui tracce sono riscontrabili fin dalla preistoria e forse appartengono anche al regno animale (alcuni etologi ritengono per esempio che il canto degli uccelli possa obbedire in alcuni casi a principi espressivi ed estetici), le astrae da interessi pratici.

L'inserimento dello scrittore in un ingranaggio che molto ha a che fare con l'economia di mercato e col potere non mi convince. Una delle principali ragioni risiede nella natura della creatività umana e naturale, diversa da quella artificiale o seriale delle macchine e dell'industria. La prima richiede tempo, può anche essere lenta, lentissima, è legata a esperienze o a questioni psicologiche in parte inafferrabili, non si può indurre a comando sempre, in ogni caso, quando si vuole, in modo costante come la produzione all'interno di un sistema regolato da ritmi e scadenze serrate. Può anche accadere che all'improvviso vada in letargo, attraversi periodi di aridità o svanisca per sempre, senza che debba essere evocato lo spauracchio del fallimento, tipico spauracchio di matrice capitalista. Una piccola dimostrazione dell'inconciliabilità di fondo di letteratura e arte con la mentalità produttivistica è offerta dai risultati qualitativi scadenti dell'attuale industria libraria, la quale ha tentato appunto la trasformazione del narratore in produttore seriale. Fa piacere sapere che gli scrittori di versi siano sfuggiti fin da subito a queste pretese, in quanto snobbati dal marketing, dall'industria e da qualsiasi prospettiva di grossi guadagni: per loro si è trattato sicuramente di un bene e ciò ha consentito alla poesia di conservare una sua autenticità, varietà e ricchezza, anche sperimentale e di ricerca (questo è il giudizio per esempio di Andrea Cortellessa sui "poeti come bene comune", in un articolo del luglio scorso rintracciabile in www.corriere.it).

Mi sono dichiarata disponibile a partecipare ad alcuni gruppi di Tq, iscrivendomi a due di essi e mostrando interesse per eventuali lavori coordinati con altri gruppi, perché mi sta a cuore, e mi sembra una battaglia degna di essere combattuta, quella dell'emersione del lavoro sommerso come quella dell'emersione del talento sommerso (che sono più o meno la stessa cosa), quel talento appunto guidato da spirito di ricerca e dal gusto di approfondire, dalla cura e dalla dedizione sempre più emarginate dai grandi numeri dell'industria editoriale. Avrei voluto animare e partecipare a circoli di lettura d'inediti al fine di dare qualche chance ad autori che hanno difficoltà a far giungere la loro voce. Per il momento questo tipo d'iniziativa è stato rimandato tuttavia, spostandomi fra le varie discussioni e suggestioni in rete, ho scoperto con soddisfazione che esistono siti aperti agli inediti o ad autori poco conosciuti: ne cito due nel caso interessi a qualcuno andarli a visitare: L'ospite ambiguo e Scrittori sommersi. Io stessa in questo blog seguirò l'esempio loro e di più note riviste on-line al fine di dare spazio a inediti o a lavori interessanti passati inosservati.

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