mercoledì 21 dicembre 2011

Note a margine di un kamikaze d'Occidente

Dal romanzo inedito Nell'altra stanza


Sono cambiato. Sono cambiato? Sono finalmente un uomo-macchina, un uomo col motore, un uomo con le ali ai piedi? Produco? Faccio ricchezza? Vivo in velocità? Sono dinamico e flessibile? Di giorno fattorino motorizzato, di notte ombroso pensatore… macchinoso pensatore… velocista e ricercatore di pensieri ricercati… intellettuale cupo come uno stoico in esilio (Vivi nascosto…), uomo primitivo nell’elaborazione del lutto, inutile sognatore confinato nel limbo dei pensieri notturni…
Riuscirà a farsi questo uomo? Riuscirà a farsi da sé? Riuscirà a partorirsi dopo questa lunga gestazione?

Attraversando il centro mi sorprendevo a immaginare che fra tutta quella gente ci fosse un mio simile. Chissà, mi dicevo, se fra quei ragazzi che sciamano per il centro nell’ora dello shopping ve n’è almeno uno che, scorgendo la propria immagine riflessa fra gli abiti della vetrina, è in grado di avere, chiara e inequivocabile come una conversione sulla via di Damasco, la comprensione che molti uomini, piante e animali debbono essere sfruttati, schiavizzati o uccisi affinché lui, andando a zonzo per la città, questo pomeriggio dopo la scuola possa ammirare, in un negozio fra i tanti che lo attirano, le diverse paia di scarpe da ginnastica di colori deliziosi, di materiale robusto ma dalla linea slanciata, leggere come piume ma adatte ad ogni sforzo; affinché lui possa permettersi, di fronte a tutte quelle paia di mirabile fattura, di restare indeciso, desiderarle tutte e nessuna, con l’indifferenza di chi ha già tutto, acquistarle tutte o lasciarle là, nella loro bella mostra, nella loro artistica esposizione, con un’alzata di spalle. Confrontando il basso costo dei saldi con decine di altri forse avrà l’intuizione del costo umano che deve corrispondere a quella cifra sorprendentemente irrisoria, quasi irreale, che gli consentirebbe adesso di acquistare tutte e tre le paia di scarpe che desidera e di alternarle a seconda dell’abbigliamento e del tempo: un costo altissimo dato dalla somma di lavoro minorile, lavoro nero e deforestazione progressiva. Quel ragazzo resterà schiacciato irreversibilmente dalla scoperta che molte persone, piante, animali sono stati sacrificati affinché lui potesse essere libero di andare a zonzo per la città senza far nulla, di giocare o di sprecare la sua vita.  
Quel ragazzo forse diverrà anche lui un giorno un kamikaze d’Occidente.

Magari riuscissi a sputare, rantolando nella rabbia e nella depressione, qualche minimum morale… Qualcuno potrebbe persino spingersi a dire: perché non hai scritto almeno un’inchiesta giornalistica, qualcosa del genere? Se non opera di pensiero, sarebbe stata comunque meglio di niente, una testimonianza dell’epoca, una nota di costume o di folklore… No, mi viene da scarabocchiare soltanto qualche nota a margine della mia sofferenza o del mio lavoro; non un trattato bensì un diario opportunamente trattato.

Non riuscirò mai apensare. Pensare è trovare qualcosa di diverso. Forse: o si pensa o si soffre. Le prime sofferenze possono servire da motorino d’avviamento per i pensieri, ma quando si soffre troppo non si riesce più a pensare: un motore che s’ingolfa e si spegne… Quel che è certo è che non cercherò una via d’uscita nel bello, nella morte estatica. Continuerò a correre come un matto, a mordermi la coda come un gatto.

Una delle ultime notti ho sognato questo (ho trovato un appunto lasciato in giro dove l’avevo segnato frettolosamente per non dimenticarlo):
Sogno della città ctonia
Ognuno ha il suo appartamentino e lo teniamo bene. Sono tutti monolocali o bilocali. Si può stare da soli o, al massimo, con una persona, un parente o un amico. Nessuno è amante di nessuno.
Io sono solo, cosa che mai più avrei immaginata. Avrei detto che avrei trovato qualcuno qui… Ma forse abita nello stesso quartiere e io non lo so. Nei prossimi giorni darò un’occhiata in giro…


(14-12-10, Nazione Indiana)

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