lunedì 26 dicembre 2011

Scritture di confine

Si è parlato recentemente di una vivace ripresa della poesia, in controtendenza rispetto a quello che succede alla prosa, prosa soprattutto di romanzi, in progressiva svalutazione per via dello strapotere del mercato che li condiziona e degrada profondamente (Andrea Cortellessa, "I poeti sono un bene comune", Corriere della sera, 11-7-11)
Mi vengono in mente tuttavia esempi di stimati autori di poesia che si sono convertiti alla prosa o che coltivano entrambe le forme.
I mondi di Guido Mazzoni (Donzelli, Roma 2010) sono un componimento misto di versi e prosa con andamento meditativo.
Spunti tratti dall'arredo di una strada urbana, da un parcheggio, da squarci di periferia sono occasioni per perimetrare i propri limiti, le proprie reali possibilità e aspettative, e fare pacati, controllati bilanci esistenziali, nonostante l'inquietudine di fondo. Come in questo Parcheggio: "Per non posteggiare la propria auto davanti a un palazzo come questo, per non perseguire avanzamenti di carriera fra i quadri intermedi di una gerarchia aziendale, dovrà attraversare dei conflitti invisibili e feroci con gli esseri che oggi formano il suo mondo, con le persone che ama." (p 28). O nei seguenti passi: "Si protegge prolungando abitudini, costruendo un territorio. Il tuo comincia oltre la porta che hai aperto, fra i passanti sotto i cartelloni, mentre il paesaggio che conosci ti riporta in te stesso, un cielo teso oltre i palazzi, la luce del mattino sopra i tuoi luoghi comuni." (Territori, p 48). "Intanto lottavo, come tutti, perché il mio posto nel mondo corrispondesse ai miei desideri: per rimanere in vita, per non cedere un pezzo troppo grande di me al meccanismo che ci tiene in vita, per occupare posizioni, per catturare lo sguardo degli altri, per compiacere lo sguardo degli altri, per emergere; e tutto intorno, nel movimento delle strade che si aprivano sotto la finestra, nei rumori delle cinquanta stanze che davano sul mio stesso corridoio, migliaia di esseri pullulavano nello stesso spazio: pensionati, immigrati pachistani, segretarie venute da qualche frazione della periferie a consumare il proprio presente in un monolocale mansardato.
Era la vita collettiva in una grande metropoli mondiale, figura accelerata della logica di ogni sistema umano, quella che ognuno di noi ritrova quotidianamente, ma che in realtà non vede mai." (I mondi, p 45)
All'improvviso si avverte la fitta acuta della precarietà: "… l'istante che è appena trascorso si è come svuotato e ti ha lasciato percepire ciò che la mente si nasconde per rimanere nel mondo: lo squilibrio che rinasce intorno agli esseri, l'instabilità che attraversa le cose, e che ora cogli nel vento nato dal lago o nei moti impercettibili di questi alberi irrigiditi dal gelo, mentre il confine che i tuoi gesti rompono e riformano è il presente, e la tua vita è una membrana sottilissima." (L'istante che è appena trascorso, p 55).
L'andamento analitico talvolta gira su se stesso. L'ultima parola è solitudine, punto di partenza e continuum di alcune parti liriche non molto dissimili da quelle in prosa, come questa: "Ogni vita / è solo se stessa: questa luce / bassa sulle case, i primi treni / che aprono il vento e ci sorprendono / in una specie di torpore, / la pastiglia nel bicchiere, gli adolescenti, / nel video che cantano il dolore; / quando sembra che la mente nasconda / a se stessa il gesto di fuggire / la mattinata pura, i fatti nudi, / nel rumore di tutti il tempo che si perde / per essere solo ciò che siamo adesso, / per diventare solo solitudine." (Pure morning p 66).
L'atmosfera di questo testo e persino il suo ritmo interno mi hanno ricordato Tecniche di basso livello di Gherardo Bortolotti (Lavieri, Caserta 2009). Non si tratta di un romanzo tradizionale; potrebbe definirsi un romanzo frammentato o un racconto a mosaico per la composizione a brevi paragrafi, che descrivono una situazione statica, destinata a rimanere priva di sviluppo. La numerazione non progressiva dei paragrafi sottolinea ulteriormente l'impossibile evoluzione della trama. La successione non cronologica degli eventi ribadisce l'assenza di progettualità, di volontà. Il taglio di Bortolotti è più sociologico che psicologico, tuttavia i suoi personaggi dimostrano potenzialità intuitive, per esempio del senso del limite, della scarsa presa sulla loro stessa realtà. Significativamente i personaggi non possiedono neppure nomi propri bensì nomignoli simili ai codici seriali delle macchine (bgmole, kinch), ma in alcune occasionali meditazioni percepiscono vagamente la loro condizione subumana. Ricorrono espressioni come "impegnati in trame minori…", "abituati al ruolo di comparsa…". "Ci eravamo allontanati dai telegiornali, dalla lettura dei quotidiani, perché la realtà era un genere sclerotizzato, una specie di nicchia di mercato sempre più ristretta e lasciata agli addetti ai lavori." (p 17); "Dalle regioni periferiche del benessere, in cui ci eravamo stanziati nei giorni della nostra giovinezza, dirigevamo gli sguardi oltre le feste, gli acquisti del sabato, le domeniche pomeriggio, e non vedevamo niente. La cavità dello stato delle cose era talmente ampia che venivano a raccogliersi, nella sua volta, cirri e cumulonembi." (p 25); "Avventurati in labirinti di piccole decisioni, di piccole deviazioni, avevamo smarrito il nostro codice utente, la parola chiave per accedere alle regioni più dignitose della nostra persona. Lunghe notti trascorrevano sulla nostra incoscienza, sulle poche fortune che avevamo mentre, in tangenziale, echeggiavano lontani i rumori d'automobili." (p 29); "Negli angoli dell'appartamento venivano ad accumularsi questioni irrisolte, concernenti la migliore o peggiore qualità della vita che conducevamo. Le distanze tra lo stato delle cose e la curva dei nostri progetti aumentavano il senso di una conclusione incongrua, di una specie di grosso equivoco sull'estensione ed il valore della nostra vita. Senza morali da trarre, guardavamo il telegiornale, affascinati dalle immagini in movimento." (p 69).   
Un vago senso di appagamento è dato soltanto dalla fruizione degli oggetti di consumo: "Le villette a schiera, i quartieri periferici ci parlavano di un benessere continuo, di una forma socialdemocratica di eternità. Rimanevamo assorti, a volte, fumando fuori dalle pizzerie." ( p 11).
A me pare che quest’attitudine riflessiva, la cui premessa sia un’acuta sensibilità dell’autore, prometta bene.

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