giovedì 31 dicembre 2020

Voltando pagine: le prime

Cosa troviamo in prima pagina nei romanzi di successo? Diamo un’occhiata.

Nel Colibrì di Sandro Veronesi (La nave di Teseo, 2019), ultimo premio Strega, un Narratore forte esercita quattro o cinque volte nella stessa pagina la funzione metanarrativa, prende per mano il lettore, gli anticipa che sta per arrivare una notizia della massima importanza, gli sgombra l’orizzonte da particolari noiosi (“… e per adesso tanto basti: inutile descriverlo oltre, perché una sua descrizione potrebbe risultare noiosa…”), insiste a dire che sta per accadere qualcosa di decisivo, promette, invita… Fa gli onori di casa, fa sentire il lettore ben accolto, di modo che possa accomodarsi nel romanzo come in un luogo confortevole eppure interessante.

domenica 27 dicembre 2020

Dialogo con Kirillov

Questo dialogo con il personaggio dostoevskijano e il frammento successivo, allora inediti, furono pubblicati tramite Francesca Matteoni su Nazione Indiana. Ora si trovano nel terzo romanzo della mia Trilogia della scomparsa (Roberta Salardi, Effigie 2020)

Kirillov

Kirillov non si uccide perché “ha deciso”. Si uccide perché viene trasportato verso la morte da un desiderio profondo. Proclama ai quattro venti la sua teoria del suicidio gratuito finché non trova qualcuno che gliela fa attuare per una propria convenienza. Non si uccide perché lo vuole (o, meglio, lo vuole ma temporeggia): altri, a un certo punto, esigono la dimostrazione della sua teoria (ed è lui stesso a esigerla). Se non ci fosse la stretta finale di Petr Stepànovic, forse rimanderebbe continuamente la decisione, sentendosi in ogni attimo della propria vita libero di scegliere. L’uomo della libertà assoluta fa la fine della pedina…
Non è lui che “ha divorato l’idea”, si legge nei Demoni; “è l’idea che ha divorato lui”.
Non è l’uomo che divora il pensiero, è il pensiero che lo divora.

Kirillov è qui che va su e giù per la mia stanza. Gli dico: “Rilassati, c’è sempre tempo…”
“Ma io voglio affermare la mia libertà! Io non ho paura di niente! Se non lo faccio, non sono dio; sono un uomo qualunque…”
“Che t’importa di essere dio?”
“Ce l’ho con l’idea di dio, quella che hanno inventato e proiettato al di sopra di noi. Quella vile menzogna ci tiene aggiogati. Mi ha rovinato la vita… La voglio tirare giù!”
“Fa’ pure, ma dopo non succederà niente di speciale. Sarai dimenticato come uno qualsiasi. Sarai dimenticato e il mondo non cambierà.”
“Perché non fai qualcosa anche tu? Ognuno dovrebbe fare qualcosa… Inventati qualcosa anche tu…”
“Ti ho invitato da me perché sai pensare… e hai del coraggio… Quasi nessuno ne ha. Molti non si azzardano a pensare per paura, per paura del vero, della tomba ignuda mostrata di lontano, come direbbe il caro Giacomo. Altri, pur essendo esercitati e capaci d’un avvio di ragionamento, non hanno voglia di portarlo avanti, lasciano perdere… si domandano: ma che cosa sto a rimuginare in questa piccola stanza claustrofobica mentre fuori c’è il mondo da godere? E scappano come topi da una nave che affonda…”
“Vili!”
“Tu sei migliore di loro perché, se la logica ti conduce a restare sulla nave che affonda, ci resti. Sei all’altezza del tuo pensiero. Non dirò che tu sia un dio ma per me sei un uomo, e questo è tutto.”
“Credi quello che vuoi. Starò un po’ qui a passeggiare nella tua cameretta, se ti fa piacere, tanto per me è lo stesso passeggiare qui o altrove.”
“Se fossi stato uno dei tuoi amici, ti avrei impedito di ucciderti. Nessuno ha fatto niente per te. Nessuno ha sollevato un’obiezione… Anzi un criminale ha approfittato di te per i suoi piani. Alla fine sei stato usato, un personaggio della tua grandezza…”
“Io e Satov abbiamo fatto discorsi interminabili durante il nostro viaggio in America, notte e giorno, sdraiati sulla nuda terra, lui fervido credente, uomo buono, io ateo convinto… Abbiamo voluto metterci alla prova nelle condizioni peggiori, siamo stati amici poi nemici poi di nuovo amici…”
“Ti avrei detto che il tuo modo di pensare era prezioso, è prezioso. Perché sprecarlo? Per la tua decisione ci sarebbe stato tempo…”
“Non c’è niente di prezioso e io non ho nulla che tu non abbia. Nulla è importante per me tranne uccidere dio. Ho bisogno di liberarmi della sua oppressione.”
“Io non sento questa oppressione, non sento neanche l’idea di dio, a essere sinceri. Capisco che a te dia fastidio la sua falsità, è quella che ti pesa: la sensazione di dover sottostare a un giogo assurdo. Sorge il dubbio tuttavia che la tua vera intenzione sia quella di liberarti dall’oppressione di un’intera società gerarchica e ingiusta e che tu stia sbagliando mira… Non è te stesso che devi colpire.”

lunedì 7 dicembre 2020

Pensieri di una giovane antispecista: un altro estratto dalla "Trilogia"

Fogli sparsi scritti nella tana

Guardavo al di là della strada oltre la curva dove inizia il parco: quello era il punto di fuga verso il bosco, l'unico punto di fuga possibile, l'inizio di tutte le fughe, il passaggio per il bosco… tutte quelle nuvole frondose che quasi si potevano toccare… alberi nuvolosi perché stava per piovere… Erano pieni d'ombra che il vento spostava continuamente tra le foglie. Pieni di pioggia in arrivo e di cambiamenti.

Laggiù la vita sarebbe cambiata completamente: pensieri semplici, pratici: come sopravvivere, come trovare cose da mangiare… Una vita finalmente vera.

Mia madre è uno status. Mia madre è status. La madre è lo Stato. Madre-Stato. Lo status quo. Mai che si sia posta il problema di cosa mangia, di cosa mi dà da mangiare, di cosa usa per vestirsi, per vestirmi. Lo stato delle cose presenti. Senza presentimenti. Madre-single. Solo madre. O madre o niente. O ti mangi questa minestra o salti dalla finestra. Saltare, appunto.

Nella tana arriva il silenzio che piega le cose in due e in quattro come abiti ai piedi del letto. Il silenzio lentamente inizia a fare rumore perché scrive sulle pareti, intaglia graffiti profondi, incide sulla carne il non-ne-posso-più. Il silenzio è silenzio perché lo sto pensando, perché ci sto scrivendo sopra una lettera a mia madre in cui le dico che rinuncio volentieri a tutto quello di cui si circonda, mi circonda: ai cuscini del divano, al cielo stellato e infuocato in rotta di collisione nel suo scialle, agli alberi del giardino e alle urla degli animali. Questo silenzio fa rumore perché ci scrivo sopra, ci parlo dentro da sola, mi fa eco e ripercuote altro silenzio in queste caverne naturali nei boschi. Con esso rifiuto la vita che mi hai dato, mamma, la tua casa confortevole, la tua nonchalance che strappa grida all'universo. Desidero separarmi da tutto il mondo civile. Non voglio più vedere nessuno di voi. Voglio solamente stare in una grotta con dei cuccioli da allevare…

«Mi hanno sparato. Gli animali che sono in me si sono nascosti per non farsi trovare»: questa è una frase sibillina di mia zia (sussurratami un giorno con sorriso complice quand'ero bambina) che mi è rimasta impressa. Cara zia, come mi capiresti! Nemmeno io voglio essere trovata.

Pensieri di una volpe (cosa deve pensare una piccola volpe in cattività)

Essere in trappola, non avere scampo… C'è poco spazio e fa tanto freddo… Correnti fredde arruffano il pelo. La morte è in attesa. Non posso muovermi, scappare, vedere gli alberi, farmi una tana, essere una volpe… Sono nata volpe ma non posso essere una volpe! Non posso essere quella che sono! Mi hanno detto che posso soltanto aspettare la morte, nient'altro. Non cercarla, non inseguirla, non fuggirla: solo aspettarla in un angolo, dietro le sbarre, inascoltata, nel senza-urlo, nel solo-attesa.


Brano tratto da Trilogia della scomparsa di Roberta Salardi (Effigie 2020, pagg 130-131) 


venerdì 4 dicembre 2020

A proposito di realismo, non so se ho mai detto...

... una cosa importante. Piace il "realistico consolatorio", scrive, dopo acute, amare considerazioni, degne di altre lettere a nessuno al femminile (come ho lasciato intendere nel post Naufragare non è dolce) la scrittrice Claudia Zaggia, una mia simile, nel suo Naufraganti (Italic Pequod 2015). Le parole precise sono queste alla pagina 43 del romanzo: "Ormai so che cosa piace a quelli che danno i premi, alle giurie piace il realistico consolatorio facilmente detto e con dei buoni propositi, i buoni propositi sono tutto nella cattiva letteratura." (pag 43). 

Consolatoria o meno, cattiva o buona letteratura che sia, soffermiamoci ancora una volta sul realismo e limitiamoci a riconoscere che in Italia il realismo di stampo sociologico ha avuto una lunga stagione, che dura tuttora.* Anche alcuni romanzi da me citati e apprezzati sono nati nel suo alveo, l'ho ammesso, sebbene non abbia risparmiato attacchi alle sue forme più tradizionali a mio avviso superate (il narratore extradiegetico, il distacco pseudoscientifico).

Va però riconosciuta una valida giustificazione storico-sociale a questa scelta preminente degli scrittori di adesso: la storia italiana recente, come la nostra stessa contemporaneità, è piena di fatti criminosi riconducibili a importanti ed estese organizzazioni dal potere capillarmente diffuso e ben radicato nel territorio. Oltre ai numerosi traffici illeciti, agli scandali frequenti, che lambiscono ruoli e personalità di spicco del mondo politico-finanziario, oltre insomma alle note mafie che per certi aspetti ci rendono famosi nel mondo, non si possono non ricordare gli anni oscuri dei piani eversivi e delle stragi col relativo insabbiamento delle indagini e poi ancora processi legati a gravi reati (per esempio ambientali), che faticano ad arrivare a sentenza.