domenica 22 dicembre 2019

Considerazione sui libri che parlano di scrittori

Uno dei motivi per cui non ho scritto tanti libri è dovuto al fatto che non credo del tutto nelle parole, nella loro capacità di trasformazione del mondo. Vediamo per esempio che il mondo permane largamente ingiusto nonostante i grandi libri che sono stati scritti. Notiamo anche che nella società dell'immagine, o dello spettacolo, è riservato uno spazio sempre più sacrificato alla parola scritta, nonostante vi sia chi si lamenta dell'imbarbarimento del linguaggio. Insomma, l'impressione è che la società lavori contro la pratica della scrittura. Qualcuno potrebbe obiettare: proprio per questo bisogna impegnarsi affinché quest'attitudine di civiltà non venga trascurata e osteggiata. E' vero, ma non siamo solo dei parlesseri, come direbbe Lacan, o dei pensesseri, come direbbe il filosofo del cogito. C'è pur sempre una vita da vivere e una società cui contribuire anche con altre pratiche. C'è il problema più banale di sbarcare il lunario ma c'è anche quello culturale ed esistenziale del discorso inceppato, che rasentava il silenzio, già nel Novecento, con Beckett. Non ammiro particolarmente i romanzi dove il protagonista è uno scrittore che parla del suo essere scrittore o del suo diventare o non diventare scrittore. Questo ha funzionato alcune volte, è stato significativo in alcuni contesti, ma ripetuto ulteriormente rischierebbe di suonare ridondante, e classista persino, quasi la protesta per un privilegio che non si ha più. Con l'aumento di precarietà e disoccupazione sarebbe assurdo che qualcuno si lamentasse di non essere riuscito a fare lo scrittore di professione, magari premiato, intervistato e invitato periodicamente a fare comparsate televisive.
Mentre ha senso aspirare a veder pubblicati i frutti del proprio lavoro, meno senso ha pretendere una vera e propria carriera come per una qualsiasi altra professione. Non mi convince l'imborghesimento dell'arte.
Spostandoci sui contenuti, alle trame con il narcisismo dello scrittore in primo piano preferisco decisamente un romanzo come Memoriale di Volponi, dove si parla di un operaio che non riesce a fare l'operaio.

giovedì 5 dicembre 2019

Un buco nero di silenzio

Un buco nero di silenzio*: è così che a volte si percepisce l'universo. E tuttavia: "sono appassionata di vuoto,"** trovo scritto nel recente romanzo di una esordiente.
Molti romanzi di donne sono introspettivi.
E' cosa da festeggiare, dal momento che capita frequentemente di sfogliare libri e bestseller che sembrano commissionati sulla base di regole troppo commerciali e riproducono quasi in serie note false o stonate; sembrano di plastica pure loro, come le tante merci che ci sommergono. In altre parole, sembrano ingiustificati. Tuttavia l'umanità continua a esistere, con le sue incertezze e sofferenze, e a formulare inquieti interrogativi sull'esistenza, forse timidamente, forse in maniera appena percettibile in mezzo al frastuono di forme mediatiche in altre faccende affaccendate. Ho l'impressione che questa voce sottile ma acuta, portatrice di amore per la verità, sia soprattutto incarnata da donne che scrivono. E' solamente un'impressione, poiché non sono in grado di leggere tutto ciò che si produce, ma ho alcuni riscontri. 
Penso a libri come Il peso minimo della bellezza di Azzurra de Paola (LiberAria, Bari 2016), penso a Metapsicologia rosa di Alessandra Saugo, prematuramente scomparsa (Feltrinelli, Milano 2017), penso al recentissimo Ritmi di veglia di Raffaella d'Elia (Exorma, Roma 2019), dove paiono risuonare antiche massime come "La filosofia è vita da svegli" oppure "Sapere è soffrire" oppure il leopardiano "Tutto è male". Potrei citare anche Maestoso è l'abbandono di Sara Gamberini (Hacca edizioni, Matelica 2018) oppure Disturbi di luminosità di Ilaria Palombi (Gaffi, Roma 2018), più legati a traumi e a esperienze psicotiche vere e proprie. Negli ultimi due testi elencati, così come in Metapsicologia rosa, è significativo il dialogo desiderato/contrastato con lo psicanalista; mentre l'ombra dell'inadeguatezza o di una malattia, invalidante e insieme pungolante, incombe in Ritmi di veglia di Raffaella D'Elia***. Infine, nel Peso minimo della bellezza compare più di una volta, invano, l'esortazione a "trasformare la rabbia in energia pulita" (per es. a pag 119).