Su questo tormentone del videogioco degl’insetti, chiamato confidenzialmente “giocare a mangiarsi”, su questa febbre contagiosa (e perniciosa per la nostra società), finora le televisioni e i giornali ci hanno detto il meno, mi sembra. Ah sì? Vuoi scherzare! E gl’indugi raccapriccianti della telecamera sulle pozze di sangue negl’interni della gente normale, nelle case di famiglie tranquille, felici, e talora la veduta persino (benché rapida, da guardoni timidi) di quei corpi stritolati (orrore!) da avvinghiamenti spinosi, da abbracci irti d’aculei, o dai colpi di mandibola di un microcosmo zoologico ingranditosi a scala umana, e le facce delle vittime sfigurate gonfie livide per i baci maritali filiali fraterni, non già dati, dardeggiati inferti con il pungiglione e il veleno? Insomma, non siamo informati ancora abbastanza? Gl’imitatori degli insetti e i discepoli dell’arte di uccidere loro propria sono seguiti e quasi adulati, semmai, dalle televisioni e dai giornali. E godono di spazi televisivi e hanno dei ritagli da sventolare (le sbrodolate degli opinion makers) più che qualsiasi seguace d’altre mode e setta d’assassini convenzionali. Come si fa a sostenere che i mass media occultano la verità? O una parte. E che ci abbiano detto il meno su certe conseguenze delittuose (entro le mura domestiche, principalmente) della passione nazionale, della mania dilagante inarrestabile per questo videogioco degl’insetti: che a chiamarlo “giocare a mangiarsi” adesso vengono davvero i brividi. Purché si sia immuni, ancora, da un contagio furioso. Purché si sia ancora, oltracciò, dotati di coscienza umana, non dell’istinto infallibile di un automa qual è l’insetto, virtuale, siamo d’accordo, ma diventato nostro padrone, nostro pilota cibernetico, dacché abbiamo deciso, stolti, di chiuderci nella sua corazza e di aprire un sito (scusate il bisticcio di parole), d’aprire (tra gli insetti!) un sito-internet, e, va da sé, di chiuderci (noi uomini!) in quelle loro corazze d’ombra. Là, nel Theatro degli entòmati. Là, nel Theatro degli autòmati.
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giovedì 19 gennaio 2012
venerdì 30 dicembre 2011
Un puma
Racconto inedito di Vincenzo Pardini
Le stagioni hanno rinnegato le antiche consuetudini. Il loro equilibrio si è rotto, spezzato come gli arti di un gigante che non riesce più a percorrere monti, valli e pianure. Prigioniero della sua disgrazia. Pioggia, vento o neve, può così accadere che si riversino su di noi nel momento più inaspettato. Addirittura di primavera. Una notte, il vento, si è abbattuto nella mia contrada divellendo castagni e querce secolari. Il mondo sembrava in bilico. Tornavo a casa il mattino presto, ancora a buio, allorché i fari della macchina illuminarono qualcosa sul ciglio della via; un qualcosa simile, per forma e mole, a un cane Corso. Ma dal ciglio in cui si trovava, balzò su quello opposto, scomparendo tra gli alberi. Volli credere fosse un’illusione creata dal vento, un alternarsi di ombre. Tra le nubi, la Luna andava e veniva come i sussulti di un dolore. A casa trovai la tettoia del loggiato divelta.
M’ero dimenticato del balzo della bestia in mezzo al vento quando, giorni dopo, un uomo del paese mi disse d’aver intravisto un grosso felino, colore rossiccio, nei pressi dei cassonetti dell’immondizia. Ma, in men che non si dica, era schizzato via, la lunga coda inarcata, scomparendo al di là del parapetto. Ricordai, allora, le teste di volpe, gatto e istrice che, durante l’inverno, i miei cani trovavano nelle piane degli oliveti, ancora insanguinate. Nel periodo della neve, lungo la via che scende nel bosco, avevo veduto delle impronte di forma rotonda più larghe di un tacco di scarpone di montagna, inoltrarsi nel folto. Pensavo fossero della lince. Erano invece del grosso felide. Dovetti, quindi, dare credito a ciò che m’aveva detto, d’estate, un amico: d’aver scorto, mentre in macchina risaliva la strada, le zampe posteriori d’un insolito animale dileguarsi nei cespugli. Conversando con un orologiaio, che sapevo essere anche cacciatore, gli dissi che, dalle mie parti, era stato avvistato un grosso felino. Toltosi il monocolo, e smesso di lavorare tra molle e rubini, narrò: “Due anni fa, una notte di maggio, nei pressi della rotonda delle Tre strade, mi sono trovato davanti i fanali della macchina, quello che americani e pellerossa chiamano leone di montagna, ossia il puma. Non credevo ai miei occhi. Se ne andava tranquillo lungo il margine della via maestra, finchè non svoltò nel sentiero dei campi e dei prati. Non ne parlai con nessuno. Chi m’avrebbe creduto?”. Gli raccontai, allora, della mattina del vento e il resto. Tirato un sospiro di sollievo, aggiunse: “Bene, non sono più il solo ad averlo visto”.
Le stagioni hanno rinnegato le antiche consuetudini. Il loro equilibrio si è rotto, spezzato come gli arti di un gigante che non riesce più a percorrere monti, valli e pianure. Prigioniero della sua disgrazia. Pioggia, vento o neve, può così accadere che si riversino su di noi nel momento più inaspettato. Addirittura di primavera. Una notte, il vento, si è abbattuto nella mia contrada divellendo castagni e querce secolari. Il mondo sembrava in bilico. Tornavo a casa il mattino presto, ancora a buio, allorché i fari della macchina illuminarono qualcosa sul ciglio della via; un qualcosa simile, per forma e mole, a un cane Corso. Ma dal ciglio in cui si trovava, balzò su quello opposto, scomparendo tra gli alberi. Volli credere fosse un’illusione creata dal vento, un alternarsi di ombre. Tra le nubi, la Luna andava e veniva come i sussulti di un dolore. A casa trovai la tettoia del loggiato divelta.
M’ero dimenticato del balzo della bestia in mezzo al vento quando, giorni dopo, un uomo del paese mi disse d’aver intravisto un grosso felino, colore rossiccio, nei pressi dei cassonetti dell’immondizia. Ma, in men che non si dica, era schizzato via, la lunga coda inarcata, scomparendo al di là del parapetto. Ricordai, allora, le teste di volpe, gatto e istrice che, durante l’inverno, i miei cani trovavano nelle piane degli oliveti, ancora insanguinate. Nel periodo della neve, lungo la via che scende nel bosco, avevo veduto delle impronte di forma rotonda più larghe di un tacco di scarpone di montagna, inoltrarsi nel folto. Pensavo fossero della lince. Erano invece del grosso felide. Dovetti, quindi, dare credito a ciò che m’aveva detto, d’estate, un amico: d’aver scorto, mentre in macchina risaliva la strada, le zampe posteriori d’un insolito animale dileguarsi nei cespugli. Conversando con un orologiaio, che sapevo essere anche cacciatore, gli dissi che, dalle mie parti, era stato avvistato un grosso felino. Toltosi il monocolo, e smesso di lavorare tra molle e rubini, narrò: “Due anni fa, una notte di maggio, nei pressi della rotonda delle Tre strade, mi sono trovato davanti i fanali della macchina, quello che americani e pellerossa chiamano leone di montagna, ossia il puma. Non credevo ai miei occhi. Se ne andava tranquillo lungo il margine della via maestra, finchè non svoltò nel sentiero dei campi e dei prati. Non ne parlai con nessuno. Chi m’avrebbe creduto?”. Gli raccontai, allora, della mattina del vento e il resto. Tirato un sospiro di sollievo, aggiunse: “Bene, non sono più il solo ad averlo visto”.
giovedì 29 dicembre 2011
La mosca di Rousseau
Incipit di un romanzo inedito di Meeten Nasr
Capitolo I
Sera del 1° settembre 1976
Intanto che ne è del progetto di una autobiografia? La risposta che subito mi si affaccia è: primum vivere. Ma andrebbe anche fatta qualche riflessione più seria, senza farsi disturbare dal telefono o dagli amici ma soprattutto senza farsi turbare dalle fobie, dai desideri, dal timore di essere abbandonati. E ciò potrà avvenire solo quando la riflessione stessa diventerà il senso di sé, la compagnia desiderata, l’amante totale.
3 settembre 1976
Ripenso alle varie peripezie e alla crisi che il mese scorso, passato a Londra con Angela (mia attuale compagna) ha generato: lacerazioni, dubbi, regressioni che hanno vanificato ogni tentativo di stabilire fra noi rapporti di affetto e di studio, di aiuto reciproco, almeno. Impossibile reprimere la ripetizione di quei gesti di difesa che alla fine terminavano in un rinnovo di angosciosa instabilità. Inizio così oggi a scriverne su questo quaderno, spero con continuità.
Capitolo I
Sera del 1° settembre 1976
Intanto che ne è del progetto di una autobiografia? La risposta che subito mi si affaccia è: primum vivere. Ma andrebbe anche fatta qualche riflessione più seria, senza farsi disturbare dal telefono o dagli amici ma soprattutto senza farsi turbare dalle fobie, dai desideri, dal timore di essere abbandonati. E ciò potrà avvenire solo quando la riflessione stessa diventerà il senso di sé, la compagnia desiderata, l’amante totale.
3 settembre 1976
Ripenso alle varie peripezie e alla crisi che il mese scorso, passato a Londra con Angela (mia attuale compagna) ha generato: lacerazioni, dubbi, regressioni che hanno vanificato ogni tentativo di stabilire fra noi rapporti di affetto e di studio, di aiuto reciproco, almeno. Impossibile reprimere la ripetizione di quei gesti di difesa che alla fine terminavano in un rinnovo di angosciosa instabilità. Inizio così oggi a scriverne su questo quaderno, spero con continuità.
mercoledì 28 dicembre 2011
Che più azzurro non si può
Romanzo inedito
Dal capitolo "Verso l'Explò"
Un uomo della Provvidenza era chiamato a salvarci da un altro uomo della Provvidenza. Andando avanti di questo passo dove si voleva arrivare?
La paura cresceva di giorno in giorno. P come paura, P come pensioni. Qui si aspettava il taglio più grosso, la vera mannaia.
"Dobbiamo rimettere in moto Crescita…" diceva il governo tecnico di esperti. Era diventato un nome proprio Crescita, ne parlavano come di una persona, la signora Crescita in sedia a rotelle da rimettere in movimento. Lazzaro, al confronto, non aveva goduto di così tante attenzioni…
Il Patron de' Paperoni, dietro le quinte, dava utili consigli, faceva ora il grande suggeritore e soprattutto ripeteva: "Guai a toccare i grandi patrimoni! Fine! Rovina! Fulmini e saette!"
Ragazzi, non ci crederà nessuno, ma nel 2012 altroché fine del mondo… dovevamo vedere il mondo ringiovanire: i vecchietti in rivolta con i giovani e tutti a rifare un'altra società, molto più bella e giusta.
Dal capitolo "Verso l'Explò"
Un uomo della Provvidenza era chiamato a salvarci da un altro uomo della Provvidenza. Andando avanti di questo passo dove si voleva arrivare?
La paura cresceva di giorno in giorno. P come paura, P come pensioni. Qui si aspettava il taglio più grosso, la vera mannaia.
"Dobbiamo rimettere in moto Crescita…" diceva il governo tecnico di esperti. Era diventato un nome proprio Crescita, ne parlavano come di una persona, la signora Crescita in sedia a rotelle da rimettere in movimento. Lazzaro, al confronto, non aveva goduto di così tante attenzioni…
Il Patron de' Paperoni, dietro le quinte, dava utili consigli, faceva ora il grande suggeritore e soprattutto ripeteva: "Guai a toccare i grandi patrimoni! Fine! Rovina! Fulmini e saette!"
Ragazzi, non ci crederà nessuno, ma nel 2012 altroché fine del mondo… dovevamo vedere il mondo ringiovanire: i vecchietti in rivolta con i giovani e tutti a rifare un'altra società, molto più bella e giusta.
martedì 27 dicembre 2011
Che più azzurro non si può
Romanzo inedito
Un brano tratto dal capitolo "Verso l'Explò"
Niente da fare. Lo spid rimbalzava da tutte le parti come una scheggia impazzita. Dalle piazze del mondo facevano sloggiare rapidamente gli indignati, che così diventavano desaparesidi.
Mio marito nei suoi sonni lunghissimi faraonici sognava la Lagrand.
"E chi è la Lagrand?"
"Come? Non sai chi è la nuova presidentessa del Fondo monetario, quella dagli occhi magnetici magmatici come un drago?"
"Mah, a me sembrano tutti dei draghi…" faceva eco uno dei pensionati.
L'intera casa di riposo era in subbuglio. Si parlava di tagliarci le pensioni, ohè!
Un brano tratto dal capitolo "Verso l'Explò"
Niente da fare. Lo spid rimbalzava da tutte le parti come una scheggia impazzita. Dalle piazze del mondo facevano sloggiare rapidamente gli indignati, che così diventavano desaparesidi.
Mio marito nei suoi sonni lunghissimi faraonici sognava la Lagrand.
"E chi è la Lagrand?"
"Come? Non sai chi è la nuova presidentessa del Fondo monetario, quella dagli occhi magnetici magmatici come un drago?"
"Mah, a me sembrano tutti dei draghi…" faceva eco uno dei pensionati.
L'intera casa di riposo era in subbuglio. Si parlava di tagliarci le pensioni, ohè!
Che più azzurro non si può
Romanzo inedito
Dal capitolo "Verso l'Explò"
Lo spid! Lo spid! Era quello il terribile pericolo. Come Spidi Gonzales ci correva dietro, mandava tutto a gambe all'aria: governi, Stati sovrani e non sovrani, perfino continenti e superpotenze. Lo spid era il debito che si era messo a crescere da far paura e nessuno riusciva più a fermarlo. La Mercegalla gridava che eravamo sull'orlo del baratro e stavamo per caderci dentro.
Il governo aveva fatto alcuni annunci ma poi se li era rimangiati. Era impossibile, per esempio, dimezzare il numero dei parlamentari, una cosa proprio contronatura quasi come un karakiri… Oppure trovare gli evasori delle tasse: quelli stavano nei paradisi tropicali e noi, in paradiso, non potevamo farci nemmeno una capatina per catturarli.
Dal capitolo "Verso l'Explò"
Lo spid! Lo spid! Era quello il terribile pericolo. Come Spidi Gonzales ci correva dietro, mandava tutto a gambe all'aria: governi, Stati sovrani e non sovrani, perfino continenti e superpotenze. Lo spid era il debito che si era messo a crescere da far paura e nessuno riusciva più a fermarlo. La Mercegalla gridava che eravamo sull'orlo del baratro e stavamo per caderci dentro.
Il governo aveva fatto alcuni annunci ma poi se li era rimangiati. Era impossibile, per esempio, dimezzare il numero dei parlamentari, una cosa proprio contronatura quasi come un karakiri… Oppure trovare gli evasori delle tasse: quelli stavano nei paradisi tropicali e noi, in paradiso, non potevamo farci nemmeno una capatina per catturarli.
lunedì 26 dicembre 2011
Che più azzurro non si può
Romanzo inedito
Un brano tratto dal capitolo "Verso l'Explò"
C'era un gran parlare di un transatlantico sballottato dai venti e dalle tempeste. Questo transatlantico navigava in cattive acque e l'altezza delle onde, come montagne russe, la si poteva constatare e apprezzare (a seconda dei punti di vista) nel grafico dell'andamento delle borse, grafico che era sempre in prima pagina quando scendeva ai minimi storici e come prima notizia nei telegiornali di tutta quella burrascosa estate. Con la paura degli uragani o dei fuochi nella stiva, si facevano grandi manovre per mettere al sicuro i tesori che su quel transatlantico da qualche parte dovevano essere stipati e nascosti. Si manovrava molto e si buttavano giù pesi per alleggerire il carico stracarico, mentre non si poneva limite al crescere delle ricchezze stipate, anzi si doveva far loro sempre più posto nella stiva e buttare a mare un sacco di pesi inutili.
Dovevamo rimboccarci le maniche e darci un gran da fare per tenere a galla casinò e piste da ballo, piscine, auto di lusso, aperitivi e cocteil. E, nonostante quel gran lavorare, stavamo ogni giorno col fiato sospeso per la sorte del transatlantico carico di tesori, idromassaggi e campi da tennis e sale giochi, banche e locali notturni e roulette russe che facevano girare la testa… dove ogni tanto qualcuno, per la gran noia di stare in mezzo a troppi divertimenti, prendeva l'accendino e così, per togliersi uno sfizio, dava fuoco ai miliardi: "Oggi bruciati 200 miliardi sul transatlantico Eurozona," scrivevano i giornali, oppure "Oggi bruciati 100 miliardi più di ieri"!
Dopodiché qualcuno scendeva nella stiva a guardare: ma c'erano ancora le ricchezze?
Oltre che un grosso animale col naso schiacciato per essersi buttato a capofitto nel mare, l'Europa somigliava ogni giorno di più a un castello dell'orrore pieno di divertimenti paurosi e pazzeschi.
Un brano tratto dal capitolo "Verso l'Explò"
C'era un gran parlare di un transatlantico sballottato dai venti e dalle tempeste. Questo transatlantico navigava in cattive acque e l'altezza delle onde, come montagne russe, la si poteva constatare e apprezzare (a seconda dei punti di vista) nel grafico dell'andamento delle borse, grafico che era sempre in prima pagina quando scendeva ai minimi storici e come prima notizia nei telegiornali di tutta quella burrascosa estate. Con la paura degli uragani o dei fuochi nella stiva, si facevano grandi manovre per mettere al sicuro i tesori che su quel transatlantico da qualche parte dovevano essere stipati e nascosti. Si manovrava molto e si buttavano giù pesi per alleggerire il carico stracarico, mentre non si poneva limite al crescere delle ricchezze stipate, anzi si doveva far loro sempre più posto nella stiva e buttare a mare un sacco di pesi inutili.
Dovevamo rimboccarci le maniche e darci un gran da fare per tenere a galla casinò e piste da ballo, piscine, auto di lusso, aperitivi e cocteil. E, nonostante quel gran lavorare, stavamo ogni giorno col fiato sospeso per la sorte del transatlantico carico di tesori, idromassaggi e campi da tennis e sale giochi, banche e locali notturni e roulette russe che facevano girare la testa… dove ogni tanto qualcuno, per la gran noia di stare in mezzo a troppi divertimenti, prendeva l'accendino e così, per togliersi uno sfizio, dava fuoco ai miliardi: "Oggi bruciati 200 miliardi sul transatlantico Eurozona," scrivevano i giornali, oppure "Oggi bruciati 100 miliardi più di ieri"!
Dopodiché qualcuno scendeva nella stiva a guardare: ma c'erano ancora le ricchezze?
Oltre che un grosso animale col naso schiacciato per essersi buttato a capofitto nel mare, l'Europa somigliava ogni giorno di più a un castello dell'orrore pieno di divertimenti paurosi e pazzeschi.
sabato 24 dicembre 2011
Incipit
del romanzo inedito Nell’altra stanza
Ricordo ancora il sogno di questa notte. E’ raro che ricordi i miei sogni perciò mi affretto ad annotarlo, sebbene sia un incubo.
Con pochi euro, dati alla custode di un cimitero dall’aspetto di una bibliotecaria, si poteva comunicare con i morti. Un ascensore costruito su ogni tomba conduceva dal defunto desiderato, come se questi si fosse trovato in un suo appartamentino, in un salotto in cui riceveva. Un folto gruppo di familiari aspettava di scendere da un bambino sepolto da pochi giorni; ma si erano formate code anche di fronte ad altre lapidi. Io ero in coda non so per chi e, avvicinandomi sempre di più alla meta...
mercoledì 21 dicembre 2011
Note a margine di un kamikaze d'Occidente
Dal romanzo inedito Nell'altra stanza
Sono cambiato. Sono cambiato? Sono finalmente un uomo-macchina, un uomo col motore, un uomo con le ali ai piedi? Produco? Faccio ricchezza? Vivo in velocità? Sono dinamico e flessibile? Di giorno fattorino motorizzato, di notte ombroso pensatore… macchinoso pensatore… velocista e ricercatore di pensieri ricercati… intellettuale cupo come uno stoico in esilio (Vivi nascosto…), uomo primitivo nell’elaborazione del lutto, inutile sognatore confinato nel limbo dei pensieri notturni…
Riuscirà a farsi questo uomo? Riuscirà a farsi da sé? Riuscirà a partorirsi dopo questa lunga gestazione?
Attraversando il centro mi sorprendevo a immaginare che fra tutta quella gente ci fosse un mio simile. Chissà, mi dicevo, se fra quei ragazzi che sciamano per il centro nell’ora dello shopping ve n’è almeno uno che, scorgendo la propria immagine riflessa fra gli abiti della vetrina, è in grado di avere, chiara e inequivocabile come una conversione sulla via di Damasco, la comprensione che molti uomini, piante e animali debbono essere sfruttati, schiavizzati o uccisi affinché lui, andando a zonzo per la città, questo pomeriggio dopo la scuola possa ammirare, in un negozio fra i tanti che lo attirano, le diverse paia di scarpe da ginnastica di colori deliziosi, di materiale robusto ma dalla linea slanciata, leggere come piume ma adatte ad ogni sforzo; affinché lui possa permettersi, di fronte a tutte quelle paia di mirabile fattura, di restare indeciso, desiderarle tutte e nessuna, con l’indifferenza di chi ha già tutto, acquistarle tutte o lasciarle là, nella loro bella mostra, nella loro artistica esposizione, con un’alzata di spalle. Confrontando il basso costo dei saldi con decine di altri forse avrà l’intuizione del costo umano che deve corrispondere a quella cifra sorprendentemente irrisoria, quasi irreale, che gli consentirebbe adesso di acquistare tutte e tre le paia di scarpe che desidera e di alternarle a seconda dell’abbigliamento e del tempo: un costo altissimo dato dalla somma di lavoro minorile, lavoro nero e deforestazione progressiva. Quel ragazzo resterà schiacciato irreversibilmente dalla scoperta che molte persone, piante, animali sono stati sacrificati affinché lui potesse essere libero di andare a zonzo per la città senza far nulla, di giocare o di sprecare la sua vita.
Quel ragazzo forse diverrà anche lui un giorno un kamikaze d’Occidente.
martedì 20 dicembre 2011
Dialogo con Kirillov
Dal romanzo inedito Nell'altra stanza
Kirillov non si uccide perché “ha deciso”. Si uccide perché viene trasportato verso la morte da un desiderio profondo. Proclama ai quattro venti la sua teoria del suicidio gratuito finché non trova qualcuno che gliela fa attuare per una propria convenienza. Non si uccide perché lo vuole (o, meglio, lo vuole ma temporeggia): altri, a un certo punto, esigono la dimostrazione della sua teoria (ed è lui stesso a esigerla). Se non ci fosse la stretta finale di Petr Stepànovic, forse rimanderebbe continuamente la decisione, sentendosi in ogni attimo della propria vita libero di scegliere. L’uomo della libertà assoluta fa la fine della pedina…
Non è lui che “ha divorato l’idea”, si legge nei Demoni; “è l’idea che ha divorato lui”.
Non è l’uomo che divora il pensiero, è il pensiero che lo divora.
Kirillov è qui che va su e giù per la mia stanza. Gli dico: “Rilassati, c’è sempre tempo…”
“Ma io voglio affermare la mia libertà! Io non ho paura di niente! Se non lo faccio, non sono dio; sono un uomo qualunque…”
“Che t’importa di essere dio?”
“Ce l’ho con l’idea di dio, quella che hanno inventato e proiettato al di sopra di noi. Quella vile menzogna ci tiene aggiogati.Mi ha rovinato la vita…La voglio tirare giù!”
“Fa’ pure, ma dopo non succederà niente di speciale. Sarai dimenticato come uno qualsiasi. Sarai dimenticato e il mondo non cambierà.”
“Perché non fai qualcosa anche tu? Ognuno dovrebbe fare qualcosa... Inventati qualcosa anche tu…”
martedì 13 dicembre 2011
Top model d'oltretomba
L'incipit del primo racconto della raccolta Mannequins
L'unica vistosa stranezza era dovuta al fatto che nell'imbalsamatura non si riuscivano a conservare gli occhi aperti. Mettere le biglie di vetro avrebbe creato un effetto troppo falso. Infine i truccatori dovevano essersi rassegnati a lasciare le palpebre abbassate, come per pudore: dopotutto si sarebbe potuto pur sempre mettere in risalto il morbido effetto del mascara. Quell'ombreggiatura sul levigatissimo viso conferiva anzi l'impressione di un sonno sereno, così da meritare alle fanciulle la dolce sembianza di dormienti.
Quelle ragazze perlopiù erano morte di morte naturale e le madri ne avevano fatto imbalsamare i corpi per trasferirle così, nel fiore degli anni, nei campi elisi della bellezza eterna. Alcune di esse, defunte, erano persino diventate top model o comparse nei film. Mentre le membra venivano svuotate e riempite di sostanze chimiche, naturalmente, venivano anche un po' corrette, dimodoché tutte quelle infelici creature, così sfortunate in vita, restavano su questa terra in figura di corpi perfetti. Tant'è vero che, a proposito di questa nuova usanza, qualche critico parlava già con convinzione di body art.
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