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lunedì 2 gennaio 2012

Non sono nata da una costola né dalla casta


Fino a non molto tempo fa una scrittrice nota e considerata era in numerosi casi la moglie di uno scrittore noto e considerato (Elsa Morante, Dacia Maraini, Carmen Llera, per citarne almeno tre, furono in momenti successivi mogli dello stesso scrittore, Alberto Moravia) oppure una personalità bizzarra e isterizzante, talvolta un vero e proprio caso di psicosi conclamata (Alda Merini e Amelia Rosselli, per fare due esempi arcinoti). Nel primo folto gruppo possiamo includere tranquillamente tutte le figlie e parenti d'arte (citiamone una famosissima, Margaret Mazzantini, e una giovanissima Viola Di Grado). I casi parentali sono facilmente spiegabili. Come spiegare invece quello della deferenza verso la follia?
In passato esisteva il fenomeno della glossolalia: il delirio psicotico veniva interpretato come lingua degli dei. Ecco, l'ammirazione per molte poetesse deriva a mio parere anche da qui: la donna-poeta, la donna-folle si situa nel solco delle sibille. Molti personaggi femminili del mito e della letteratura antica sono "pazze" che dicono il vero, spesso non credute, mezze imparentate con gli dei mezze disprezzate dagli uomini: Cassandra e Antigone sono due esempi eccellenti, ma di striscio entra nel gruppo anche la Sfinge, colei che pone indovinelli irrisolvibili, colei che conosce verità inaccettabili… Alla donna è concessa la poesia, restiamo nella tradizione, anche perché, come si sa, la produzione di raccolte, opuscoli e carte poetiche non s'intreccia coi grandi giri d'affari dell'editoria. Più legata a dinamiche di mercato, carriera e successo è invece la produzione di narrativa.

mercoledì 7 dicembre 2011

Le leggi non scritte

Esistono delle leggi non scritte, diceva Antigone al tiranno della sua città, che non le permetteva di seppellire il corpo del fratello, reo di aver combattuto contro la patria. L'argomento di una tragedia greca molto antica (V secolo a.C.), una delle prime di Sofocle, si rivela oggi di straordinaria attualità. Queste leggi profonde dentro di noi pare che reclamino universalmente, in tempi e luoghi diversi, sotto qualunque sistema o regime, rispetto per i morti e per i loro familiari. Come hanno dimostrato negli ultimi decenni le vicende di Nancy Cruzan negli Stati Uniti, di Ramòn Sampedro in Spagna, di Vincent Humbert in Francia, di Piergiorgio Welby in Italia, o il drammatico caso di Eluana Englaro non ancora concluso, è sentimento generale che tali leggi debbano estendersi anche a chi non può vivere in condizioni degne di essere vissute e invoca una morte che la società tecnologicamente avanzata gli ha tolta, o a chi è tuttora sospeso in un limbo premortale mentre diversi macchinari collegati a parti del suo corpo espletano funzioni che il suo organismo nel complesso non è più in grado di organizzare. Piergiorgio Welby, nel suo libro, chiama morti insepolti coloro che giacciono anni e anni, persino decenni, in uno stato vegetativo permanente.
Il coro di filosofi, medici, giuristi, opinionisti che in questi anni si sono espressi in materia di diritti del morente è l'eco di un sentire che viene da molto lontano, dalla tragedia antica come dalle riflessioni di pensatori di tutti i tempi, amici della conoscenza e del genere umano.
Ho voluto lasciare a questo coro di voci la sua voce, poiché è come se ci trovassimo ancora di fronte a una tragedia.