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sabato 3 dicembre 2011

I due bambini e il labirinto

Pirandello diceva che i fatti sono come i sacchi vuoti. Bisogna vedere quello che c’è dentro.
La tragica vicenda di Gravina di Puglia, piena di abbagli, errori, sbandamenti,   rivela una volta di più la natura emotiva del nostro pensare e agire. Per cui ipotizzare che due fratellini, correndo, siano semplicemente inciampati e scivolati in un pozzo trovandovi la morte, non ci basta. La storia non si chiude così. Non riusciamo a chiudere questa storia., a lasciarcela alle spalle, forse perché suscita le nostre più terribili angosce: la paura di essere murati vivi, di restare intrappolati da qualche parte senza via d’uscita, di rimanere compressi e soffocati in poco spazio. Tutte angosce riconducibili, secondo Franco Fornari, al trauma della nascita.
E questa storia mostra come un nervo scoperto l’ancestrale mito del Labirinto. Secondo l’analisi psicologica esso è simbolo del corpo materno, con il suo percorso difficile per arrivare alla luce. Ma nell’elaborazione mitica, su base storica, avviene uno spostamento dalla Madre alla Città, per cui il contenitore chiuso e insidioso è rappresentato a tutti gli effetti dalla società (sappiamo che questo mito ha pure un ancoraggio storico, ricollegandosi ai tributi ateniesi da pagare ai cretesi e ai sacrifici da compiere nei confronti di un dominatore straniero).
Il labirinto è anche un archetipo letterario, come sappiamo, più volte ripreso pure nel Novecento. Lo scrittore Antonio Moresco, polemizzando a distanza, nel suo saggio Il vulcano (1999), con Italo Calvino, celebre ideatore di labirinti letterari molto astratti e cerebrali, sottolineava che in ogni labirinto c’è sempre un mostro. Può essere utile tenere presente questa riflessione. Non ci sono veri labirinti puramente ludici, ma, se accade che una situazione divenga intricatissima, è quasi certo che rivelerà un risvolto drammatico e che qualcuno avrà serie responsabilità.