venerdì 30 dicembre 2011

Perché scrivo anch'io delle "lettere a nessuno"?

Perché mi sento inascoltata, i miei inediti ignorati o trattati con indifferenza.
Con i miei articoli e frammenti, gettati come sassi nello stagno del web, spero che si formino delle onde, degli echi che trasmettano messaggi dove non posso arrivare.

Un puma

Racconto inedito di Vincenzo Pardini

Le stagioni hanno rinnegato le antiche consuetudini. Il loro equilibrio si è rotto, spezzato come gli arti di un gigante che non riesce più a percorrere monti, valli e pianure. Prigioniero della sua disgrazia. Pioggia, vento o neve, può così accadere che si riversino su di noi nel momento più inaspettato. Addirittura di primavera. Una notte, il vento, si è abbattuto nella mia contrada divellendo castagni e querce secolari. Il mondo sembrava in bilico. Tornavo a casa il mattino presto, ancora a buio, allorché i fari della macchina illuminarono qualcosa sul ciglio della via; un qualcosa simile, per forma e mole, a un cane Corso. Ma dal ciglio in cui si trovava, balzò su quello opposto, scomparendo tra gli alberi. Volli credere fosse un’illusione creata dal vento, un alternarsi di ombre. Tra le nubi, la Luna andava e veniva come i sussulti di un dolore. A casa trovai la tettoia del loggiato divelta.
M’ero dimenticato del balzo della bestia in mezzo al vento quando, giorni dopo, un uomo del paese mi disse d’aver intravisto un grosso felino, colore rossiccio, nei pressi dei cassonetti dell’immondizia. Ma, in men che non si dica, era schizzato via, la lunga coda inarcata, scomparendo al di là del parapetto. Ricordai, allora, le teste di volpe, gatto e istrice che, durante l’inverno, i miei cani trovavano nelle piane degli oliveti, ancora insanguinate. Nel periodo della neve, lungo la via che scende nel bosco, avevo veduto delle impronte di forma rotonda più larghe di un tacco di scarpone di montagna, inoltrarsi nel folto. Pensavo fossero della lince. Erano invece del grosso felide. Dovetti, quindi, dare credito a ciò che m’aveva detto, d’estate, un amico: d’aver scorto, mentre in macchina risaliva la strada, le zampe posteriori d’un insolito animale dileguarsi nei cespugli. Conversando con un orologiaio, che sapevo essere anche cacciatore, gli dissi che, dalle mie parti, era stato avvistato un grosso felino. Toltosi il monocolo, e smesso di lavorare tra molle e rubini, narrò: “Due anni fa, una notte di maggio, nei pressi della rotonda delle Tre strade, mi sono trovato davanti i fanali della macchina, quello che americani e pellerossa chiamano leone di montagna, ossia il puma. Non credevo ai miei occhi. Se ne andava tranquillo lungo il margine della via maestra, finchè non svoltò nel sentiero dei campi e dei prati. Non ne parlai con nessuno. Chi m’avrebbe creduto?”. Gli raccontai, allora, della mattina del vento e il resto. Tirato un sospiro di sollievo, aggiunse: “Bene, non sono più il solo ad averlo visto”.

Il lazzaretto dei piccioni

Di Mariano Bargellini

Una mattina (era domenica) Isidoro si fermò a guardare i piccioni malati raccoltisi malinconicamente, di loro spontanea volontà, abuliche e rassegnate creature, come d'abitudine, nel loro lazzaretto di largo Cordusio. Tornava a piedi dall'ospedale ortopedico Gaetano Pini; la meta della sua passeggiata era il capolinea del tram di Musocco: in piazza Castello, di faccia alla torre del Filarete. La visita a sua madre chissà perché stamattina aveva avuto il potere di commuoverlo e angosciarlo, tanto che le sue filiali istrionerie, per consolarla e per farsi notare dalle infermiere, in specie da quella giovanissima romena, a un tratto gli erano divenute insostenibili e s'era congedato di furia, senza né ai né bai, con una gran pressa ingiustificata. In piazza del Duomo Isidoro, ricordandosi dell'avventura disgustosa capitatagli quella tale notte, circa una settimana fa, attraversò il sagrato, da portici a portici, imprecando e parandosi la faccia dietro il giornale, tra voli a stormo d'ali pestifere incuranti di sbattere contro l'ostacolo d'una testa, gli sembrava, e corserelle da aia affollata, tra i piedi, al richiamo di un fotografo e verso un gruppo di turisti prontamente individuati dai loro occhietti furbi e vitrei di ghiaccio marrone. Raggiunto l'ingresso della Galleria, invece di percorrerla fino all'arco opposto, cioè l'ingresso da piazza della Scala, e abbandonarsi a pubbliche sghignazzate davanti a certi libri e a certe facce esposte nelle vetrine delle librerie, cambiato programma, volubilmente era entrato nel bar Zucca. Aveva motteggiato con uno dei baristi, ordinandogli un aperitivo sotto il facile enigma d'uno slogan pubblicitario diventato famoso: - Mi dia "Milano città da bere", capo -. Ma poi aveva raffreddato la loro complicità e incrinato un rapporto confidenziale degno di un bar di periferia, basato su ammiccamenti e allusioni, disgustandolo coi suoi ticchi scimmieschi e una rapacità pure scimmiesca nel lavorar di stecchino, ovverossia nell'infilzare, frettoloso e vorace, un'esagerazione di antipasti, vuotandone i due vassoietti e sguarnendone un settore del banco.
In largo Cordusio, come detto, la folla dei piccioni malati l'obbligò a fare una sosta. La statua del Parini e la sottostante esedra, a Isidoro, più che una voliera altissima e monumentale priva di rete metallica e scoperchiata (non già una gabbia, un ospizio per i tetri volatili), a Isidoro, una simile indecorosità, che rivisitava per la prima volta dopo l'auspicio malauguroso, sembrò piuttosto il quadro vivente di un bestiario: una visione emblematica e fatale. Gli dette un'inquietudine strana il quadro, e gli suggerì un presentimento pazzesco: almeno secondo la logica diurna e il calcolo delle probabilità. Temette di riconoscere, in quel consesso di lebbrosi, il suo piccione viaggiatore venuto dall'aldilà o dal Nulla, e da lui rispedito al mittente, scacciato con orrore, la notte che la Lippa era stata uccisa.

Fuori dal margine 2

Chiacchierata sugli esordi di Paolo Gentiluomo, in una sintesi efficace fatta dall’autore stesso

Faccio una rapida ricognizione sul passato: ho sempre scritto di tutto, versi, prose, dialoghi, fin da quando ero ben abbondantemente giovane. All’attivo, tra la fine degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta, molte letture sulla pubblica piazza, una rivista e un gruppo di pronto soccorso poetico con i compagni degli Altri Luoghi - Berisso, Cademartori, Caserza, Drago, Frixione -. Proprio su questa rivista comparivano anche miei testi poetici, mie recensioni teatrali, un romanzo a puntate che non vide la fine, finendo prima la rivista... Insomma, per farla breve, io non ho mai privilegiato una forma di scrittura sull’altra (e per non farmi mancare niente ho fatto musica industriale - Tam Quam Tabula Rasa -, partecipato a spettacoli coreutici - per la coreografa e danzatrice Aline Nari -, allestito spettacoli di varietà patafisici). In tutto questo operare la mia tipologia di espressione più apprezzata è stata evidentemente quella in versi, probabilmente per il fatto di aver partecipato come poeta ai lavori del Gruppo 93.

giovedì 29 dicembre 2011

La mosca di Rousseau

Incipit di un romanzo inedito di Meeten Nasr

Capitolo I

Sera del 1° settembre 1976
Intanto che ne è del progetto di una autobiografia? La risposta che subito mi si affaccia è: primum vivere. Ma andrebbe anche fatta qualche riflessione più seria, senza farsi disturbare dal telefono o dagli amici ma soprattutto senza farsi turbare dalle fobie, dai desideri, dal timore di essere abbandonati. E ciò potrà avvenire solo quando la riflessione stessa diventerà il senso di sé, la compagnia desiderata, l’amante totale.

3 settembre 1976
Ripenso alle varie peripezie e alla crisi che il mese scorso, passato a Londra con Angela (mia attuale compagna) ha generato: lacerazioni, dubbi, regressioni che hanno vanificato ogni tentativo di stabilire fra noi rapporti di affetto e di studio, di aiuto reciproco, almeno. Impossibile reprimere la ripetizione di quei gesti di difesa che alla fine terminavano in un rinnovo di angosciosa instabilità. Inizio così oggi a scriverne su questo quaderno, spero con continuità.

Una poesia di Antonio Satta

Senza titolo

Non sopportava il narratore onnisciente
il finto dandy, l’erudito demente

il gesuita moderno, il letterato manierista
attento deflettore di parole

attuarono rettifiche sottili
quanto al punto di vista.

Ma v’erano congedi e aspettative
affinità e messaggi nell’albergo

sontuoso e funebre, teatro
di giustizia poetica

initiation première. (Quel che egli venera
viene distrutto)

Il doppio fondo della reticenza
l’universale apostasia.

Fuori dal margine

Intervista a Mario Capello, scrittore e consulente editoriale

Mario, nei mesi scorsi ho avuto occasione di leggere il tuo libro Tutto quel vuoto (edizioni Sottovoce 2010), che, seppure presentato in libreria e letto da un certo numero di persone, non mi pare abbia avuto una vera e propria distribuzione. Com’è nata questa edizione e con quali presupposti ideali?

Dunque. Rispondere a questa domanda non è così facile. Sottovoce è, in effetti, un’incarnazione di Eumeswil – una piccola casa editrice di Broni con cui avevo pubblicato il romanzo precedente (I fuochi dell’86 – anch’esso “perduto”). Per motivi legati alle difficoltà di distribuzione, Eumeswil ha cambiato nome tra il 2009 e il 2010. Voices, la collana in cui è uscito (diciamo così) Tutto quel vuoto era curata da Francesco Forlani – grande agit-prop e intellettuale – e anche per questo mi sono convinto a pubblicarvi, nonostante l’esperienza precedente non fosse stata positiva. Poi le cose sono andate come sono andate: il libro è risultato introvabile perché mal distribuito e dunque ha venduto poco o nulla. Il problema della distribuzione, per le piccole case editrici, è una costante, forse irrisolvibile.

mercoledì 28 dicembre 2011

NITA (tm)

Seconda e ultima parte del lungo racconto di Carlo Cenini

T*** B***: “La tecnologia quantistica messa in campo per la realizzazione del gioco SHERWOOD® e, ancora di più, quella sviluppata per creare le condizioni di controllabilità di NITA™ attraverso la sua versione depotenziata DAIMON™ è, non solo dal punto di vista dei materiali utilizzati ma anche dell’estensione e della qualità di memoria coinvolta, senza precedenti, completamente all’avanguardia, il che ci ha esposto a una serie di rischi che diciamo non abbiamo saputo gestire nel modo migliore, almeno fino alla prima fase alpha inoltrata, quando finalmente Little John ha diciamo vuotato il sacco (ma è bene precisare che diversi tester a questo punto avevano già manifestato delle diciamo crepe nel loro equilibrio nervoso, crepe che a quell’altezza nessuno sarebbe stato in grado di far risalire al collaudo del gioco, anzi direi crepe che possiamo percepire solo ora come tali, con il senno del poi, ma che al tempo potevano al più apparire come vezzi o tic) nominando per la prima volta NITA™ (anche se non sono autorizzato, né è al momento pertinente, non sono autorizzato a dire con quale nome di preciso l’abbia nominata), e qui mi scuserete se mi dilungherò un po’, ma per spiegare come sono stati condotti i test è necessaria una digressione sull’organizzazione interna della fabbrica di giocattoli, sui suoi livelli e le sue gerarchie, nonché su alcuni inevitabili difetti del suo (della fabbrica di giocattoli) apparato burocratico che, in questo particolare caso, si sono rivelati essere, ancorché minimi, critici; come se non bastasse, la produzione di SHERWOOD® è stata decisamente travagliata, specie nelle fasi iniziali del progetto, e molte delle persone coinvolte sono state allontanate dopo che ... (omissis) ... ; per cui quando durante i test nella fase alpha Little John ha nominato NITA™ (naturalmente come ripeto non è detto che Little John abbia usato subito il nome Nita, quello è un nome di comodo, una diciamo media onomastica, il nome come ripeto non è sempre e forse non è mai lo stesso ad ogni nuova apparizione ... (omissis) ... ) siamo diciamo caduti dalle più alte nuvole, perché nessuno di noi ovviamente aveva mai sentito parlare di NITA™ (fosse o non fosse quello il nome ... (omissis) ... ).

NITA (tm)

Prima parte di un lungo racconto di Carlo Cenini apparso sul n 55 di Nuova prosa


“perciò creiamo seconde nature, false testimonianze”
Massimo Rizzante, Rapporto dal regno di Fiandra


Guardando le fotografie agli atti del processo, sulle prime uno potrebbe scambiare il laboratorio per il salone di un parrucchiere per signora, questo per via dei grossi caschi e delle poltrone regolabili su cui sono sistemati i tester/vittime (ossia, “tester” ovvero “game-tester” secondo la difesa, “vittime” secondo l’accusa; dato che durante tutto il processo la giuria, per non dare l’impressione di essere già incline a dar ragione all’una o all’altra parte, ha usato la formula “tester/vittime”, tale formula è rimasta tuttora per [evitare di] definire il particolare statuto, legale e/o “lavorativo”, dei soggetti in questione o, secondo bischizzato dal dottor T*** B*** alla fine del processo, “i soggetti in oggetto”); nella fotografia catalogata al n. 14, in particolare, i tester/vittime sembrano solo un gruppo di persone che si fa la permanente, o almeno lo sembrano fino a quando non si notano i ferri chirurgici disposti in bell’ordine sul tavolo operatorio, il tavolo operatorio stesso, l’assenza totale di specchi e cosmetici, i macchinari per la decodifica dei flussi linguistici che escono da ulteriori macchinari che potrebbero essere descritti come sismografi o meglio elettroencefalografi o (e dopotutto forse è quest’ultimo il paragone più azzeccato, anche se sia la difesa che l’accusa, ciascuna per motivi differenti, si sono astenute dall’avanzarlo durante il processo) macchine della verità.

Che più azzurro non si può

Romanzo inedito
Dal capitolo "Verso l'Explò"

Un uomo della Provvidenza era chiamato a salvarci da un altro uomo della Provvidenza. Andando avanti di questo passo dove si voleva arrivare?
La paura cresceva di giorno in giorno. P come paura, P come pensioni. Qui si aspettava il taglio più grosso, la vera mannaia.
"Dobbiamo rimettere in moto Crescita…" diceva il governo tecnico di esperti. Era diventato un nome proprio Crescita, ne parlavano come di una persona, la signora Crescita in sedia a rotelle da rimettere in movimento. Lazzaro, al confronto, non aveva goduto di così tante attenzioni…
Il Patron de' Paperoni, dietro le quinte, dava utili consigli, faceva ora il grande suggeritore e soprattutto ripeteva: "Guai a toccare i grandi patrimoni! Fine! Rovina! Fulmini e saette!"
Ragazzi, non ci crederà nessuno, ma nel 2012 altroché fine del mondo… dovevamo vedere il mondo ringiovanire: i vecchietti in rivolta con i giovani e tutti a rifare un'altra società, molto più bella e giusta.

Blitz di "guerrilla intellettuale"

La primavera scorsa, stagione ricca di fermenti e di germogli d'idee, tra le altre cose fu coniata l'espressione "guerrilla intellettuale". Come m'immagino un atto di "guerrilla intellettuale"? Immagino, per esempio, un blitz di scriventi anonimi e indomiti che irrompono inaspettati durante una sfilata di scrittori e si mettono a leggere un brano (se riescono, più di uno) bizzarro e inaspettato.
Lo spazio degli interventi del pubblico in epoca di videocrazia, si è progressivamente ridotto e le possibilità di risposta-interazione durante le presentazioni e le letture quasi annullato. Il pubblico è dato per scontato che sia muto, acquiescente fruitore, consumatore. Per cui, anche nel caso piuttosto raro che il brano letto dai letterati ribelli fosse di scarsa qualità, varrebbe il gesto eversivo di porsi in alternativa rispetto a formule già molto codificate e ritualizzate.

martedì 27 dicembre 2011

Una poesia di Francesca Matteoni

Ragazzo Volpe

Abitavamo nel bosco.
Percorrevamo vene di terriccio
o su per ore umbratili
le code spenzolanti, il legno azzurro.

Genti di pelle e nuvolaglie.
Gli occhi dei rapaci erano bianchi
lumi ossuti nella notte.

Rocce, resti, ramaglie.
Nel mezzo della pietra stava l’acqua
sospinta sulle sagome del mondo -
una nerezza antica dal fondale.

Io l’annusavo corrermi nel volto
dentro il corpo rotto, arborescente.

L’erba che si fa limpida e tagliente.

Che più azzurro non si può

Romanzo inedito
Un brano tratto dal capitolo "Verso l'Explò"

Niente da fare. Lo spid rimbalzava da tutte le parti come una scheggia impazzita. Dalle piazze del mondo facevano sloggiare rapidamente gli indignati, che così diventavano desaparesidi.
Mio marito nei suoi sonni lunghissimi faraonici sognava la Lagrand.
"E chi è la Lagrand?"
"Come? Non sai chi è la nuova presidentessa del Fondo monetario, quella dagli occhi magnetici magmatici come un drago?"
"Mah, a me sembrano tutti dei draghi…" faceva eco uno dei pensionati.
L'intera casa di riposo era in subbuglio. Si parlava di tagliarci le pensioni, ohè!

Due poesie di Paolo Gentiluomo

da Manuale Portatile per la Devozione del Fertile Gaudio (2009-2010)

ricetta del rifocillo
fame gigabolica

cuori d’agnello alla crema macerata:
marinando due cuori nella panna acida
con erbe aromatiche e spezie mantiche
a mantice soffiando per un paio d’ore
asciugando i cuori dall’abluzione marinata
e benbene infarinandoli a spolvero in panata
imbiondendo a chiaro con l’olio e il burro
la cipolla tritata finemente in sussurro
unendo lì i cuori e una volta rosolati
bagnandoli con una vena di marsala
aggiustando di sale pepando e allappando
bagnando con la panna una fiala appena
coprendo e lasciando cuocere di pranzo
in cena lentamente ultimando la scena
con il prezzemolo trinciato a mezzaluna
muto ululando l’acquolina a lento pasto
che carnivoro l’amor mio vasto è ben servito

Che più azzurro non si può

Romanzo inedito
Dal capitolo "Verso l'Explò"


Lo spid! Lo spid! Era quello il terribile pericolo. Come Spidi Gonzales ci correva dietro, mandava tutto a gambe all'aria: governi, Stati sovrani e non sovrani, perfino continenti e superpotenze. Lo spid era il debito che si era messo a crescere da far paura e nessuno riusciva più a fermarlo. La Mercegalla gridava che eravamo sull'orlo del baratro e stavamo per caderci dentro.
Il governo aveva fatto alcuni annunci ma poi se li era rimangiati. Era impossibile, per esempio, dimezzare il numero dei parlamentari, una cosa proprio contronatura quasi come un karakiri… Oppure trovare gli evasori delle tasse: quelli stavano nei paradisi tropicali e noi, in paradiso, non potevamo farci nemmeno una capatina per catturarli.

Epitaffi plurimi compositi di Piero Pieri

I
Su questo tumulo giace un cumulo di rovine
ammonticchiate fin dall’incauta nascita sul sepolcro dell’esistenza.
Ma non crediate voi passanti che lo yogurt della vita
sia stato per lui il nettare da cui suggere muggendo gioia.
L’uomo che qui riposa si gode statico il fresco del nulla
e più non aspetta ansioso l’alba per porre fine al puro terrore della notte
quando risorgenti allucinazioni dardeggiavano l’incubo intero della vita.

lunedì 26 dicembre 2011

Che più azzurro non si può

Romanzo inedito
Un brano tratto dal capitolo "Verso l'Explò"


C'era un gran parlare di un transatlantico sballottato dai venti e dalle tempeste. Questo transatlantico navigava in cattive acque e l'altezza delle onde, come montagne russe, la si poteva constatare e apprezzare (a seconda dei punti di vista) nel grafico dell'andamento delle borse, grafico che era sempre in prima pagina quando scendeva ai minimi storici e come prima notizia nei telegiornali di tutta quella burrascosa estate. Con la paura degli uragani o dei fuochi nella stiva, si facevano grandi manovre per mettere al sicuro i tesori che su quel transatlantico da qualche parte dovevano essere stipati e nascosti. Si manovrava molto e si buttavano giù pesi per alleggerire il carico stracarico, mentre non si poneva limite al crescere delle ricchezze stipate, anzi si doveva far loro sempre più posto nella stiva e buttare a mare un sacco di pesi inutili.
Dovevamo rimboccarci le maniche e darci un gran da fare per tenere a galla casinò e piste da ballo, piscine, auto di lusso, aperitivi e cocteil. E, nonostante quel gran lavorare, stavamo ogni giorno col fiato sospeso per la sorte del transatlantico carico di tesori, idromassaggi e campi da tennis e sale giochi, banche e locali notturni e roulette russe che facevano girare la testa… dove ogni tanto qualcuno, per la gran noia di stare in mezzo a troppi divertimenti, prendeva l'accendino e così, per togliersi uno sfizio, dava fuoco ai miliardi: "Oggi bruciati 200 miliardi sul transatlantico Eurozona," scrivevano i giornali, oppure "Oggi bruciati 100 miliardi più di ieri"!
Dopodiché qualcuno scendeva nella stiva a guardare: ma c'erano ancora le ricchezze?
Oltre che un grosso animale col naso schiacciato per essersi buttato a capofitto nel mare, l'Europa somigliava ogni giorno di più a un castello dell'orrore pieno di divertimenti paurosi e pazzeschi.

Economicismo e anti-economia in letteratura

In "generazione Tq", nel "Teatro Valle occupato" e in altre associazioni culturali attive in questi mesi è presente la rivendicazione al riconoscimento del lavoro sommerso, cioè il legittimo desiderio che sia regolarmente retribuita qualsiasi fornitura di manodopera o di straordinari svolta per case editrici, giornali, università o altri enti. E la rivendicazione affinché il lavoro non perda sempre più terreno, credito e importanza, travalica i confini di settore che interessano più direttamente: laddove si è presenti, va estesa nel sindacato, nella prassi politica, nell'elaborazione di teorie che si spingano a immaginare un futuro ancora animato dal "principio speranza".

Milano mare e monti

Il passo di questo brano è un passo svelto, contrario al racconto. Non è infatti un racconto ma una visione o una sensazione.
Per la città mi muovo sempre velocemente. Non passeggio. Ho l'andatura di chi ha fretta di arrivare al lavoro o un appuntamento, di chi ha degli impegni da sbrigare. Il contrario del flâneur, che non ha niente da fare, almeno per alcune ore, e si guarda intorno, si sofferma sui particolari, sorride alle cose o si abbandona ai suoi pensieri. Il flâneur è una figura anacronistica nelle nostre metropoli, il suo corrispettivo potrebbe essere l'homeless, che è però il più delle volte un flâneur forzato, degradato e irrequieto, un flâneur ansieggiato da innumerevoli problemi, anche lui diverso nella sostanza dall'artista stile Baudelaire, un privilegiato anche se ribelle.
Nemmeno il disoccupato è un contemplatore. Dedica molto tempo a leggere le inserzioni di lavoro, a scriverne o a fare il giro dei supermercati cercando quelli che fanno più sconti. E' un ottimo conoscitore dei mercatini di quartiere e, con l'andar del tempo, se non trova qualche occupazione in nero, assume le abitudini della casalinga, figura sociale nient'affatto priva di lavoro, ma al contrario superoccupata in diversi lavori non pagati, perno del ménage familiare, punto cui si riferiranno tutti i componenti della famiglia allargata per le più varie commissioni e incombenze.

Inventio

Singolari invenzioni narrative di Giuseppe Bonaviri, Marosia Castaldi e Antonio Rezza


Da quando la scrittura è diventata una professione borghese, aspirante come tutte le professioni a una retribuzione regolare e possibilmente elevata, la serialità di molta produzione narrativa, segnata dai ritmi incalzanti (e al contempo impiegatizi) dell'industria libraria, ha quasi cancellato la parte più fantasiosa e brillante delle opere: l'inventio, l'inventività, l'idea da cui scaturisce tutto. Un'idea originale è più facile che sorga da qualcosa d'inaspettato anziché su commissione o in obbedienza ai cliché commerciali.
Tuttavia si trovano ancora libri ricchi d'invenzione.
Era il 1969 quando uscì La divina foresta di Giuseppe Bonaviri, favola scritta fra il 1965 e il 1967 e recentemente ristampata da Sellerio (Palermo 2008)
Molti scrittori l'accolsero con entusiasmo, da Caproni a Manganelli a Calvino, che parlò di un'insolita storia naturale.
L'incipit rievoca la nascita della vita e la metamorfosi degli esseri: il protagonista da organismo unicellulare si evolve in pianta di borragine quindi in avvoltoio. Il problema, fin dalle forme più primitive, è il rapporto col mondo, dal momento che egli si pone in atteggiamento interrogativo e dialogante con le altre forme di vita; tutti gli esseri viventi, per parte loro, si rivelano parlanti e filosofanti. Un gruppo eterogeneo di volatili, che fanno amicizia, fonda addirittura una scuola di pensiero su un carrubo in una mitica Sicilia incontaminata. Così scelgono il luogo: "Attratti da certi sparsi riccioli di gravitazione, senza nessuno sforzo ci trovammo in una terra (che poi diventò la mia dimora) coperta di un vasto mare e di foreste infinite in una mutevolezza di scogliere e montagne.

Scritture di confine

Si è parlato recentemente di una vivace ripresa della poesia, in controtendenza rispetto a quello che succede alla prosa, prosa soprattutto di romanzi, in progressiva svalutazione per via dello strapotere del mercato che li condiziona e degrada profondamente (Andrea Cortellessa, "I poeti sono un bene comune", Corriere della sera, 11-7-11)
Mi vengono in mente tuttavia esempi di stimati autori di poesia che si sono convertiti alla prosa o che coltivano entrambe le forme.
I mondi di Guido Mazzoni (Donzelli, Roma 2010) sono un componimento misto di versi e prosa con andamento meditativo.
Spunti tratti dall'arredo di una strada urbana, da un parcheggio, da squarci di periferia sono occasioni per perimetrare i propri limiti, le proprie reali possibilità e aspettative, e fare pacati, controllati bilanci esistenziali, nonostante l'inquietudine di fondo. Come in questo Parcheggio: "Per non posteggiare la propria auto davanti a un palazzo come questo, per non perseguire avanzamenti di carriera fra i quadri intermedi di una gerarchia aziendale, dovrà attraversare dei conflitti invisibili e feroci con gli esseri che oggi formano il suo mondo, con le persone che ama." (p 28). O nei seguenti passi: "Si protegge prolungando abitudini, costruendo un territorio. Il tuo comincia oltre la porta che hai aperto, fra i passanti sotto i cartelloni, mentre il paesaggio che conosci ti riporta in te stesso, un cielo teso oltre i palazzi, la luce del mattino sopra i tuoi luoghi comuni." (Territori, p 48). "Intanto lottavo, come tutti, perché il mio posto nel mondo corrispondesse ai miei desideri: per rimanere in vita, per non cedere un pezzo troppo grande di me al meccanismo che ci tiene in vita, per occupare posizioni, per catturare lo sguardo degli altri, per compiacere lo sguardo degli altri, per emergere; e tutto intorno, nel movimento delle strade che si aprivano sotto la finestra, nei rumori delle cinquanta stanze che davano sul mio stesso corridoio, migliaia di esseri pullulavano nello stesso spazio: pensionati, immigrati pachistani, segretarie venute da qualche frazione della periferie a consumare il proprio presente in un monolocale mansardato.

sabato 24 dicembre 2011

Incipit

del romanzo inedito Nell’altra stanza


Ricordo ancora il sogno di questa notte. E’ raro che ricordi i miei sogni perciò mi affretto ad annotarlo, sebbene sia un incubo.
Con pochi euro, dati alla custode di un cimitero dall’aspetto di una bibliotecaria, si poteva comunicare con i morti. Un ascensore costruito su ogni tomba conduceva dal defunto desiderato, come se questi si fosse trovato in un suo appartamentino, in un salotto in cui riceveva. Un folto gruppo di familiari aspettava di scendere da un bambino sepolto da pochi giorni; ma si erano formate code anche di fronte ad altre lapidi. Io ero in coda non so per chi e, avvicinandomi sempre di più alla meta...

Un ricordo di Giuliano Mesa (1957-2011)

Ornitomanzia
Da “Tiresia”

vedi. vento col volo, dentro, delle folaghe,
vedi che vengono dal mare e non vi tornano,
che fanno stormo con gli storni neri, lungo il fiume.
guarda come si avventano sul cibo,
come lo sbranano, sbranandosi,
piroettando in aria.
senti come stride il becco, gli speroni,
che gridano, artigliando, facendo scaravento, in muta,
ascoltane la lunga parata di conquista, il tanfo,
senti che vola su dalladiscarica, l'alveo,
dove c'è il rigagnolo del fiume,
l'impasto di macerie,
dove c'è la casa dei dormienti.
che sognano di fare muta in ali
casa dei renitenti, repellenti,
ricovero al rigetto, e nutrimento, a loro,
scaraventati lì chissà da dove,
nel letame, nel loro lete, lenti,
a fare chicchi della terra nuova,
gomitoli di cenci, bipedi scarabei
che volano su in alto, a spicchi,
quando dall'alto arriva un'altra fame.

prova a guardare, prova a coprirti gli occhi.

Un ricordo di Simone Cattaneo (1974-2009)

Da "Nome e soprannome"

Stanotte di fronte al televisore spento
mi sono messo a ballare con una canna da pesca
un lento tragico e romantico, ho spostato i mobili 
del soggiorno e al centro del pavimento ho ammucchiato
quotidiani vecchi, cartoni di latte e qualche 
fazzoletto sporco. Poi ho dato fuoco a tutto
e mi sembrava di partecipare a uno di quei veri balli
studenteschi pieni di gioia e di speranza nella vodka
con un chiasso infernale che mi riempiva le orecchie
con il rumore del mare.
Spento il fuoco, qualche ombra fiera e dura
incisa sulle mura, la canna da pesca incrinata
sono rimasto a suonare su una tastiera sgraziata
chissà poi cosa
aspettando di riprendere fiato 
e ho pensato di uscire all'aria aperta ma chiudendo
gli occhi il rosso del fuoco divideva ancora
il mio pavimento e non colava a picco,
rimaneva fisso lì a marchiare il territorio
in attesa di tutta la mia miseria.

venerdì 23 dicembre 2011

Donne con le scarpe da ginnastica

L'esperienza di Cammina cammina nella primavera del 2011

L'avventura inizia sotto il segno del dono.
Alle 7,30 di venerdì 20 maggio davanti alla Cascina Cuccagna di Milano, fra le molte strette di mano e i sorrisi, ci aspettano tanti pensieri gentili.
Gabriella e Laura, che per ora non possono unirsi al gruppo per impegni professionali, vogliono comunque salutarci e augurarci buon viaggio. A loro si unisce Antonella della Cascina Cuccagna, che ci offre ramoscelli di una pianta beneaugurante. Antonella è una maestra della scuola elementare che ha già trent'anni di lavoro alle spalle e si concede adesso un anno di aspettativa a zero stipendio, una pausa in cui ritrovare la pienezza della vita al di fuori dei soliti schemi. Più avanti percorrerà diverse tappe di Cammina cammina. Altre donne della cascina caricano sull'auto dei rifornimenti molte bottigliette d'acqua in regalo e alcune di esse ci accompagnano nella prima tappa.

La grottesca intervista al personaggio di uno scrittore nell'ultimo romanzo di Mariano Bargellini

Tratto da La setta degli uccelli, Il corbo, Ferrara 2010


La visita di uno scocciatore impone allo scriba (che se ne scusa con il lettore), a lui e al suo treno di parole impone un ritardo e una digressione. E non poteva saltarla, tacerla, allora, la visita di quello scocciatore? Lui vi risponde, arguti lettori, che no. E perché mai? Si spieghi. Perché la visita suddetta, come voi sentirete, è la spia rossa, il segnale di massima allerta, accesosi nel suo cervello, di un evento da rabbrividirne, celato al presente. Lo dico?: il trionfo del ròbot. Anzi, qualcosa di più (e di peggio): la robotizzazione della nostra specie: la specie Homo sapiens. Sperimentata sulle blatte, per ora, la robotizzazione suaccennata. La normalizzazione (mi scuso per la cacofonia: da politichese, ripetuta) di Homo sapiens! Siamo infatti da classificare, noi specie Homo sapiens, come un lapsus naturae, si sa. Ma è terribile, ‘sto progetto. Rispondo: ma è ridicoloso, ‘sto fatterello. Cioè la visita dello scocciatore. Ed è ben recitato dal personaggio lo sketch da rabbrividirne: sicché sarà, vedrete, un intermezzo comico.

Ho concesso un’intervista a un domatore di scarafaggi. L’insensatezza di una tale frase è evidente, ma subdola. Avessi detto “domatore di pulci”, un minimo di credibilità quest’asserzione, forse umoristica, l’avrèbbe ottenuto, chissà. Ma “domatore di scarafaggi”. E nondimeno. E nondimeno, per suggestione del teatrino delle pulci e del regista in frack e cilindro che le governa, il detto intervistatore (da cabaret?, da satira?) acquista verosimiglianza, subdolamente. Sì, il lettore, tuttoché perplesso, va a finire che ci crede. Ci crede alla lettera. O non l’esclude a priori, che qualche circo abbia ‘sto numero in cartellone, il teatrino degli scarafaggi o blatte. Cosicché, “ho concesso un’intervista a un domatore di scarafaggi”, gli sembrerà una frase assurda, un’asserzione falsa, e, se si tratta di un’ironia, oscura. E il fatto, ne segue, impossibile, non scherziamo. Ma per un’altra ragione, che non il metter in dubbio ch’esistano, e che esercitino la loro arte, i domatori di scarafaggi. Ma sotto il tendone del circo, magnificati da mega-schermo! Ma non a casa d’uno scrittore, e che lo intervistino (per la tivù la radio le gazzette) i domatori di scarafaggi! È compito del recensore di libri, di chi sunteggia sul mio giornale le novità della narrativa, e non di un artista del circo, egli obietterà, intervistare, anche a domicilio, seduto al suo scrittoio, un qualsivoglia autore di successo. Ma di successo! Un romanziere importante! Uno di quelli seri: uno che ci va coi piedi di piombo a fare il pazzo sulle carte. Sicché, di lui, nessuno potrà dire: er hat einen Vogel. Eh, ha un uccello (nella testa). Sì, importante, e di successo. Sì, uno serio, professionale: e un virtuoso dei generi, un mago del pastiche, capace di cucinarmi un noir de haute cuisine. A mo’d’esempio, un noir con il ripieno rosa. Magari, un noir erotico e gastronomico.

Milano romanzesca

Immagini tratte da alcuni romanzi italiani degli ultimi dieci anni

Mariano Bargellini, La setta degli uccelli, Corbo editore, Ferrara 2010
Gherardo Bortolotti, Tecniche di basso livello, Lavieri, Caserta 2009
Giuseppe Catozzella, Alveare, Rizzoli, Milano 2011
Giorgio Falco, L'ubicazione del bene, Einaudi, Torino 2009
Luigi Grazioli, Lampi orizzontali, Greco & Greco, Milano 2003
Ferruccio Parazzoli, MM rossa, Mondadori, Milano 2003
Alessandro Zaccuri, Milano, la città di nessuno, l'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003


La visione della città di Mariano Bargellini nella Setta degli uccelli (Corbo 2010) è insolita ed enigmatica.
In una Milano fantasma, avvolta dalle nebbie e da turbinose nevicate, città soft della moda e dell'apparenza che tuttavia può riservare sorprese terribili, come la morte di freddo di un leggendario barbone dandy, persino i palazzi sono impacchettati da pannelli pubblicitari, su cui svettano, gigantesche, le icone di uccelli predatori che inforcano occhiali griffati. In uno di questi condomini, divenuto mondo a sé, dotato di un supermercato e di una cripta cimiteriale incorporata, abitano personaggi bizzarri e misteriosi, che nella quotidianità intrattengono rapporti effimeri mentre cercano una vita più piena nei sogni. Lo scrittore ha dichiarato a una presentazione pubblica del romanzo che si è posto l'obiettivo di rappresentare una realtà frattale, molteplice ed evanescente: i suoi personaggi appaiono in sogno oppure possono morire improvvisamente senza un perché, lasciando incompiuto il loro lavoro; alcuni hanno sembianze simili a quelle degli uccelli e talvolta terminano i loro discorsi con autentici gorgheggi, che magari si perdono confusi nel rumore della metropolitana.

giovedì 22 dicembre 2011

Milano stazione centrale

Ci si può recare alla stazione Centrale di Milano anche soltanto per vivere l'entusiasmo delle partenze, senza necessariamente intraprendere un viaggio. Le maestose volte in ferro e vetro che diffondono un'intensa luminosità, le arcate di luce che accompagnano i binari (disegnate dall'architetto Ulisse Stacchini nel primo Novecento sotto l'influenza dell'Art Déco e completate nel 1931) paiono ideate apposta per accogliere e rafforzare la gioia di ogni inizio.
Se vi si giunge dalla metropolitana e si decide di fare una sosta al piano sotterraneo prima di ascendere in stazione, superata una cortina di bolle di sapone e di macchinine teleguidate lanciate in volo acrobatico dai venditori ambulanti, si può accedere al supermercato sempre aperto, a negozi d'abbigliamento, di profumi e gioielli ricavati persino in questa zona infera, areata e illuminata artificialmente.
Facendo ingresso finalmente nell'atrio monumentale, la prima cosa che colpisce sono gli imponenti parallelepipedi pubblicitari in mezzo ai quali compaiono anche due cubi di plastica, due mini-negozi che ospitano una singola marca, con le quattro facciate-vetrina, di cui una trasformata in schermo acceso, e un'unica commessa all'interno, una cubista sui generis che non balla sul cubo ma vi è inglobata, per destino sociale prigioniera del suo mestiere di addetta alle vendite.

Paesaggio con fuga

Lucio Klobas, Anni luce, Effigie, Milano 2010

Cominciamo dalla fine, dal virtuosistico capitolo sui paesaggi.
In conclusione di un libro dedicato alle memorie d'infanzia, prende corpo "il lato sbagliato del ricordo". Paesaggi sconvolti, defilati e discreti, minori, nebulosi, paurosi, silenziosi, incresciosi, diroccati, distrutti, superstiti, tormentati, vuoti e abbandonati  mostrano il loro volto impressionante, ma possono trasformarsi e diventare "molteplici paesaggi immaginari", invisibili, trasparenti, limpidi, inesistenti, scomparsi, paesaggi fantasma.
Lascio la parola all'autore di queste bellissime descrizioni.
"Paesaggi inesistenti (mai esistiti) si proteggono a vicenda disponendosi in cerchio, sembrano l'ombra rotonda di se stessi che gioca su un terreno che non c'è, vagano curvi sulla neve, si riparano dove è possibile, formano incroci pericolosi con altri paesaggi inesistenti, anzi non passano inosservati: restano." (p. 153)

Counseling informale

Racconto tratto dalla raccolta Regressioni

"E' un counseling informale. La prima volta ci si può incontrare fuori, se vuole, anche nei pressi del suo ufficio. Lo dico per lei, così perde meno tempo per farsi un'idea. Una normale chiacchierata fra amici tanto per rompere il ghiaccio. In un secondo tempo si passa in studio." "Informale…? Non avevo mai sentito parlare di questa pratica…"
"E' nuova infatti. Appena importata dagli States. Innovativa."
"Lei sarebbe in città comunque?"
"Sì."
"Ascolti… Se è così informale, non si potrebbe fare per telefono?"
"No… no. Ecco, il counseling richiede la viva presenza. Il vis-à-vis è importante."
"Sono indeciso. Il suo annuncio mi ha incuriosito ma non saprei…"
"Ci pensi pure. Quando decide, mi richiama."

Perso. Gli indecisi non decidono. Dovevo decidere io per lui; dire qualcosa del tipo: tentar non nuoce o una scemenza così. Quando si rimanda, non richiamano, è scontato.
Lavorare molto sulla chiusura della frase, diceva bene il mio amico…

"E' un counseling informale… Inizialmente ci s'incontra in un bar, in un locale qualsiasi… poi si vede se è il caso di passare in studio…"
"No, così non va: troppo scanzonato, sembra una presa per il culo. Counseling informale fa un buon effetto, va bene; ma devi curare di più il resto della frase. La conclusione è decisiva. Riprova."
"Pronto… Sì, è un counseling informale. Si fanno due chiacchiere per cominciare, poi si passa in studio."
"Così va già meglio. Molti alla parola studio non fanno più motto: percepiscono la professionalità."

mercoledì 21 dicembre 2011

Dover essere riconosciuti ancor prima di nascere

Nell'articolo La lobby vaticana di Franco Buffoni, apparso su NI il 17-11-2010 (e contenuto in Alfabeta2, n° 3, novembre 2010) si trova una considerazione che non si può che condividere: "Esistono società meritocratiche (in genere quelle anglosassoni), società socialdemocratiche (con lo stato in funzione di nume tutelare dalla culla alla tomba: in genere quelle nord-europee) e società familistiche come quella italiana, per la quale il primato dei valori è nell'ambito famigliare."
Legami di sangue o parentela più o meno stretta si confermano come forza di coesione primaria nella familiocrazia. Si deve presumere che ciò valga anche per quella nicchia che è la casta letteraria. Amicizie o conoscenze radicate nel passato, inerenti alla famiglia o alla scuola, potranno essere decisive. La loro discreta importanza avranno in seguito le amicizie giovanili più solide, quelle degli anni formativi legate alla politica e all'ideologia, la condivisione di scelte analoghe fino alla vera e propria militanza negli stessi gruppi, schieramenti o chiese. Questi sodalizi intellettuali, a dire il vero, potrebbero rappresentare un significativo allargamento dell'orizzonte, ma va subito precisato che negli attuali movimenti e aggregazioni studentesche, meno estesi e duraturi rispetto a quelli degli anni sessanta e settanta, non può che esservi una minore partecipazione degli attanti sociali e un ridotto rimescolamento delle classi. Con l'ingresso nel mondo del lavoro (ma anche al di fuori di esso) determinanti si rivelano invece i rapporti di sudditanza, fascinazione o più semplice opportunismo, dettati dalla pulsione gregaria, così forte nella nostra specie.

Per voce altra

Parlerò di tre autori, anzi ne riporterò per maggior chiarezza le pagine, i quali compiono il mirabile sforzo di entrare in contatto con gli altri o con l'altro, con realtà inconsuete, infrequentabili o strane. Prodigarsi in questo senso è a mio avviso uno dei significati della letteratura.
Il romanzo Sangue di cane di Veronica Tomassini (Laurana, Milano 2010, pp 230, e 16.00) è la storia dell'amore sconvolgente di una donna per un polacco alcolista che chiede l'elemosina a un semaforo. E' ambientato in una Siracusa metropolitana, ma potrebbe svolgersi alla periferia di qualunque centro abitato circondato da baracche di emarginati. I ripetuti tentativi della ragazza di salvare lo slavo sono occasione per rapportarsi con un mondo di esclusi, la cui presenza accanto a noi è segno di qualcosa che spesso ci rifiutiamo d'interpretare ma che inconsciamente fa appello a tutte le doti umane di comprensione e partecipazione. La scena di seguito descritta, che si svolge in prossimità di quelle grotte in cui trovano riparo i senza casa, evoca un mondo fuori dalla storia e pare svolgersi all'ingresso dell'inferno:
"C'erano le grotte dei polacchi e le grotte dei rumeni, rom rumeni di Sibiu o Valea Seaca, famiglie intere con bambini in fasce, bambini di tutte le età. Dividevate il territorio, da una parte i polacchi, dall'altra i rumeni. A pochi metri, sorgeva la chiesa degli ultimi giorni e un albergo a cinque stelle. Ma entrando in zona franca, il mondo bisognava dimenticarselo.

Note a margine di un kamikaze d'Occidente

Dal romanzo inedito Nell'altra stanza


Sono cambiato. Sono cambiato? Sono finalmente un uomo-macchina, un uomo col motore, un uomo con le ali ai piedi? Produco? Faccio ricchezza? Vivo in velocità? Sono dinamico e flessibile? Di giorno fattorino motorizzato, di notte ombroso pensatore… macchinoso pensatore… velocista e ricercatore di pensieri ricercati… intellettuale cupo come uno stoico in esilio (Vivi nascosto…), uomo primitivo nell’elaborazione del lutto, inutile sognatore confinato nel limbo dei pensieri notturni…
Riuscirà a farsi questo uomo? Riuscirà a farsi da sé? Riuscirà a partorirsi dopo questa lunga gestazione?

Attraversando il centro mi sorprendevo a immaginare che fra tutta quella gente ci fosse un mio simile. Chissà, mi dicevo, se fra quei ragazzi che sciamano per il centro nell’ora dello shopping ve n’è almeno uno che, scorgendo la propria immagine riflessa fra gli abiti della vetrina, è in grado di avere, chiara e inequivocabile come una conversione sulla via di Damasco, la comprensione che molti uomini, piante e animali debbono essere sfruttati, schiavizzati o uccisi affinché lui, andando a zonzo per la città, questo pomeriggio dopo la scuola possa ammirare, in un negozio fra i tanti che lo attirano, le diverse paia di scarpe da ginnastica di colori deliziosi, di materiale robusto ma dalla linea slanciata, leggere come piume ma adatte ad ogni sforzo; affinché lui possa permettersi, di fronte a tutte quelle paia di mirabile fattura, di restare indeciso, desiderarle tutte e nessuna, con l’indifferenza di chi ha già tutto, acquistarle tutte o lasciarle là, nella loro bella mostra, nella loro artistica esposizione, con un’alzata di spalle. Confrontando il basso costo dei saldi con decine di altri forse avrà l’intuizione del costo umano che deve corrispondere a quella cifra sorprendentemente irrisoria, quasi irreale, che gli consentirebbe adesso di acquistare tutte e tre le paia di scarpe che desidera e di alternarle a seconda dell’abbigliamento e del tempo: un costo altissimo dato dalla somma di lavoro minorile, lavoro nero e deforestazione progressiva. Quel ragazzo resterà schiacciato irreversibilmente dalla scoperta che molte persone, piante, animali sono stati sacrificati affinché lui potesse essere libero di andare a zonzo per la città senza far nulla, di giocare o di sprecare la sua vita.  
Quel ragazzo forse diverrà anche lui un giorno un kamikaze d’Occidente.

Perché non regalo un "bel giallo" a Natale?

All'interno della letteratura cosiddetta "di genere", quella più commerciale almeno secondo i presupposti, il genere che mi piace meno è proprio quello che credo vada per la maggiore oggi come oggi: il giallo.
Qual è l'operazione psicologica fondamentale svolta da una trama poliziesca? Distogliere l'interesse da un nucleo esistenziale che meriterebbe a mio avviso tutta la sua centralità invece viene schivato, scartato, scavalcato: la morte di qualcuno. Il tema della morte viene spostato su quello della caccia all'assassino, il che è un modo per rimuovere il problema. La morte, trasformata in punizione, viene gettata altrove, sul colpevole.
In un'epoca di somma rimozione del tema del lutto (cfr Philippe Ariès, Storia della morte in Occidente, Rizzoli, Milano 1978), qual è stata la nostra almeno fino a questi anni, non sorprende che il giallo vada così di moda. Inoltre è un genere che si presta a vari optional accattivanti, quali la suspense, l'intrigo, l'horror, il colpo di scena, la divisione manichea fra buoni e cattivi e chi più ne ha più ne metta.
Secondo me va fatta esattamente l'operazione contraria: spostare l'attenzione da tante chiacchiere d'intrattenimento a temi a cui da sempre attribuiamo importanza.
Queste considerazioni generali escludono singole eccezioni. L'eccezione è sempre possibile.

martedì 20 dicembre 2011

Dialogo con Kirillov

Dal romanzo inedito Nell'altra stanza


Kirillov non si uccide perché “ha deciso”. Si uccide perché viene trasportato verso la morte da un desiderio profondo. Proclama ai quattro venti la sua teoria del suicidio gratuito finché non trova qualcuno che gliela fa attuare per una propria convenienza. Non si uccide perché lo vuole (o, meglio, lo vuole ma temporeggia): altri, a un certo punto, esigono la dimostrazione della sua teoria (ed è lui stesso a esigerla). Se non ci fosse la stretta finale di Petr Stepànovic, forse rimanderebbe continuamente la decisione, sentendosi in ogni attimo della propria vita libero di scegliere. L’uomo della libertà assoluta fa la fine della pedina…
Non è lui che “ha divorato l’idea”, si legge nei Demoni; “è l’idea che ha divorato lui”.
Non è l’uomo che divora il pensiero, è il pensiero che lo divora.

Kirillov è qui che va su e giù per la mia stanza. Gli dico: “Rilassati, c’è sempre tempo…”
“Ma io voglio affermare la mia libertà! Io non ho paura di niente! Se non lo faccio, non sono dio; sono un uomo qualunque…”
“Che t’importa di essere dio?”
“Ce l’ho con l’idea di dio, quella che hanno inventato e proiettato al di sopra di noi. Quella vile menzogna ci tiene aggiogati.Mi ha rovinato la vita…La voglio tirare giù!”
“Fa’ pure, ma dopo non succederà niente di speciale. Sarai dimenticato come uno qualsiasi. Sarai dimenticato e il mondo non cambierà.”
“Perché non fai qualcosa anche tu? Ognuno dovrebbe fare qualcosa... Inventati qualcosa anche tu…”

Intervista a Luigi Di Ruscio (seconda parte)

Ho trovato in un’edizione rarissima un altro suo libro in prosa, L’allucinazione (Cattedrale, Ancona 2007). Anche questo libro come gli altri romanzi viene da lontano, da molti anni addietro?

Ho preso in mano L'allucinazione,pubblicato solo due anni fa, e di questo libro non ricordavo nulla. Ricordo solo che diedi il manoscritto all’editore precisamente a Valentina Conti, che poi mi fece sapere che il libro voleva pubblicarlo ed io avevo cambiato idea, il libro non volevo più pubblicarlo. La Valentina Conti (molto bella e molto corteggiata), insisteva ed io alla fine dissi pubblicate anche questo, va bene, nel frattempo continuavo a scrivere corte prose immaginando che non si potesse scrivere poesia senza che la cattedrale dell’ultimo secolo abbia una sua centralità. La cattedrale dell'ultimo secolo è la fabbrica metallurgica. Il sottoscritto doveva diventare un chierico della grande cattedrale. Come comunista e come poeta dovevo diventare un operaio, questa è stata la mia "prospettiva” e la mia scelta operaia ha del comico, una specie di Chaplin di Tempi moderniche sventola la bandiera rossa per sbaglio e così mi presento come L'ULTIMO BUON POETA ITALIANO metto anche questa maschera e rimarrà impresso nella mia memoria quel convegno di poesie neorealiste nei primi mesi del 1953. Eravamo tutti giovanissimi, sui venti anni, con le tasche piene delle carte delle nostre prime poesie e poi tutte quelle polemiche contro il neorealismo, quello sparare contro un niente e quell'immagine di ragazzi con le camicette pulite, le prime cravatte, con le loro madri ancora giovani trepide per questi figli che volevano fare i poeti, ragazzi con la speranza intatta per un mondo migliore e all'immagine di questi ragazzi rimarrò fedele per tutta la vita.

Intervista a Luigi Di Ruscio

Dopo aver letto Cristi polverizzati sorge spontanea la curiosità di sapere com’è stata la seconda parte della sua vita, quella vissuta in Norvegia. Come avvenne che andò a lavorare proprio a Oslo? Fu facile ambientarsi in un Paese così diverso dal nostro?

Avevo ventitré anni nel 1953 e per puro caso trovo un editore che mi pubblica la mia prima raccolta Non possiamo abituarci a morire,prefazione Franco Fortini, questa raccolta mi procurò solo irrisioni e portate in giro, la raccolta peggiorò la mia situazione avrei potuto trovare da lavorare solo come facchino muratore sono alto 1,66 pesavo 56 chili, ero gracilissimo e il lavorare come facchino muratore mi distruggeva, una domenica mattina per puro caso nella piazza di Fermo vicini ad una rivendita di giornali conobbi un signore, parlando del più e del meno mi disse che era per pochi giorni a Fermo dove era nato e avendogli detto che ero disoccupato mi disse di un suo ristorante a Bruxelles dove mi avrebbe dato lavoro. Mi licenzio da facchino di muratore e parto. Arrivo a Bruxelles a notte tarda, dormo in una panchina della stazione e al mattino mi presento al ristorante, in verità era un ristorante albergo, mi danno da lavorare come lavapiatti e un posto per dormire. Tutto fila bene per un certo periodo poi scoppiò una cagnara con una che lavava i piatti come me. Faceva delle cose disgustose, i bicchieri che ritornavano per essere lavati spesso contenevano vino rimasto e il mio compagno se li scolava tutti sino ad ubriacarsi e il lavoro che dovevamo fare in due lo facevo io solo. Mi stancai di questa storia e mi misi a capovolgere il vino che rimaneva nei bicchieri velocemente.

lunedì 19 dicembre 2011

Re mago o re maschera?

Il capo è colui che elargisce favori, esaudisce desideri. Al super-capo, poi, si chiede pure l'impossibile, proprio lì sta il bello. Le sue prerogative hanno qualcosa d'inverosimile e in parte inspiegabile. Com'è possibile, per esempio, che sia così ricco? Eppure lo è. Da dove viene tutta quella ricchezza? Non si sa, la risposta fa parte della sua aura di mistero. Se gli manca l'immortalità, può contare tuttavia su una giovinezza intramontabile. Gli agi, il lusso, la mondanità, le occasioni, le cene ravvivano e allietano le sue giornate densissime d'impegni e d'imprese. Il super-capo non è mai stanco. Tiene a bada gli oppositori, espande la sua area d'influenza, accresce i tesori per sé e per i sudditi, soddisfa aspettative. Ed ecco che le donne si assiepano al suo passaggio… a decine, a centinaia lo circondano e corteggiano. Hanno una quantità di favori da chiedere per sé o per gli uomini che si celano dietro di loro in lunghe catene di aspettative. Se il capo riesce a soddisfare tutte quelle donne (simbolicamente tutte le donne), vuol dire che è certamente in grado di rendere felici tutti, no? Nei rapporti con il capo il desiderio circola in continuazione. Il capo mette in moto i desideri. A chi se non a lui si può chiedere di dirimere un'intricatissima storia di eredità e terreni contesi da generazioni, il permesso di edificare su spazi non edificabili oppure di sospendere un provvedimento già reso attuativo da varie sentenze? E' una fortuna che possieda in quantità smisurata tutto quello che tanti vorrebbero avere! Qualcuno con un bel po' di chance e con le entrature giuste seguirà le sue orme… il grande capo stimola fantasie di emulazione.

Pomodori verdi

Si constata a volte questo fenomeno: il romanzo che si sta leggendo suscita sorpresa e interesse fino circa a metà del libro (o anche meno) dopodiché diventa materiale di consumo schiacciato su modelli massmediatici. Sono romanzi che iniziano bene, promettendo molto, sospinti da una buona idea, ma che rapidamente perdono vento in poppa, si arrestano nella bonaccia o addirittura non sanno più dove andare a parare, si trasformano in qualcosa tipo un fumetto o la sceneggiatura di un film di cassetta.
Prendiamo per esempio Sirene di Laura Pugno. Convince fin da subito la variante  del mito delle sirene, che le reinterpreta come animali da macello, donne-animali da sfruttare fino all'ultimo come appartenenti a una specie inferiore. Considerato l'uso che viene fatto oggi dell'immagine del corpo della donna e il peso più che millenario di sfruttamento che grava sulle spalle femminili, quest'identificazione della donna con animali da sfruttare non poteva trovare forse una rappresentazione simbolica più brillante, collocando la figura della donna nel più vasto archetipo di Madre Natura, con tutte le connotazioni animaliste, antispeciste, ecologiste che ne conseguono. Vengono così saldate insieme implicitamente varie giuste rivendicazioni.

Busi e l'Isola che non c'è

L’Isola che non c’è è quella della sincerità e probabilmente anche della libertà d’opinione, visto che ci troviamo davanti, nel giro di poche settimane, all’ennesimo caso di censura.
Fra gli espulsi dai programmi RAI di questo periodo ecco arrivato anche lo scrittore istrionico anticonformista e ribelle Aldo Busi. Sarà un caso, sarà una pulsione dettata dal gusto per la provocazione e il protagonismo, che ha spinto il colto letterato a partecipare a un reality show e a mettersi nelle condizioni ideali per esserne presto espulso come un corpo estraneo; o sarà al contrario una tendenza all’ostracismo che, inventata per le immediate settimane preelettorali, sta già diventando un’abitudine e in pochissimo tempo si sta estendendo a macchia di leopardo in vari programmi e per diversi motivi.
È doveroso sottolineare innanzitutto che Busi non è solamente un personaggio bizzarro e superlativamente narcisista. Non è insomma quello che appare in televisione a uno spettatore superficiale. Egli stesso l’ha precisato nei suoi scritti nell’eventualità che non ci si accorga della sua acuta sensibilità.
Nel saggio a lui dedicato, Busi in corpo 11 (Il Saggiatore, Milano 2006), Marco Cavalli fa un’osservazione interessante a proposito dell’empatia umana che nelle nostre abitudini di italiani medi stiamo perdendo, salvo imprevisti o piccole catastrofi. Siamo abituati da una vita a frequentare persone molto simili a noi: i compagni di scuola provenienti dallo stesso quartiere (non si tiene conto naturalmente dei bambini che sono bambini oggi), i colleghi d’ufficio, il gruppo di amici più o meno coetanei, le persone con gli stessi interessi. Si è persa o molto ridotta la possibilità d’incontro con individui di estrazione sociale molto diversa o con chi ha esperienze di vita radicalmente differenti. In altre epoche storiche non era proprio così.

domenica 18 dicembre 2011

Acqua nera

Ci si domanda come sia potuto succedere, e nonostante l'ecopass... Il massimo livello tollerabile di pm10 nell'aria secondo le direttive europee sarebbe una concentrazione di 50 microgrammi al metro cubo; per varie settimane la densità della polvere ha toccato i 100 microgrammi. Lei muoveva le labbra a vuoto, cercando il coraggio di articolare la parola perduti. Il mondo è pieno di veleni che neanche te ne accorgi; intanto adesso sono vivo, domani si vedrà... Nei primi due mesi del 2010 si è registrato un picco di leucemie infantili senza precedenti nella città di Milano. Un'équipe di medici e specialisti è impegnata a studiare il fenomeno, ma non c'è ancora una risposta. Il cancro è bastardo, per ogni caso possono esserci moltissime concause. Crescono del 2% l'anno le neoplasie infantili in Italia con picchi in prossimità di aree industriali e inquinate: il primo rapporto in materia è del 2008, redatto dai centri di prevenzione, di oncologia e dall'Istituto superiore della sanità in base a ricerche che partono da fine anni ottanta. Dei figli degli altri chi se ne frega, io i miei li porto via tutti i finesettimana… poi, all'improvviso, uscì chissà come di strada per finire nell'impetuosa acqua nera… Probabilmente è doloso il danno provocato dall'apertura dei rubinetti, per l'esattezza delle vasche di mantenimento di un'ex raffineria a Villasanta, in provincia di Monza. Risulta che il contenuto del deposito fosse superiore a quello imposto dalla regione. La domenica del blocco mi sono infilato in auto e ho acceso il motore, un vigile mi ha avvicinato e gli ho detto: fa freddo, sto qui dentro per scaldarmi; mi hanno lasciato stare… sebbene all'interno ci fosse ancora dell'aria, una bolla, o alcune bolle. E' indubbio trattarsi di qualcuno che conosceva bene la fabbrica e il sistema per manomettere l'impianto.

Elogio della vecchiaia

Ricordiamo tutti l'acceso dibattito, nei primi mesi del 2009, intorno alle questioni di fine vita e al testamento biologico. Lo sfondo era, ed è, quello di un progresso scientifico che delinea sempre più nettamente la prospettiva di una vecchiaia straordinariamente prolungata con metodi artificiali anche contro la volontà personale..
Tuttavia, a dispetto delle più cupe prefigurazioni di una terza età debole e manipolabile, le persone non si sono ancora arrese e la realtà dei fatti ha mostrato in quest'ultimo periodo un mondo degli anziani più che mai vivo e creativo. L'anno della crisi economica infatti ha dato modo a moltissimi di fornire un'immagine di sé tutt'altro che spenta o insignificante. I pensionati si sono rivelati un prezioso aiuto per le famiglie in difficoltà, in cui giovani assunti freschi di laurea e adulti nel pieno della vita lavorativa si sono trovati improvvisamente licenziati o in cassa integrazione, mentre i nonni e le nonne hanno messo le loro pensioni anche minime a disposizione di figli e nipoti.
Una società che si predispone a trattare i vecchi come oggetti giacenti in un letto d'ospedale, su cui altri prendano le decisioni, è chiamata a rivalutare la figura del senex: saggio, equilibrato, risparmiatore e controcorrente.

Zizek blues

Odia il prossimo tuo è certamente un titolo che attira l'attenzione: si tratta dell'ultimo libro apparso in Italia firmato da Slavoj Zizek (Transeuropa, Massa settembre 2009), che con Eric L. Santner s'interroga e interroga grandi pensatori del passato sul tema dell'altro. Il pensiero di Zizek è una festa dell'intelligenza e per l'intelligenza: le sue molte associazioni mentali e le citazioni di filosofi, psicanalisti, registi, scrittori, fenomeni vari di cultura di massa, rendono il ragionamento molto coinvolgente.
Chi è il nostro prossimo? Il prossimo, già nella tradizione giudaico-cristiana, non è il simile, il vicino, ma l'altro, il portatore di un nucleo traumatico estraneo, il sempre-diverso-anche-se-ci-sta-vicino. E' un soggetto diviso esattamente come noi, secondo la psicanalisi, quindi sostanzialmente estraneo anche a se stesso, segnato dall'impossibilità di capirsi totalmente. La conseguenza migliore di questo stato di cose potrebbe essere la solidarietà nell'umiltà: "questa presa di coscienza implica la dimensione di base del perdono e del tollerante vivi e lascia vivere: mai sarò in grado di spiegare me stesso all'Altro, perché io per primo non sono trasparente a me stesso e non otterrò mai dall'Altro una risposta completa alla domanda 'Chi sei tu?', perché anche l'Altro è per se stesso un mistero (…) Il riconoscimento reciproco di questo limite allora apre lo spazio alla socialità che è solidarietà nella vulnerabilità" (p. 94). Questo, nella migliore delle ipotesi.

sabato 17 dicembre 2011

Che cos'è un critico letterario?

Un critico letterario è uno scrittore che costruisce il suo racconto servendosi di personaggi tratti dalla realtà storica: i prosatori e i poeti realmente vissuti o viventi.

Che cos'è uno scrittore?

Gli editori e i critici si domandano talvolta che cosa sia "letterario". Dov'è che si può dire di aver trovato uno scrittore? 
Uno scrittore, a mio parere, è colui che assume il linguaggio in forma problematica o critica, non puramente passiva, dove il linguaggio è inteso come lessico, grammatica, sintassi. 
Ne consegue un'adozione problematica pure dei generi poetici o narrativi di cui fa uso.

La scrittura massimalista di Luigi Di Ruscio

Lo stile del capolavoro narrativo di Luigi Di Ruscio (Cristi polverizzati, Le lettere, Firenze 2009) è vorticoso e trascinante. Il suo periodare "massimalista" cattura in un turbine centripeto tutto quello che trova e rilancia al lettore con un'energia talvolta esilarante e sorprendente pezzi di passato, avvenimenti recenti, aneddoti autobiografici, frammenti di storia, libere associazioni, sentenze e riflessioni ricche di saggezza.
Si potrebbe parlare di flusso di coscienza sociale.

Luigi Di Ruscio, "sprigionatore" di parole

Massimo Rizzante, nel saggio Non siamo gli ultimi (Effigie, Milano 2009), commenta un racconto di Asar Eppel' (della raccolta Via d'erba, Einaudi, Torino 2002), in cui dei ragazzi, durante l'avanzata tedesca verso Mosca, in uno dei momenti più drammatici della storia, si divertono a lanciare vasetti di senape contro una fontana. "E' la bellezza del presente ordinario," commenta Rizzante, "incastonato come un diamante nelle nefandezze del passato e della guerra."
In modo analogo nel romanzo Cristi polverizzati di Luigi Di Ruscio (Le Lettere, Firenze 2009), in un periodo di grande povertà e di massimo pericolo quale fu il 1943, dei ragazzini piceni, liberi di scorrazzare per i campi e largamente inconsapevoli di quello che sta accadendo intorno a loro, vanno in giro per giornate intere a nutrirsi di erbe e fiori, adottati da una natura feconda, trascurata dagli uomini.  "Ai lati delle strade i cardi crescevano inesauribili, scoprivo sempre nuovi fiori mangerecci sfrondavo i rami più sottili e riempivo la bocca di fiori e foglie tenere, pascolavo su campi di sulla, solo le scorze degli alberi non facevano pasto… (…) Passava sui rami un'abbondanza esagerata: nelle case dei contadini c'erano solo donne e vecchi e quindi tutto era meno curato e sarà stato forse per queste mancanze di cure che tutto cresceva meglio… Godevo tutto…" (p. 38)
Passata la guerra, con la maturità, arriva la comprensione del proprio mondo, umile, emarginato e analfabeta, espropriato durante secoli duro lavoro, da una classe di ricchi proprietari fondiari e clericali.

venerdì 16 dicembre 2011

Prove di caccia al clandestino

Agosto 2009: nonostante le polemiche, i numerosi appelli, le raccolte di firme su Facebook, le lettere al Presidente della Repubblica, pare che sia proprio cominciata sulle spiagge italiane la caccia ai clandestini.
In una tranquilla mattina vacanziera, nella massima calura estiva sospesa su di un mare appena ventilato, sbuca  di sorpresa da dietro le cabine di una spiaggia ligure affollatissima un manipolo di guardie di finanza vestite di tutto punto, comprese pistole nella fondina e un manganello in mano a uno di loro. Si dirigono in ordine sparso verso i muretti e dietro le barche che costeggiano la spiaggia libera delle vecchie 'fornaci' di Savona, talvolta luogo di sosta dei vu' cumprà durante i loro lunghi e sovraccarichi percorsi sul lungomare. Un "rastrellamento" davvero paradossale, considerato che i giudici di pace, già allarmatissimi per la mole di lavoro che si prospetta, hanno dichiarato di non volersi occupare del reato di clandestinità se non dopo il 16 settembre. Ma la manovra così spettacolare sembra fatta più che altro per intimidire. Negli anni scorsi passavano moltissimi venditori ambulanti in confronto a quest'anno, si erano cominciate a vedere anche alcune donne africane sovraccariche di vestitini e asciugamani, che riuscivano perdipiù a tenere in equilibrio sulla testa, oltre che sulle braccia, ancora altra mercanzia. Ma quest'anno, spariti quasi tutti.
Quelli rimasti si notano ancora sugli autobus negli orari serali del ritorno dalle coste più turistiche oppure sui treni per Genova.

La specie che fabbricava idee

In alcuni recenti documentari di "Ulisse" o della "Gaia scienza" viene prefigurato il volto del pianeta dopo la scomparsa dell'uomo, sull'esempio che fanno alcuni giornalisti scientifici americani; tra i più celebri, Alan Weisman nel volume Il mondo senza di noi (Einaudi, Torino 2008).

In concomitanza con la settimana del clima, indetta a livello internazionale a partire dal 21 settembre 2009, in questa breve pagina parlerò anch'io della specie umana come se fosse già trapassata, come se si fosse estinta da tempo, se mi si lascia passare l'inevitabile finzione che qualcuno, un qualche essere di un'altra specie molto simile a noi sia in grado di decifrare un lontanissimo giorno la nostra storia.



Ipotesi sulla specie umana

Era la specie che fabbricava idee. Grazie all'abile uso delle mani e alla produzione di utensili, il cervello si era talmente sviluppato e perfezionato da riuscire a elaborare progetti per il futuro e teorie sulla sua propria esistenza, provenienza e destino. Dopo aver domato gli elementi, a differenza di tutti gli altri animali, l'homo sapiens riusciva a guardare il mondo con un sorriso e non più con paura. Di fronte alla linea dell'orizzonte era capace d'interrogarsi sull'ignoto, desideroso di conoscere anche ciò che poteva sfuggire alla sua percezione.  

Fu la specie che si pose il problema della serena convivenza fra tutti, che immaginò paradisi o società collaborative e felici, che riuscì a provare pietà anche per il diverso da sé, che riuscì a superare, in molti casi di eroismo e di sacrificio, i propri limiti egoistici di pura sopravvivenza. Sottomise la natura alle proprie esigenze ma avrebbe voluto vivere in armonia con tutte le forme viventi e, fin dai tempi più antichi, sognava un'arca che salvasse ciascun tipo di animale e pianta dai diluvi.

Chiamò fratelli i lupi e i carnivori più pericolosi, ma comprese la propria somiglianza di destino anche con le specie più lontane dal proprio stadio evolutivo, come invertebrati e insetti. Eppure lottò contro malattie sempre nuove, si difese strenuamente contro terribili epidemie e carestie.

Quelli che van per rospi... ma per salvarli

Oggi, 1-7-09, leggo su la Repubblica on line l'articolo di Cristina Nadotti "Brutti, sgraziati e repellenti: ma da salvare", che parla di diverse specie animali e vegetali in via d'estinzione non tutelate però come altre dall'aspetto più simile al nostro. Chi infatti non prova simpatia per delfini, panda o lupi, dal musetto quasi antropomorfico, e chi sarebbe pronto a prodigare energie, tempo e fondi per rettili e anfibi ugualmente a rischio?

Qualcuno c'è, persone rare ed encomiabili.

Una di queste è Anna della Lac, che, oltre a essere attivista della Lega per l'abolizione della caccia, si prodiga anche per la salvezza di alcune preziose specie selvatiche messe a dura prova dal crescente consumo del territorio. Chi penserebbe mai, per esempio, ai rospi? Spesso nelle campagne sono stati e sono facile oggetto di persecuzione da parte dei ragazzini. Ma la loro peggiore sventura è stata causata dall'usurpazione territoriale da parte di strade e centri abitati, che ha portato come non ultima conseguenza anche l'inquinamento delle acque.

Il Bufo bufo, rospo comune, è ormai un animale del nostro sottobosco a rischio d'estinzione, sebbene abbia in  natura pochi predatori, deponga migliaia di uova e si sia sempre dimostrato utilissimo per l'agricoltura, in quanto nella catena alimentare riduce la proliferazione di alcuni tipi d'insetti infestanti. E' protetto dalla Convenzione di Berna del '79, che tutela la fauna selvatica, divenuta legge italiana nel 1981.

giovedì 15 dicembre 2011

Farsi l'andatura

Due poesie in prosa


Farsi l'andatura

lungostrisciando contro il muro di un magazzino riesco a guadagnare qualche millimetro di strada millistrisciando lungo un muro inciampando millimetro per millimetro correndo piano allungando più il passo della gamba strisciando appena millimetricamente di corsa però semprestrisciando radente rasentando il muro a rischio d'inciampare nei miei stessi piedi nella mia stessa corsa-risucchio all'ombra di un muro

  
   
A perdifiato

Stringi stringi i denti stringi il fiato coi denti non mollare mangia il fiato a bocconi che non vanno né su né giù come quando nella corsa si perde il fiato e tu mordilo tieni duro non pensare che lui si sia come attorcigliato a quel peduncolo che sta in gola proprio nel mezzo apposta per farti strozzare dagli corda dagli più corda allenta appena appena per mantenere il passo se no non ce la fai
lascialo uscire quel fil di fiato lascia che si divincoli come sa fare lui che si liberi una buona volta ecco tambureggiando più in fondo adesso si riprende il suo ritmo corre a pieni polmoni per tutti i prati del
e tu adesso riafferralo agguantalo forte avvolgilo ben bene intorno alle dita delle mani e dei piedi come un prestidigitatore fallo sparire dietro qualcosa un polsino o uno spiumio di colombe o un ventaglio di carte
annodalo alla tua lingua e tientelo ben stretto il tuo pezzo di fiato quello che ti hanno dato in sorte che se lo fila sempre qualcuno che non sei tu e se lo mangia pure e se lo sbocconcella e a un certo punto te lo taglia di net
e tu intanto masticatelo un po' anche tu fattelo a pezzi tra i denti tuoi tu per cominciare tritura ti si è annodata la lingua allora fumatelo mandalo in fumo
resisti se puoi quanto più puoi che il peggio deve ancora arrivare come uno strappo di qualcosa di cui non trovi più il capo non ne vieni a capo non vieni a capo di niente non puoi fare punto e a capo non puoi più andare a



(dicembre 1998, rivista Confini n° 5 col titolo Microprose metropolitane)

Ufficio oggetti smarriti

Una bandiera rossa

Cerco una bandiera rossa rossa, rossa in ogni suo punto, senza segni sovrapposti, senza simboli di partito. All'ultima manifestazione del 25 aprile ce n'era una esattamente così, e alcune simili in un gruppo dei centri sociali. Queste ultime però erano screziate su un angolo dal disegno della falce e del martello, simbolo in cui molti lavoratori salariati non possono più riconoscersi poiché sono cambiati gli strumenti di lavoro. Con la crisi, con le crisi che si succedono, si parla inoltre di progressiva proletarizzazione del ceto medio. I precari, i disoccupati o i molti tecnici di computer, che lavorano con un pc anziché con un martello, sarebbero esclusi dalla bandiera? Per non far torto a nessuno, mi piacerebbe che sventolasse soltanto il colore rosso, in cui tutti coloro che volessero cambiare il mondo potessero riconoscersi.
Ho domandato all'unico possessore di bandiera interamente rossa come se la fosse procurata o se se la fosse fatta da sé, magari ritagliandola da un'altra bandiera, escludendone un simbolo caduto in disuso.

Aveva, questo scampolo di tessuto, un'origine avventurosa. Era caduta in battaglia. Durante gli scontri di Genova del 2001 era caduta a qualcuno durante una fuga per le strade sottoposte alle cariche della polizia. Era stata sollevata e portata in salvo da qualcun'altro, che a sua volta ne era stato salvato! Questo salvatore di bandiere era infatti stato raggiunto da altre incursioni punitive (raccontava forse mitizzando, preso dal racconto di quella giornata straordinaria) era scivolato, istintivamente si era avvolto nel suo drappo e presto l'avevano lasciato stare, come per miracolo.
Non si sa se questo colore nudo e crudo torni presto a comparire da qualche parte, se stia cercando senza dare troppo nell'occhio nuovo spazio, se voglia prendere nuove strade o se sia davvero sparito dalla faccia della terra, tranne che in quel frammento del 25 aprile. Quest'ultima ipotesi, la sparizione, è la più improbabile. Che ne sarebbe del principio speranza, delle utopie che non si può smettere di sognare, del motore della storia? In che cosa dovrebbero credere gli uomini? Forse che la resurrezione dei corpi è più plausibile di una società senza ingiustizie? E poi perché dovrebbe essere così intollerabile il pensiero di un mondo senza classi in cui a tutti venisse dato in base alle proprie necessità?
Hanno provato a dirci, oltre un ventennio fa (e prima ancora) che la storia era finita, che tutto ormai era fermo... io cerco ancora una bandiera rossa da risollevare.


(2-5-09, Direfarebaciare)

Ufficio oggetti smarriti 2

Il telefono fisso e il vecchio televisore

C'erano una volta il telefono fisso e un solo televisore in casa. Adesso immagini in movimento e conversazioni telefoniche ci accompagnano pressoché ovunque. Assistiamo al tripudio della telefonia mobile e al proliferare ovunque di schermi pubblicitari o informativi, che ci ossessionano persino lungo i binari dei treni, alle fermate della metropolitana, sugli autobus, nelle sale d'attesa di dentisti o parrucchieri, oltre che nelle grandi piazze o per strada, come a riempire tutti i vuoti possibili. Il nostro è un tempo infarcito di cose, e perdipiù di cose belle.

mercoledì 14 dicembre 2011

Flash

tutti questi flash negli occhi… pugni di riso per gli sposi… fotografati io e la bara; io senza la bara; io e la mamma; io senza la mamma… sempre io al centro… altrimenti io e la mamma abbracciati
"Ma, ecco, è lei! E' lei!" al mio fianco sul sagrato… vestita di bianco, radiosa… ha un velo semitrasparente davanti al viso per nascondere pudicamente l'emozione ("C'era sangue sulla facc…?") la sua espressione dolce, ridente, gli occh…
tutti aspettavano noi qui fuori: il sindaco, i conoscenti, i giornalisti, i carabinieri… la città intera (la famiglia e la città tutta piangono la perdit…
riunita per festeggiarci… gente venuta anche da fuori… abbracci, strette di mano, la gioia collettiva, spontanea per la felicità di due giovani così belli… non osano baciare la sposa perché è velata e un po' ritrosa… allora stringono la mano a me, m'invidiano… lei irradia luce da tutto il corpo, fa sbocciare la primavera tutt'intorno… la gente la vuole guardare (quello sfregio sull'occhio…
non riusciva più a vedermi… a tentoni nel buio… cercava un me che non riusciva più a trovare
il vento è così dolce e gentile e noi così leggeri che potremmo essere trasportati su una nuvola (no, è impossibile che mi guardi da lassù) le persone ci portano in palmo di mano (uno scricchiolio quasi silenzioso) in onore della giovinezza, della felicità! (un cedimento di qualcosa… cosa avrà ceduto per prima? una falange, una costola? nella spinta contro il muro o giù per le scale) la gente ci solleva, ci porta in trionfo… con le mani riusciamo a sfiorare le fronde degli alberi, i fiori… come bambini sulle altalene… inebriata dal profumo, lei respira profondamente (era mai successo in cantina?) ma saliamo sempre di più, trasportati… entriamo dentro l'ombra fresca, odorosa (a un certo punto una sostanza più scura, più densa) degli alberi (le mani lordate, grondanti, dove…?

Effetto notte

Non sempre si riflette sul fatto che, accanto agli stupri per le vie delle città o nei giardini pubblici, appena dietro l'angolo del nostro vivere civile si svolgono quotidianamente atti di violenza di matrice analoga. Moltissime donne, ragazzine e ragazzini immigrati si prostituiscono per necessità di sopravvivenza o nella speranza di qualche chance che possa cambiare la loro vita. Se la legge del 2008 li ha resi meno visibili, introducendo multe e pene giudiziarie per i clienti, sul fenomeno si è soltanto gettato un velo pietoso ma non lo si è certo eliminato. Fino a qualche anno fa se ne vedevano lunghe file sui viali di Milano, specialmente donne africane, a tutte le ore del giorno, persino esposte sotto la pioggia nelle brutte giornate, a pochi metri l'una dall'altra, lungo le principali arterie di traffico che collegano la periferia, ma anche in quartieri più centrali. Ricordo in particolare un episodio di cui fui testimone più di una decina d'anni fa una domenica pomeriggio in zona Città studi: una donna di colore imprecava contro un'auto che l'aveva appena lasciata sul marciapiede nuda dalla vita in giù. Evidentemente il cliente l'aveva lasciata senza gonna e senza indumenti intimi per dispetto o per scherzo… lei doveva camminare nuda sotto gli occhi di tutti cercando di ripararsi e di raggiungere qualche luogo dove trovare altri vestiti, una parola coi negozi e coi bar chiusi… E questa era soltanto una goccia nel mare, uno scherzo nel mare di violenze ben più gravi che sicuramente saranno state perpetrate di nascosto.

Psicopatologia della vita democratica (seconda parte)

Nel primo articolo sulla "Psicopatologia della vita democratica" (dell' 11-2-09) avevamo incontrato la frase "Fatti gli affari tuoi", molto usata dagli italiani e già emblematica ma rivelatasi esemplare anche per fatti recenti, come il crollo di edifici in cemento armato simile allo sfarinarsi di castelli di sabbia, edifici di vitale importanza costruiti appunto secondo il principio degli affari propri e del chi-se-ne-frega. 
Oggi è la volta di un altro slogan sulla bocca di tutti: "Tu non hai santi in paradiso". Così mi è stato recentemente risposto in ufficio a proposito di una temporanea richiesta di part-time. Risposta formale non c'è nemmeno stata. La battuta è stata assolutamente informale e amichevole, come a dire che non occorrono tanti passaggi di carte o giustificazioni quando si sa benissimo a priori dove sta il punto e come tutto funziona. Qualche collega più solidale ha persino commentato: "Ma come, tu non ce l'hai un sindacalista di riferimento?". Eccetera eccetera: lascio immaginare il seguito. Persino in tempo di crisi non si riescono a ottenere part-time o riduzioni d'orario, andando quindi controcorrente, se certi santi non ci mettono parola.
Cambiamo scena: i festival della letteratura, le fiere del libro, le premiazioni autorevoli: ecco il paradiso in cui si muovono i santi patroni delle nostre Lettere, che per un giorno, per alcuni giorni, ci passano accanto miracolosamente come persone normali (di un Paese normale che l'Italia non è, come qualcuno ha recentemente osservato), si rivolgono a noi, pubblico, direttamente dal vivo, possono persino rispondere ad alcune domande, diventano uomini fra gli uomini.

martedì 13 dicembre 2011

Psicopatologia della vita democratica

Psicodramma in un ufficio postale. Un ufficio postale è fatto quasi ad anfiteatro, è aperto quasi 12 ore su 24 a tutti quelli che passano come un porto di mare, la gente perlopiù è nervosa, ha fretta, è costretta all’attesa, magari non trova i moduli che vanno a ruba sugli scaffali, gli impiegati sono in front line per tutto l’orario di lavoro, sei o sette ore, con forti ondate di affluenza in certi periodi. Niente di strano dunque se spesso vi si svolgono psicodrammi divertenti o violenti, secondo i casi. L’altro giorno ho assistito coi miei occhi a questa scena: un handicappato di circa diciott’anni che ho già visto altre volte sta prendendo vari moduli di qua e di là per giocarci poi a casa. E’ un tipo espansivo e dice a voce alta a tutti che per esempio il bollettino delle tasse automobilistiche gli serve per prendere la patente, lui si è fatto questa convinzione, oppure che il modulo per le ricariche telefoniche gli serve a «farsi il telefonino» perché non ne ha uno tutto suo. Noi naturalmente immaginiamo a cosa è destinata questa persona: vede che tutti hanno la macchina e lui non potrà mai guidare, vede che tutti parlano sul proprio telefono portatile e lui non ne può avere uno proprio perché chissà chi chiamerebbe, tutti hanno un lavoro e lui non ce l’ha (chiede insistentemente girando fra gli impiegati: «Mi assumete? Mi fate assumere alla Posta?»), e naturalmente si possono immaginare anche le rinunce più terribili che lo attendono al di là di queste piccole rinunce: non uscirà con altri ragazzi della sua età, non andrà mai al cinema con loro, non uscirà con le ragazze, non avrà una ragazza eccetera. All’improvviso dalle postazioni degli operatori si stacca un’impiegata più decisa degli altri che gli dice di non prendere troppi moduli e, vedendo che lui resiste, gliene strappa letteralmente alcuni dalle mani, perché li sta consumando inutilmente, li sta sprecando. Interviene il padre del ragazzo che gli dice di stare bravo e lo accompagna fuori. La situazione non esplode in contumelie, resta sotto il controllo di un padre molto affettuoso che fa da mediatore intelligente e garbato. Tuttavia, uscito il ragazzo, io, che ho seguito tutta la scena, non posso fare a meno di dire all’impiegata che poteva anche lasciargli quei pochi fogli bianchi, una piccola cosa per lei ma molto significativa per quel ragazzo. La risposta è: «Si faccia gli affari suoi».

Top model d'oltretomba

L'incipit del primo racconto della raccolta Mannequins

L'unica vistosa stranezza era dovuta al fatto che nell'imbalsamatura non si riuscivano a conservare gli occhi aperti. Mettere le biglie di vetro avrebbe creato un effetto troppo falso. Infine i truccatori dovevano essersi rassegnati a lasciare le palpebre abbassate, come per pudore: dopotutto si sarebbe potuto pur sempre mettere in risalto il morbido effetto del mascara. Quell'ombreggiatura sul levigatissimo viso conferiva anzi l'impressione di un sonno sereno, così da meritare alle fanciulle la dolce sembianza di dormienti.
Quelle ragazze perlopiù erano morte di morte naturale e le madri ne  avevano fatto imbalsamare i corpi per trasferirle così, nel fiore degli anni, nei campi elisi della bellezza eterna. Alcune di esse, defunte, erano persino diventate top model o comparse nei film. Mentre le membra venivano svuotate e riempite di sostanze chimiche, naturalmente, venivano anche un po' corrette, dimodoché tutte quelle infelici creature, così sfortunate in vita, restavano su questa terra in figura di corpi perfetti. Tant'è vero che, a proposito di questa nuova usanza, qualche critico parlava già con convinzione di body art.

Per un corpo

Una delle battaglie più cruente dell'Iliade si svolge intorno al corpo di Patroclo già morto. Il canto XVII è interamente dedicato allo scontro fra achei e troiani che si contendono per un giorno intero le spoglie del giovane acheo, caduto indossando le armi di Achille.
La descrizione omerica di una battaglia feroce, senza esclusione di colpi, per un corpo abbandonato dalla vita fa pensare alla lotta altrettanto strenua che si sta svolgendo ai giorni nostri intorno al corpo della giovane Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente da diciassette anni.
Al di là dell'amarezza o dello scandalo di varie constatazioni che sono state fatte su questo caso, la cosa che può continuare a sorprendere, se si cerca di guardare le cose, per esempio, con l'occhio distaccato dello storico, è il contrapporsi delle forze in campo, a suon di sentenze e contro-sentenze, solo per decidere di un corpo che non appartiene più in ogni caso alla persona che fino all'età di vent'anni lo aveva posseduto. È un corpo senza persona, perché quella persona non lo muove più, non lo nutre più, non lo percepisce né pensa più. La persona che lo abitava lo ha abbandonato al momento di un fatale incidente il 18 gennaio 1992. Dal punto di vista clinico le speranze di un miglioramento, che nella maggioranza dei casi di SVP restano vive per due anni, svanirono dopo un peggioramento delle condizioni cerebrali avvenuto durante il primo anno.
Facciamo dunque affacciare per un attimo uno storico alla stanza di questa fanciulla in coma irreversibile del 2009.

lunedì 12 dicembre 2011

Squarci

Il buco nell’ozono e la sua rimozione. Il vero baco del millennio è il buco nell’ozono, uno strappo che si sta allargando sempre più nella sottile pellicola protettiva dell’atmosfera, a causa delle nostre emissioni inquinanti. Al momento sull’Antartide ha raggiunto le dimensioni dell’intero Nordamerica.

Il primo oggetto di rimozione nella coscienza di noi moderni homini sapientes sapientes è proprio questo piccolo, progressivo squarcio nel tessuto gassoso che ci protegge, noi e tutte le specie viventi, dall’arroventarsi del clima. Intanto si cominciano a scoprire anche altre conseguenze irrimediabili della predazione che il genere umano in pieno sviluppo demografico sta portando avanti a ritmo industriale accelerato in ogni dove; conseguenze cui si cerca tuttavia di non pensare, come quella della sparizione di moltissimi tipi di specie e di risorse, o come quella dell’impossibile smaltimento di vari rifiuti. Madre natura, non più madre, ma ridotta ormai ad ancella, a schiava da spremere il più possibile e poi buttare via, non riesce ad assorbire e a trasformare le varie sostanze tossiche o meno tossiche in qualcosa di buono per qualcuno. La velocità con cui lo stravolgimento della faccia della Terra avviene, lo sviluppo con la relativa crescita demografica, non le danno il tempo di abituarsi. E’ come una vecchia serva che lavora ventiquattr’ore su ventiquattro e non ce la fa più a servirci con la dovuta sollecitudine, anzi qualche volta si ribella, si ferma… ma quella muore…?!
Paradossalmente c’è stato anche qualche opinionista o psudoscienziato vaneggiante che per la fine del mondo ha ipotizzato questa soluzione: il lancio nello spazio di qualche sopravvissuto che colonizzi altri pianeti; il nostro possiamo tranquillamente lasciarlo andare in malora, ce ne sono tanti…!

Peccato per la carta

Forse nel giro di qualche decennio non ci saranno più librerie. Ognuno si stamperà da internet gli e-book che lo incuriosiranno, magari previa consultazione delle riviste o dei siti di critica letteraria. Li leggerà e li rilegherà, se gli saranno piaciuti, con metodi casalinghi, altrimenti riciclerà la carta. Questa prefigurazione apre scenari lievemente inquietanti su una società più rarefatta, con individui che lavorano e vivono per molte ore in spazi chiusi, connessi al mondo in prevalenza grazie al proprio pc. Chissà, forse si tratterà di sopravvissuti a qualche catastrofe che avrà fortemente ridotto la densità di popolazione e risorse di uso comune come i carburanti, la carta…
Distogliamo il pensiero e facciamo subito quattro passi in libreria.
Che cos'è oggi una libreria? Molto spesso è diventata un bazar di oggetti vari come magliette, agendine, poster, borse, cd, dvd e molto di più, ma t'innalza comunque di fronte, all'entrata, delle torri di libri, volumi che fanno da scaffalatura, da sostegno a se stessi. Questi libri accatastati gli uni sugli altri che fanno da struttura portante di se stessi, e fanno quasi da bastioni architettonici a guardia dell'ingresso, il più delle volte non hanno bisogno di presentazione, si conoscono già, ne hanno già parlato tutti, sono i best seller del momento. Alte pile dello stesso romanzo, intere vetrine colonizzate dall'identico titolo, riproposto con l'ossessività della Marylin di Andy Warhol quando veniva riprodotta in serie. Fatto qualche passo oltre l'ingresso, se si spinge lo sguardo un po' più in là, è un occhieggiare di gialli e noir da tutti gli angoli, o, nella più spregiudicata alternativa, di titoli ironici comico-rosa che invitano le donne a farsi quattro risate sulle faccende di cuore o di letto andate storte. Le autrici, quasi tutte inglesi e americane (ragazze, ma siamo proprio sicure che noi italiane non abbiamo niente da dire in proposito…?).

domenica 11 dicembre 2011

L'ingenuità

In quest'epoca di scaltrezza e di cinismo (oserei parlare di impero del cinismo) rivendico per me l'ingenuità. Quella di un personaggio di Robert Walser, poeta che muore addormentandosi nella neve nei Fratelli Tanner, o quella di Paolo, protagonista di un romanzo incompiuto di Federigo Tozzi, che crede di aver vissuto dentro le gocce di pioggia o di essere stato un raggio di sole. "Io ho perduto la mia anima dentro alcuna pianta…" dice ancora, oppure: "Io mi sono dimenticato parecchie volte. Quando la mia coscienza è riapparita, ho trovato un nuovo individuo che ho dovuto studiare." (Paolo. Adele, Vallecchi, Firenze, 1995).
Di candore disarmante è anche questa frase di Mircea Cartarescu: "… non sapevo che un giorno avrei mollato tutto per realizzare il mio eterno sogno: una sedia, un tavolo e un letto in una mansarda, dove avrei vissuto, aureolato di solitudine, una vita non terrena." (Abbacinante, Voland, Roma 2003).