Abitare vs costruire
A me
pare che più che costruire un romanzo
sia bello abitare un romanzo, una
scrittura. Scrivere come abitare il tempo, racconto come un luogo da esplorare nelle
sue diverse possibilità. Il verbo costruire presuppone un progetto ben
definito, un procedere razionale, un tendere a qualcosa, perfino un elevarsi e
un compiersi, che non sempre nella dimensione reale si verificano.
Tende a
qualcosa il tempo? Fondamentalmente tende alla morte, quindi il racconto-tipo
potrebbe consistere in questo avvicinarsi o palesarsi della morte, in questo
rapportarsi con l'apparir del vero
leopardiano. Magari stare in un racconto come in un diario non personale, non
per forza autobiografico, preferibilmente di finzione. Oppure no. La questione
è da esplorare: non soltanto trame puntiformi ma anche complesse.
Anziché
costruire: abitare, esplorare, espandere.
Orizzontalità anziché verticalità del narrare. Perché continuo a usare,
nonostante tutto, la parola narrare?
Se nulla si muove il racconto non nasce neppure, forse resta, ne migliore dei
casi, un testo filosofico o saggistico. L'orizzontalità sarà mossa, almeno un
po' increspata, dal momento che inquietudini, tensioni e dinamismi interni non
possono mancare.
Non
vorrei qui elencare i primi titoli famosi che vengono in mente a proposito
degli spazi mentali esplorati nei romanzi (La
nausea di Sartre, La montagna
incantata di Thomas Mann, La palude
definitiva di Manganelli, Dissipatio
H. G. di Morselli, Il deserto dei
Tartari di Buzzati, L'uomo avanzato di
Mariano Baino) piuttosto che brani della Recherche
o dell'Ulisse. Mi piace supporre che
lo spazio per il dispiegamento di varie forme di pensiero, da quello
argomentativo/analitico a quello associativo/intuitivo, trovi il suo luogo
ideale proprio nella forma romanzo genericamente intesa: luogo dello stare,
appunto, del resistere o risiedere o insistere dentro un confine dato; e dunque
sia una possibilità offerta a chiunque si accinga a scrivere un romanzo.
Non
m'immagino un abitare particolarmente ricco di comfort. Come discreto comfort, raro
sollievo, immagino frequentazioni e dialoghi con amici o letture di scrittori e
filosofi.
Infatti,
che cosa rende una casa, anche povera, una splendida abitazione?, si domandava
Heidegger nello scritto intitolato Abitare,
costruire, pensare, che prende spunto dalla penuria di alloggi in Germania
nell'immediato dopoguerra. L'abitare,
modo specifico in cui i mortali stanno sulla terra secondo Heidegger, si
contrappone al puro e semplice costruire,
tipico anche degli animali per quanto riguarda le loro tane. Il costruire è
finalizzato all'abitare e lo coltiva già nel suo farsi. La questione è che cosa
vogliamo mettere dentro alle case una volta edificate. Che cosa distingue e
caratterizza l'abitare umano? Le relazioni, i legami con gli altri. L'abitare è
un prendersi cura all'interno delle pareti domestiche, ma anche per ciò che sta
fuori: Heidegger aggiungeva infatti i legami con la terra e con il cielo (il
tempo). Con questi legami s'intrattiene l'abitazione umana, che per Heidegger
significa soprattutto avere cura, prendersi cura. Esistono quindi un abitare
autentico e un abitare inautentico, a seconda che siano vive le relazioni o
meno. Per abitare il tempo s'intende vivere la pazienza, non avere fretta,
essere lontani da ritmi produttivi frenetici. E per rispetto della terra che
cosa s'intende? Rispetto e valorizzazione degli spazi circostanti, una variante
della relazione con gli altri, cura di ciò che sta intorno.