Questo dialogo con il personaggio dostoevskijano e il frammento successivo, allora inediti, furono pubblicati tramite Francesca Matteoni su Nazione Indiana. Ora si trovano nel terzo romanzo della mia Trilogia della scomparsa (Roberta Salardi, Effigie 2020)
Kirillov
Kirillov non si uccide perché “ha deciso”. Si uccide perché
viene trasportato verso la morte da un desiderio profondo. Proclama ai quattro
venti la sua teoria del suicidio gratuito finché non trova qualcuno che gliela
fa attuare per una propria convenienza. Non si uccide perché lo vuole (o,
meglio, lo vuole ma temporeggia): altri, a un certo punto, esigono la
dimostrazione della sua teoria (ed è lui stesso a esigerla). Se non ci fosse la
stretta finale di Petr Stepànovic, forse rimanderebbe continuamente la
decisione, sentendosi in ogni attimo della propria vita libero di scegliere.
L’uomo della libertà assoluta fa la fine della pedina…
Non è lui che “ha divorato l’idea”, si legge nei Demoni;
“è l’idea che ha divorato lui”.
Non è l’uomo che divora il pensiero, è il pensiero che lo divora.
Kirillov è qui
che va su e giù per la mia stanza. Gli dico: “Rilassati, c’è sempre tempo…”
“Ma io voglio affermare la mia libertà! Io non ho paura di niente! Se non lo
faccio, non sono dio; sono un uomo qualunque…”
“Che t’importa di essere dio?”
“Ce l’ho con l’idea di dio, quella che hanno inventato e proiettato al di sopra
di noi. Quella vile menzogna ci tiene aggiogati. Mi ha
rovinato la vita… La voglio tirare giù!”
“Fa’ pure, ma dopo non succederà niente di speciale. Sarai dimenticato come uno
qualsiasi. Sarai dimenticato e il mondo non cambierà.”
“Perché non fai qualcosa anche tu? Ognuno dovrebbe fare qualcosa… Inventati
qualcosa anche tu…”
“Ti ho invitato da me perché sai pensare… e hai del coraggio… Quasi nessuno ne
ha. Molti non si azzardano a pensare per paura, per paura del vero, della tomba
ignuda mostrata di lontano, come direbbe il caro Giacomo. Altri, pur essendo
esercitati e capaci d’un avvio di ragionamento, non hanno voglia di portarlo
avanti, lasciano perdere… si domandano: ma che cosa sto a rimuginare in questa
piccola stanza claustrofobica mentre fuori c’è il mondo da godere? E scappano
come topi da una nave che affonda…”
“Vili!”
“Tu sei migliore di loro perché, se la logica ti conduce a restare sulla nave
che affonda, ci resti. Sei all’altezza del tuo pensiero. Non dirò che tu sia un
dio ma per me sei un uomo, e questo è tutto.”
“Credi quello che vuoi. Starò un po’ qui a passeggiare nella tua cameretta, se
ti fa piacere, tanto per me è lo stesso passeggiare qui o altrove.”
“Se fossi stato uno dei tuoi amici, ti avrei impedito di ucciderti. Nessuno ha
fatto niente per te. Nessuno ha sollevato un’obiezione… Anzi un criminale ha
approfittato di te per i suoi piani. Alla fine sei stato usato, un personaggio
della tua grandezza…”
“Io e Satov abbiamo fatto discorsi interminabili durante il nostro viaggio in
America, notte e giorno, sdraiati sulla nuda terra,
lui fervido credente, uomo buono, io ateo convinto… Abbiamo voluto metterci
alla prova nelle condizioni peggiori, siamo stati amici poi nemici poi di nuovo
amici…”
“Ti avrei detto che il tuo modo di pensare era prezioso, è prezioso. Perché
sprecarlo? Per la tua decisione ci sarebbe stato tempo…”
“Non c’è niente di prezioso e io non ho nulla che tu non abbia. Nulla è
importante per me tranne uccidere dio. Ho bisogno di liberarmi della sua
oppressione.”
“Io non sento questa oppressione, non sento neanche l’idea di dio, a essere
sinceri. Capisco che a te dia fastidio la sua falsità, è quella che ti pesa: la
sensazione di dover sottostare a un giogo assurdo. Sorge il dubbio tuttavia che
la tua vera intenzione sia quella di liberarti dall’oppressione di un’intera
società gerarchica e ingiusta e che tu stia sbagliando mira… Non è te stesso
che devi colpire.”
“Non parlare come Verchovenskij. C’è mancato poco che l’ammazzassi.”
“Verchovenskij è ambiguo e criminale, ma forse è uno dei pochi di voi che
guarda un po’ più in là di se stesso. Avresti potuto provarti a correggerlo, a
correggerne i ragionamenti, gli assurdi piani delittuosi. Il delitto, secondo
lui, avrebbe cementato l’unione del gruppo, invece non è stato così; ha
travolto ciascuno col senso di colpa. Se tu gli avessi prospettato questo esito
infausto…”
“Congiurava per secondi fini, per vendette personali… Era incorreggibile. Ma
dimmi di te. Credi davvero di aver bisogno della mia presenza?”
“Fossi l’unico uomo al mondo capace di ascoltarmi, non avresti il diritto di
lasciarmi…”
“Ti ascolto.”
“Mi aggrappo qua e là a questo o quell’autore o filosofo, ma sento franarmi la
terra sotto i piedi. Faccio fatica a tirare avanti…”
“E’ normale, è…”
“Stavrogin ha tentato di ergersi al di sopra del tragico con la sua ironia, col
suo sdoppiamento, con la sua ostentata indifferenza, ma col passare degli anni
non ce l’ha più fatta. Non era abbastanza insensibile, non quanto credesse lui
stesso almeno: viene distrutto dal rimorso. Tu hai fatto di meglio. Ti ci sei
buttato contro, al tragico, l’hai affrontato di petto, non hai provato a
evitarlo, e così facendo, suicidandoti di corsa, potremmo dire, hai tagliato la
testa al tempo, hai impedito che avesse la meglio su di te nella sua durata,
col suo carico d’infelicità… Avevi pur tesaurizzato i tuoi attimi eterni per
trovare la forza…! Sono convinto che all’ultimo momento tu ti sia sentito
vincitore saltando a pie’ pari la paura.”
“Non ho pentimenti.”
“Quello che tu chiami ‘dio’, Kirillov, per me è l’istinto di sopravvivenza: ci
fa vivere anche quando pensiamo che sarebbe meglio di no, ci fa tollerare
l’intollerabile… Però ora voglio che tu viva, Kirillov. Voglio che tu mi aiuti
a vivere. Sei capace di passeggiare su e giù tutta la notte in una gelida stanzetta
russa meditando il suicidio: chi è più forte di te? Kirillov, non mi lasciare…
Voglio che tu resti a meditare nella mia stanza senza tutta quella fretta di
ucciderti…”.
Note a margine di un
kamikaze d’Occidente
Sono cambiato.
Sono cambiato? Sono finalmente un uomo-macchina, un uomo col motore, un uomo
con le ali ai piedi? Produco? Faccio ricchezza? Vivo in velocità? Sono dinamico
e flessibile? Di giorno fattorino motorizzato, di notte ombroso pensatore…
macchinoso pensatore… velocista e ricercatore di pensieri ricercati…
intellettuale cupo come uno stoico in esilio (Vivi
nascosto…), uomo primitivo nell’elaborazione del lutto, inutile
sognatore confinato nel limbo dei pensieri notturni…
Riuscirà a farsi questo uomo? Riuscirà a farsi da sé? Riuscirà a partorirsi
dopo questa lunga gestazione?
Attraversando il
centro mi sorprendevo a immaginare che fra tutta quella gente ci fosse un mio
simile. Chissà, mi dicevo, se fra quei ragazzi che sciamano per il centro
nell’ora dello shopping ve n’è almeno uno che, scorgendo la propria immagine
riflessa fra gli abiti della vetrina, è in grado di avere, chiara e
inequivocabile come una conversione sulla via di Damasco, la comprensione che
molti uomini, piante e animali debbono essere sfruttati, schiavizzati o uccisi
affinché lui, andando a zonzo per la città, questo pomeriggio dopo la scuola
possa ammirare, in un negozio fra i tanti che lo attirano, le diverse paia di
scarpe da ginnastica di colori deliziosi, di materiale robusto ma dalla linea
slanciata, leggere come piume ma adatte ad ogni sforzo; affinché lui possa
permettersi, di fronte a tutte quelle paia di mirabile fattura, di restare
indeciso, desiderarle tutte e nessuna, con l’indifferenza di chi ha già tutto,
acquistarle tutte o lasciarle là, nella loro bella mostra, nella loro artistica
esposizione, con un’alzata di spalle. Confrontando il basso costo dei saldi con
decine di altri forse avrà l’intuizione del costo umano che deve corrispondere
a quella cifra sorprendentemente irrisoria, quasi irreale, che gli consentirebbe
adesso di acquistare tutte e tre le paia di scarpe che desidera e di alternarle
a seconda dell’abbigliamento e del tempo: un costo altissimo dato dalla somma
di lavoro minorile, lavoro nero e deforestazione progressiva. Quel ragazzo
resterà schiacciato irreversibilmente dalla scoperta che molte persone, piante,
animali sono stati sacrificati affinché lui potesse essere libero di andare a
zonzo per la città senza far nulla, di giocare o di sprecare la sua vita.
Quel ragazzo forse diverrà anche lui un giorno un kamikaze d’Occidente.
Magari riuscissi
a sputare, rantolando nella rabbia e nella depressione, qualche minimum morale… Qualcuno
potrebbe persino spingersi a dire: perché non hai scritto almeno un’inchiesta
giornalistica, qualcosa del genere? Se non opera di pensiero, sarebbe stata
comunque meglio di niente, una testimonianza dell’epoca, una nota di costume o
di folklore… No, mi viene da scarabocchiare soltanto qualche nota a margine
della mia sofferenza o del mio lavoro; non un trattato bensì un diario
opportunamente trattato.
Non riuscirò mai
a pensare. Pensare è trovare qualcosa di diverso. Forse: o si pensa o si
soffre. Le prime sofferenze possono servire da motorino d’avviamento per i
pensieri, ma quando si soffre troppo non si riesce più a pensare: un motore che
s’ingolfa e si spegne… Quel che è certo è che non cercherò una via d’uscita nel
bello, nella morte estatica. Continuerò a correre come un matto, a mordermi la
coda come un gatto.
Una delle ultime
notti ho sognato questo (ho trovato un appunto lasciato in giro dove l’avevo
segnato frettolosamente per non dimenticarlo):
Sogno della città ctonia
Ognuno ha il suo appartamentino e lo teniamo bene. Sono tutti monolocali o
bilocali. Si può stare da soli o, al massimo, con una persona, un parente o un
amico. Nessuno è amante di nessuno.
Io sono solo, cosa che mai più avrei immaginata. Avrei detto che avrei trovato
qualcuno qui… Ma forse abita nello stesso quartiere e io non lo so. Nei
prossimi giorni darò un’occhiata in giro…
Brani apparsi su Nazione Indiana il 14.12.2010, ora confluiti nel romanzo
Nell'altra stanza della Trilogia della scomparsa (Effigie 2020)
Nessun commento:
Posta un commento