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domenica 15 gennaio 2012

Preferirei di no

Era già la quinta che vedevamo, ma era prevedibile che non trovassimo subito. Troppo cupa, angusta... Si sarebbe potuto cambiare il colore delle pareti ma, si sa, la prima impressione è quella che conta. Il cliente mi disse che, entrando, era riuscito solo a immaginare candele accese, letture a lume di candela, lugubri veglie notturne. Certo quel soppalco, un senso di claustrofobia, lo dava… All'esterno tirammo entrambi un sospiro di sollievo. 
Se la prima visita gli avesse fatto una buona impressione, mi avrebbe proposto di fare un secondo sopralluogo insieme con la ragazza. Dovemmo aspettare l'ottava visita per avere l'onore della sua compagnia, che in effetti ravvivò notevolmente l'entusiasmo della ricerca. 
Nel corso della perlustrazione dei vani di quell'immobile sito in un quartiere residenziale, lei ebbe addirittura una folgorazione: "Ho visto i bambini! Caro, credimi, questa è la nostra casa!", non fece mistero di esclamare abbracciando il mio cliente per la gioia. Mi spiegò che nel vano cucina, stretto ma luminoso, aveva visto chiaramente loro quattro seduti al tavolo centrale, cioè loro due con i figli futuri: la grande finestra allargava notevolmente il senso dello spazio. Si provò a parlare di compromesso, ma la proposta non fu accettata dai proprietari. La ragazza restò così delusa che non comparve per un po'. Lui invece, flemmatico, sistematico, proseguì con una o due visite la settimana. 
Gli piacque un appartamento che trovai anch'io molto grazioso. Le piastrelle dietro l'acquaio ricordavano gli azulejos portoghesi; inoltre la cucina dava su un'ampia veranda straripante di piante e di utensili da giardinaggio. In un angolo così curato persino lavare i piatti avrebbe potuto riservare occasioni contemplative, occasioni che il mio cliente era ansioso di cogliere, a quanto pareva. Da parte sua la ragazza, ancora "in lutto" per la visita precedente, non volle venire a vedere lo stabile. In attesa che si riprendesse, passammo ad altri appartamenti.

giovedì 22 dicembre 2011

Counseling informale

Racconto tratto dalla raccolta Regressioni

"E' un counseling informale. La prima volta ci si può incontrare fuori, se vuole, anche nei pressi del suo ufficio. Lo dico per lei, così perde meno tempo per farsi un'idea. Una normale chiacchierata fra amici tanto per rompere il ghiaccio. In un secondo tempo si passa in studio." "Informale…? Non avevo mai sentito parlare di questa pratica…"
"E' nuova infatti. Appena importata dagli States. Innovativa."
"Lei sarebbe in città comunque?"
"Sì."
"Ascolti… Se è così informale, non si potrebbe fare per telefono?"
"No… no. Ecco, il counseling richiede la viva presenza. Il vis-à-vis è importante."
"Sono indeciso. Il suo annuncio mi ha incuriosito ma non saprei…"
"Ci pensi pure. Quando decide, mi richiama."

Perso. Gli indecisi non decidono. Dovevo decidere io per lui; dire qualcosa del tipo: tentar non nuoce o una scemenza così. Quando si rimanda, non richiamano, è scontato.
Lavorare molto sulla chiusura della frase, diceva bene il mio amico…

"E' un counseling informale… Inizialmente ci s'incontra in un bar, in un locale qualsiasi… poi si vede se è il caso di passare in studio…"
"No, così non va: troppo scanzonato, sembra una presa per il culo. Counseling informale fa un buon effetto, va bene; ma devi curare di più il resto della frase. La conclusione è decisiva. Riprova."
"Pronto… Sì, è un counseling informale. Si fanno due chiacchiere per cominciare, poi si passa in studio."
"Così va già meglio. Molti alla parola studio non fanno più motto: percepiscono la professionalità."

mercoledì 14 dicembre 2011

Flash

tutti questi flash negli occhi… pugni di riso per gli sposi… fotografati io e la bara; io senza la bara; io e la mamma; io senza la mamma… sempre io al centro… altrimenti io e la mamma abbracciati
"Ma, ecco, è lei! E' lei!" al mio fianco sul sagrato… vestita di bianco, radiosa… ha un velo semitrasparente davanti al viso per nascondere pudicamente l'emozione ("C'era sangue sulla facc…?") la sua espressione dolce, ridente, gli occh…
tutti aspettavano noi qui fuori: il sindaco, i conoscenti, i giornalisti, i carabinieri… la città intera (la famiglia e la città tutta piangono la perdit…
riunita per festeggiarci… gente venuta anche da fuori… abbracci, strette di mano, la gioia collettiva, spontanea per la felicità di due giovani così belli… non osano baciare la sposa perché è velata e un po' ritrosa… allora stringono la mano a me, m'invidiano… lei irradia luce da tutto il corpo, fa sbocciare la primavera tutt'intorno… la gente la vuole guardare (quello sfregio sull'occhio…
non riusciva più a vedermi… a tentoni nel buio… cercava un me che non riusciva più a trovare
il vento è così dolce e gentile e noi così leggeri che potremmo essere trasportati su una nuvola (no, è impossibile che mi guardi da lassù) le persone ci portano in palmo di mano (uno scricchiolio quasi silenzioso) in onore della giovinezza, della felicità! (un cedimento di qualcosa… cosa avrà ceduto per prima? una falange, una costola? nella spinta contro il muro o giù per le scale) la gente ci solleva, ci porta in trionfo… con le mani riusciamo a sfiorare le fronde degli alberi, i fiori… come bambini sulle altalene… inebriata dal profumo, lei respira profondamente (era mai successo in cantina?) ma saliamo sempre di più, trasportati… entriamo dentro l'ombra fresca, odorosa (a un certo punto una sostanza più scura, più densa) degli alberi (le mani lordate, grondanti, dove…?