sabato 26 gennaio 2019

Bio in spiccioli

Ho voluto scrivere poco, considerati anche gli inediti. Ho voluto aspettare che le idee maturassero entrando in incubazione per un certo tempo, dimostrassero di resistere agli attacchi di forze contrarie, come distrazioni o pigrizia, ed eventualmente si arricchissero di nutrimenti vari prima di venire alla luce. Questo per una legge di natura, si potrebbe facilmente affermare: solo qualcosa che possiede una discreta carica libidica, una sua energia, può riuscire a vivere. Accanto a questa motivazione ne scorgo subito un'altra abbastanza aggressiva: ho evitato di soggiacere alla coazione a produrre tipica del meccanismo industriale che ci è familiare nonché a stampare qualunque frase o pensiero passasse per il capo come se un mondo di seguaci o amici facebook fosse sempre lì ad attendere montagne di parole vuote come oro colato. Mi è piaciuto essere libera di scrivere quel che volevo quando volevo. Ho svolto un lavoro impiegatizio in un altro campo, in cui avevo l'impressione di vendere capacità meno preziose per me di quanto non fosse la scrittura. Un sacrificio c'è sempre, perché la società chiede qualcosa in cambio di quello che offre. Si è arrivati a un accomodamento fra le mie ambizioni personali e le esigenze sociali così ho venduto buona parte del mio tempo per svolgere compiti abbastanza lontani dai miei interessi ma non del tutto alieni. Avrebbe potuto anche andar peggio e qualcuno in effetti è costretto a sacrifici ben maggiori dei miei per stare al mondo. Senza allargare troppo il discorso, resta il fatto che il lavoro è conflittuale e la conflittualità del lavoro non so se a qualcuno è risparmiata.
E' giusto comunque che uno scrittore/scrittrice, un/una artista faccia esperienza di questo aspetto importante della vita degli uomini nel loro stare insieme: il lavoro. Il quale, se regolamentato e opportunamente ridotto nei suoi tempi e ritmi, è comunque a mio parere migliore dell'ozio. L'ozio è molto vicino al vuoto e all'angoscia del nulla. A meno che non diventi otium filisoficum, che però è tutt'altra cosa, è studio; non mi pare paragonabile all'ozio vero e proprio.
Quindi, dovendo fare una scaletta: ozio peggio di lavoro; lavoro peggio di studio-ozio filosofico-arte. Ma l'arte è un privilegio, seppur pagato a caro prezzo, con la sua buona dose di sacrifici.

domenica 20 gennaio 2019

Conversazione con alcuni antispecisti

Fra gli oppressi oggi rientrano a pieno titolo anche gli animali e le piante. Il conflitto tra uomo e uomo, che sembra meno cruento nell’Occidente benestante o limitato ad aree circoscritte del pianeta o tenuto in qualche maniera a bassa intensità, si è spostato col suo enorme potenziale tecnico sulla natura, gravemente e pericolosamente depauperata. Sono drammatici, per esempio, i numeri relativi alla riduzione della biodiversità o alle macellazioni di animali d’allevamento, la cui alimentazione richiede taglio di foreste ed enorme quantità d’acqua, con pesanti conseguenze sulla vita vegetale, animale e umana.


Roberta: E’ da poco trascorso il Natale, festa religiosa trasformata in festa dei grandi consumi. In rapporto all’equilibrio delle forme viventi e delle risorse sul pianeta, quali consumi secondo voi dovremmo soprattutto contenere?
  
Ornella: E' il consumismo in sé,  pratica promossa dal capitalismo e dal neoliberismo, che dovremmo abbattere, Natale o meno.

Gigia: E il natale ne è l'apoteosi... ma direi soprattutto consumi alimentari, visto che periodi come questo sono caratterizzati dalle grandi abbuffate, e i soliti ne fanno le spese... 

Aldo: La domanda stessa è regressiva rispetto a quanto già è acquisito. Ogni antispecista sa già come regolarsi individualmente, ma sa anche che "normativizzare" e dare indicazioni a altri è praticamente inutile.

Ale: si dovrebbe iniziare a fare il contrario di quel che si fa di solito. Se a natale, invece di regalar oggetti, ognuno facesse un NON regalo (si facesse dare dall'amico un oggetto inutile di cui sbarazzarsi) ci accorgeremmo di quanta inutilità siamo circondati.

Fabio: A livello dei singoli andrebbe adottato uno stile di vita più “parco” riducendo il più possibile le spese superflue come, ad esempio, il cambio del telefonino ogni 6 mesi, comprare dei vestiti quando veramente servono, convertire i regali di Natale con versamenti ad associazioni che operano nel sociale o meglio animaliste impegnate a diffondere l’antispecismo e la tutela degli animali salvati e da salvare. Per quanto riguarda l’aspetto sociale più ampio, penso che il sistema non arretrerà di neanche un millimetro sulla scia d’imporre alla popolazione elevati consumi. Forse, un amministratore comunale “illuminato” potrebbe adottare politiche locali all’insegna del risparmio e della riduzione degli sprechi (dal problema dei rifiuti a quello delle sacche d’inefficienza, ecc…).


Roberta  Il movimento antispecista è intrecciato alla questione ambientale e all’emergenza inquinamento?

Ornella: Il movimento antispecista si dovrebbe muovere, in maniera intersezionale, per evidenziare e quindi analizzare i livelli di forza e di oppressione che riguardano lo sfruttamento e la presa antropocentrica  sui viventi e sulla terra. E' l'antropocentrismo la causa principale della devastazione ambientale e di messa a morte dei corpi che non contano.  

Gigia: Si può parlare di corpi e non del loro spazio vitale? 

Aldo: Se si parla di corpi è d'obbligo parlare dello spazio vitale. Quindi, direi di sì, ma forse bisognerebbe ripensare anche la questione ambientale secondo una prospettiva che non sia quella oggi diffusa.

Ale: Dipende da che punto di vista si guarda alla faccenda. Se si considera l'inquinamento causato dagli allevamenti intensivi innanzitutto un danno per l'ambiente (e non si considera principalmente la inimmaginabile sofferenza animale) la questione ambientale e l'inquinamento hanno poco o nulla a che fare con il movimento antispecista. Viceversa, se si considera la tragedia che gli animali subiscono nella distruzione degli habitat, il tema è centrale anche per l'antispecismo. 

Fabio: Purtroppo no e a mio avviso lo dovrebbe essere con molta forza e determinazione. Sembra che il movimento antispecismo in generale non colga lo stretto collegamento tra presenza (numerica e tecnologica) dell’essere umano sul pianeta terra, insieme agli altri viventi. Vuol dire cercare di mettere la nostra specie al nostro posto calcolando la capacità portante e osservando la nostra impronta ecologica, per determinare e decidere quali e quanti spazi utilizzare per la nostra specie e rimettere in discussione la riproduzione della nostra società con tutto ciò che essa comporta. Pur essendo antispecisti, alcuni, non colgono il loro stesso atteggiamento antropocentrico (frutto di millenni di educazione e insito nel nostro DNA); non si rendono ancora conto che una società pacificata ed in armonia con gli altri viventi, può realizzarsi solo attraverso pesanti trasformazioni sociali e, parallelamente, attraverso un rivolgimento interiore che gran parte di noi ancora non vogliono accettare.