di Lorenzo Galbiati*
Domanda Personalmente non amo i libri “di genere”, per cui sono propenso ad accogliere con interesse le opere narrative che escono dai canoni editoriali – come la tua. Devo dire, però, che Nell’altra stanza mi ha messo in difficoltà perché a un certo punto mi è sembrato di leggere un’opera estrema, che di fatto non appartiene alla narrativa – per quanto vi si colleghi con un’esile trama. Come definiresti la tua opera? Appartiene alla narrativa o alla saggistica? Oppure alla diaristica?
Risposta Grazie per la definizione di “opera estrema”, ma forse opera “al limite” della narrativa è più appropriato. Di romanzi non prettamente narrativi (che ruotano intorno a una situazione più che snodarsi lungo un succedersi di fatti) ve ne sono diversi. Al momento mi vengono in mente Dissipatio HG di Morselli o La nausea di Sartre, ma non ne mancano. In ogni caso sappiamo che il romanzo, nel corso della sua lunga storia, si è prestato a molte trasformazioni e ibridazioni, si è dimostrato un contenitore molto elastico. Nell’altra stanza non è, a mio parere, un ibrido fra romanzo e saggio, che implicherebbe uno spazio maggiore dedicato all’informazione o alla divulgazione (un romanzo-saggio uscito proprio recentemente è per esempio Finitudine di Telmo Pievani, che si autodefinisce “romanzo filosofico” in copertina ma, data la mole nozionistica relativa alle teorie cosmologiche, genetiche, evoluzionistiche e altro, è a mio parere un romanzo-saggio a sfondo filosofico, peraltro molto interessante). Forse il mio Nell’altra stanza, senza alcun giudizio di merito, si avvicina di più al "“romanzo filosofico”", con molte virgolette però, poiché qui non si porta avanti alcuna nuova teoria e ci si rifà semmai a quelle già note (con brevi riferimenti, senza lunghe pagine saggistiche), di cui può essere impregnato un neolaureato in filosofia: esistenzialismo, marxismo, scuola di Francoforte. La definizione, ripeto, è un po’ forzata, poiché appunto non si elaborano teorie, si cerca solo di trovare nella filosofia un orientamento per vivere: la dicitura romanzo, a mio avviso, potrebbe bastare. Il punto di partenza è un personaggio, quindi siamo decisamente in ambito romanzesco. Con la precisazione che nel Novecento il genere romanzo viene molto problematizzato, si riconsidera e ci si interroga su personaggio, trama e punto di vista del Narratore (ma non è nemmeno la prima volta che ciò accade, se ricordiamo Tristram Shandy). La trama è stata proprio l’aspetto più contestato del romanzo tradizionale. Qui comunque non è forte ma c’è: il personaggio passa da uno stato A a uno stato B. La presenza di un personaggio maschile di circa trent’anni allontana questo scritto anche da alcunché di autobiografico. La forma è quella del diario (un tipo di diario molto articolato, con innesti dialogici, tranches epistolari, trascrizione di sogni, appunti di studio, messaggi fra amici). La prima parte è quella più inerte, forma dell’immobilismo iniziale di Andrea, della stasi da cui fatica ad uscire: egli si trova immobilizzato per un brutto incidente ma anche per un grande dolore che lo ha colpito, la notizia che la madre, nella stanza accanto alla sua, sia in fase terminale per un tumore non scoperto in tempo. La stallo in cui si trova è ulteriormente amplificato per il problema sociale che lo lambisce in quanto ex studente di una facoltà umanistica che ovviamente non trova subito la sua strada, anzi non ha molte strade aperte e finirà con l’andare all’estero. I suoi tentativi falliti di piccoli lavori non risolvono la situazione e soltanto la morte della madre creerà quello shock che lo metterà in movimento. Che cosa l’ha fatto resistere nella dolorosa vicinanza con la madre malata? Gli amati libri di filosofia e letteratura con i quali costruisce come delle “barricate” contro l’angoscia. I pensatori del passato sono amici che egli chiama per nome. Le frasi d’autore citate aprono a sue riflessioni personali, sono come motorini d’avviamento del pensiero. Stagnazione quindi fino a un certo punto…