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martedì 20 dicembre 2011

Intervista a Luigi Di Ruscio (seconda parte)

Ho trovato in un’edizione rarissima un altro suo libro in prosa, L’allucinazione (Cattedrale, Ancona 2007). Anche questo libro come gli altri romanzi viene da lontano, da molti anni addietro?

Ho preso in mano L'allucinazione,pubblicato solo due anni fa, e di questo libro non ricordavo nulla. Ricordo solo che diedi il manoscritto all’editore precisamente a Valentina Conti, che poi mi fece sapere che il libro voleva pubblicarlo ed io avevo cambiato idea, il libro non volevo più pubblicarlo. La Valentina Conti (molto bella e molto corteggiata), insisteva ed io alla fine dissi pubblicate anche questo, va bene, nel frattempo continuavo a scrivere corte prose immaginando che non si potesse scrivere poesia senza che la cattedrale dell’ultimo secolo abbia una sua centralità. La cattedrale dell'ultimo secolo è la fabbrica metallurgica. Il sottoscritto doveva diventare un chierico della grande cattedrale. Come comunista e come poeta dovevo diventare un operaio, questa è stata la mia "prospettiva” e la mia scelta operaia ha del comico, una specie di Chaplin di Tempi moderniche sventola la bandiera rossa per sbaglio e così mi presento come L'ULTIMO BUON POETA ITALIANO metto anche questa maschera e rimarrà impresso nella mia memoria quel convegno di poesie neorealiste nei primi mesi del 1953. Eravamo tutti giovanissimi, sui venti anni, con le tasche piene delle carte delle nostre prime poesie e poi tutte quelle polemiche contro il neorealismo, quello sparare contro un niente e quell'immagine di ragazzi con le camicette pulite, le prime cravatte, con le loro madri ancora giovani trepide per questi figli che volevano fare i poeti, ragazzi con la speranza intatta per un mondo migliore e all'immagine di questi ragazzi rimarrò fedele per tutta la vita.

Intervista a Luigi Di Ruscio

Dopo aver letto Cristi polverizzati sorge spontanea la curiosità di sapere com’è stata la seconda parte della sua vita, quella vissuta in Norvegia. Come avvenne che andò a lavorare proprio a Oslo? Fu facile ambientarsi in un Paese così diverso dal nostro?

Avevo ventitré anni nel 1953 e per puro caso trovo un editore che mi pubblica la mia prima raccolta Non possiamo abituarci a morire,prefazione Franco Fortini, questa raccolta mi procurò solo irrisioni e portate in giro, la raccolta peggiorò la mia situazione avrei potuto trovare da lavorare solo come facchino muratore sono alto 1,66 pesavo 56 chili, ero gracilissimo e il lavorare come facchino muratore mi distruggeva, una domenica mattina per puro caso nella piazza di Fermo vicini ad una rivendita di giornali conobbi un signore, parlando del più e del meno mi disse che era per pochi giorni a Fermo dove era nato e avendogli detto che ero disoccupato mi disse di un suo ristorante a Bruxelles dove mi avrebbe dato lavoro. Mi licenzio da facchino di muratore e parto. Arrivo a Bruxelles a notte tarda, dormo in una panchina della stazione e al mattino mi presento al ristorante, in verità era un ristorante albergo, mi danno da lavorare come lavapiatti e un posto per dormire. Tutto fila bene per un certo periodo poi scoppiò una cagnara con una che lavava i piatti come me. Faceva delle cose disgustose, i bicchieri che ritornavano per essere lavati spesso contenevano vino rimasto e il mio compagno se li scolava tutti sino ad ubriacarsi e il lavoro che dovevamo fare in due lo facevo io solo. Mi stancai di questa storia e mi misi a capovolgere il vino che rimaneva nei bicchieri velocemente.