Parlerò di tre autori, anzi ne riporterò per maggior chiarezza le pagine, i quali compiono il mirabile sforzo di entrare in contatto con gli altri o con l'altro, con realtà inconsuete, infrequentabili o strane. Prodigarsi in questo senso è a mio avviso uno dei significati della letteratura.
Il romanzo Sangue di cane di Veronica Tomassini (Laurana, Milano 2010, pp 230, e 16.00) è la storia dell'amore sconvolgente di una donna per un polacco alcolista che chiede l'elemosina a un semaforo. E' ambientato in una Siracusa metropolitana, ma potrebbe svolgersi alla periferia di qualunque centro abitato circondato da baracche di emarginati. I ripetuti tentativi della ragazza di salvare lo slavo sono occasione per rapportarsi con un mondo di esclusi, la cui presenza accanto a noi è segno di qualcosa che spesso ci rifiutiamo d'interpretare ma che inconsciamente fa appello a tutte le doti umane di comprensione e partecipazione. La scena di seguito descritta, che si svolge in prossimità di quelle grotte in cui trovano riparo i senza casa, evoca un mondo fuori dalla storia e pare svolgersi all'ingresso dell'inferno:
"C'erano le grotte dei polacchi e le grotte dei rumeni, rom rumeni di Sibiu o Valea Seaca, famiglie intere con bambini in fasce, bambini di tutte le età. Dividevate il territorio, da una parte i polacchi, dall'altra i rumeni. A pochi metri, sorgeva la chiesa degli ultimi giorni e un albergo a cinque stelle. Ma entrando in zona franca, il mondo bisognava dimenticarselo.