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venerdì 4 dicembre 2020

A proposito di realismo, non so se ho mai detto...

... una cosa importante. Piace il "realistico consolatorio", scrive, dopo acute, amare considerazioni, degne di altre lettere a nessuno al femminile (come ho lasciato intendere nel post Naufragare non è dolce) la scrittrice Claudia Zaggia, una mia simile, nel suo Naufraganti (Italic Pequod 2015). Le parole precise sono queste alla pagina 43 del romanzo: "Ormai so che cosa piace a quelli che danno i premi, alle giurie piace il realistico consolatorio facilmente detto e con dei buoni propositi, i buoni propositi sono tutto nella cattiva letteratura." (pag 43). 

Consolatoria o meno, cattiva o buona letteratura che sia, soffermiamoci ancora una volta sul realismo e limitiamoci a riconoscere che in Italia il realismo di stampo sociologico ha avuto una lunga stagione, che dura tuttora.* Anche alcuni romanzi da me citati e apprezzati sono nati nel suo alveo, l'ho ammesso, sebbene non abbia risparmiato attacchi alle sue forme più tradizionali a mio avviso superate (il narratore extradiegetico, il distacco pseudoscientifico).

Va però riconosciuta una valida giustificazione storico-sociale a questa scelta preminente degli scrittori di adesso: la storia italiana recente, come la nostra stessa contemporaneità, è piena di fatti criminosi riconducibili a importanti ed estese organizzazioni dal potere capillarmente diffuso e ben radicato nel territorio. Oltre ai numerosi traffici illeciti, agli scandali frequenti, che lambiscono ruoli e personalità di spicco del mondo politico-finanziario, oltre insomma alle note mafie che per certi aspetti ci rendono famosi nel mondo, non si possono non ricordare gli anni oscuri dei piani eversivi e delle stragi col relativo insabbiamento delle indagini e poi ancora processi legati a gravi reati (per esempio ambientali), che faticano ad arrivare a sentenza. 

domenica 31 marzo 2013

Altri libri in fiamme


Il forte calore ha incollato parte delle pagine, alcuni volumi si presentano come mattoncini di carta compattata, dalla copertina plastificata mezza fusa. I risvolti di copertina sono saldati ad alcuni fogli, i margini sono carbonizzati ed emettono un odore acre.
Per un doppio salvataggio, materiale e simbolico, trascrivo qui alcuni passi di volumi andati a fuoco nella cantina-magazzino dell'editore Giovannetti, incendio cui ho già fatto riferimento nell'articolo "La trilogia in fiamme".
Dario Lanzardo, nell'Ombra della Gulfstream (Effigie 2010) racconta un'allegria di naufragi da cui si possono salvare anche bambini nella culla, marinai malinconici diventati folli per la troppa solitudine, un singolare assedio di cavallette in mare aperto, traffico d'armi e d'oro su imbarcazioni che battono bandiere ombra, morti che scivolano silenziosamente in mare. E' ­­­la solitudine uno dei temi più interessanti del libro, solitudine o nostalgia per le quali si può anche impazzire oppure per le quali si può entrare in una più profonda intesa col mondo animale. Durante la risalita del corso dell'Orinoco si crea la convivenza fra un marinaio e una scimmietta. Questi, "memore della sua passione giovanile per i film di Tarzan, cominciò a darle un'identità chiamandola con il nome di Cita. Le parlò nominando le cose che toccava e che sembravano interessarla maggiormente. Un giorno le raccontò qualche episodio delle sue avventure scoprendo il piacere di ascoltare la propria voce evocare fatti realmente accaduti o sognati. Le parlò di Beppe e dell'amicizia, di Pinto e del tradimento, della rivoluzione che avrebbe riportato gli uomini ad amare la natura e della donna che gli aveva fatto tremare i polsi; le descrisse il Porto delle nuvole dove non sarebbe più tornato. Non aveva mai parlato con tanta facilità come di fronte al piccolo primate che, per qualche gesto della mano o particolari luccichii degli occhi, sembrava capirlo. Quando poi la scimmietta si addormentava sulla stuoia che fungeva da scendiletto o sul cuscino sopra la sedia, Tullio s'inteneriva come un padre di fronte al sonno della sua bimba." (p 86). 

venerdì 1 marzo 2013

La trilogia in fiamme


Ho partecipato all'acquisto di alcuni libri in vendita solidale seguita all'incendio doloso che ha avuto come oggetto, nella notte fra il 30 e il 31 dicembre 2012 a Pavia, la casa dell'editore giornalista saggista Giovanni Giovannetti. Nel rogo sono andati in fumo molti libri del magazzino. Quell'incendio secondo gli inquirenti è da mettere in relazione con altre azioni intimidatorie compiute nell'ultimo periodo ai danni di attivisti politici che si battono contro la criminalità organizzata, la speculazione edilizia e il consumo del territorio nell'area pavese e lombarda.
Uno dei libri bruciacchiati, salvati e ritornati nel circolo delle letture grazie all'iniziativa della vendita solidale, è Accusata di Mariella Mehr (Effigie, Milano 2008), autrice svizzera d'origine zingara dalla vita travagliata e traumatica. Nella prima infanzia fu infatti strappata alla madre e affidata a famiglie diverse e orfanotrofi, per via di una legge tesa alla sedentarizzazione forzata che restò in vigore in Svizzera fra il 1926 e il 1972. Ci troviamo di fronte a un'autrice che è stata traumatizzata e psichiatrizzata.
Per combinazione, questo libro parla di una piromane, di una psicotica che fa il resoconto dei suoi delitti a un giudice istruttore e ad altri carcerieri/carceriere. Un monologo talvolta frastagliato che in alcune parti drammatiche diventa flusso di coscienza senza punteggiatura, altrove, seppur raramente, puro delirio.