sabato 24 aprile 2021

Il critico col turbo

Racconto

Il critico mi telefona nel cuore della notte per dirmi che non ne può più, mi denuncerà in quanto stalker.

- Vuoi smetterla di mandarmi libri da leggere? Lo sai che per me questa è una tortura!

- Ciao, sei davvero…? Non credevo…

- Vuoi capirlo che mi opprimi? e pure mi deprimi? Solo vedere una tua copertina da lontano mi fa venire l’ansia di prestazione (sai cos’è?). Riesci a immaginare quanti libri devo leggere, sfogliare, agucchiare, tastare anche solo per la consistenza della carta, per la qualità della rilegatura, per non parlare delle copertine, che sono già metà del significato del libro, e io, modestamente, con la mia competenza anche artistica, rischio di restare per giorni bloccato così, incantato a fissare l’immagine riprodotta, specialmente se di un qualche valore, specialmente se copia di un capolavoro ineffabile! Per non parlare dei risvolti… a seconda dei titoli elencati nella bioblio, dei commenti di una qualche risonanza che si leggono di sotto o di sopra rivoltando il volume fra le mani, intanto per soppesarlo, per valutare la mole da affrontare, il numero di giorni da dedicare… Riesci a immaginare il grado di stress cui mi sottoponi ogni volta che mi spedisci quello che tu chiami “un piccolo dono”?

- Ma ho pubblicato poco… solamente due libri in vent’anni… Posso avertene spediti due al massimo e dilazionati nel tempo!

- Sì, ma si aggiungono a tutti gli altri che già mi si accumulano sulla scrivania e sulle sedie e sulla panca dell’ingresso e sul tappeto e sotto il tappeto! Poi, scusa, ma dell’ultimo libro mi hai mandato almeno dieci versioni diverse prima di pubblicarlo! Basta! Non lo voglio più vedere! Le dieci versioni dattilo le ho subito buttate ovviamente. Gioisci: nella carta da riciclare. Purtroppo, nel dividere la carta dalla plastica della rilegatura, ho perso anche alcuni preziosi minuti…

- Ma tu a quel tempo eri editor di una collana, per questo ti avevo mandato degli inediti!

- Cerca di avere un minimo di senso della realtà… so che per te è difficile, ma sforzati: già mi escono dagli occhi i libri stampati!

- Va bene, ma eri pure editor. Vabbè, continua.

Trasformatosi in narratore nel cuore della notte (di giorno critico illuminato, di notte storyteller per sceneggiature televisive), il celebre critico mi mette a parte di una sua fantasia romanzesca: io sarei una paranoica convinta che il mondo… no, non il mondo, più che altro i custodi del sapere, specie di divinità egizie che presiedono un’inquietante società segreta…

- Senti senti cosa ti sei inventata, cosa frulla in quella tua testolina… C’è addirittura una figura mitologica con la testa di cane che soppesa su un suo bilancino i cuori di scrittori e scrittrici d’insuccesso, imploranti di varcare la soglia della visibilità: chi sarebbe questo Anubi, eh? Io? Il Simo? Il Marchi? Nella tua testolina questa setta di sapienti sacerdoti (alla luce del giorno, critici e recensori) si riunirebbe a scadenza periodica e, con riti arcaici, deciderebbero le sorti delle patrie lettere: pochi i salvati e molti gli esclusi. Tu naturalmente sei fra gli esclusi, ça va sans dire.

- Ma perché fra gli esclusi? Mi leggete forse?

- Certo che no. Quante copie venderai? Appena venticinque?

- E dunque? Sarebbe più meritevole essere riuscita a vendere migliaia di racconti polizieschi? Vi guarderò dall’alto del mio fallimento... *

- Ho sognato che volevi uccidermi! Attirato in uno scantinato milanese con la scusa di una retrospettiva arricchita da nuove scoperte, qualche lacerto di diario ancora inedito, su De Chirico e Savinio, che avevo presunto ambientata in un bell'esempio di archeologia industriale à la page… mi smarrivo, non trovavo i quadri e nemmeno l’uscita… doveva trattarsi di un garage, di un sotterraneo spettrale senz’auto e senza invitati, pure senza buffet ahimè, di che brutto vernissage si trattava? Una trappola! E chissà quale speciale pena avevi in mente di infliggermi? Sulle soglie dell’egizio regno dei morti qualcuno pesava il cuore… Ti rappresentavi così la scena, no? Io, il Simo e il Marchi che incidevamo il costato di malinconici autori dalle vendite a un solo zero, massimo a due zeri, e soppesavamo le loro pene di scrittura… Questo è debole, qui non scorre, questo proprio non sta in piedi… Tu ti vedevi fra gli esclusi e non sopportavi il responso, anche se meritato! Volevi eliminarci uno per uno... mi avevi teso un tranello in quel sottosuolo postindustriale… Povero me, ti avventavi con un’accetta!

domenica 18 aprile 2021

Una trilogia scombinante

di Claudia Zaggia

Penso a una frase di Nabokov: “La realtà non è né il soggetto né l’oggetto della vera arte, la quale si crea una realtà sua propria”.

Quasi tutto ciò che si trova in libreria oggi viene definito “romanzo”, sarà anche per questo che i più intendono solo un certo tipo di cosa, ci si aspetta una trama, un inizio e una fine e dei personaggi ai quali poter comodamente girare intorno. E una storia ben comprensibile che non lasci molte incertezze soprattutto quando si arriva alla parola fine.

Capita di incontrare opere di un altro tipo e la parola “romanzo” sembra non andar più bene, altri nomi o etichette non ne abbiamo, diciamo questo è un libro e fa parte di quel gran mondo della narrativa, vario e non sempre così rotondo.

Capita che i romanzi uno dopo l’altro si assomiglino tutti, qualcuno è un poco meglio ma dopo un certo tempo tutti si dimenticano. Scritti anche bene, insomma corretti, non molto di più. A volte scritti e basta ed è veramente troppo poco.

L’ottimismo che si trova poi in tanta letteratura, messo in bella mostra, è un prodotto commerciale. Dopo lo scaffale dei cibi in scatola per umani e animali, c’è quello dei libri, ma mi raccomando che non sia triste, che altrimenti non lo digerisco.

Roberta Salardi ha osato molto, fiduciosa di trovare dopo lettori adatti, non so se li ha trovati, non so se io qui sono un lettore adatto, so che mi piace incontrare l’inconsueto, l’azzardo, l’opera che osa senza mai tralasciare quella che si chiama qualità, quella della scrittura prima di tutto, altrimenti potremmo decidere di lasciare, di non continuare a leggere e invece si arriva inquieti e soddisfatti a pag. 352, l’ultima.

Credo che più di tanto non si debba spiegare o cercare di chiarire. In un libro come questo, in questa intrigante Trilogia della scomparsa (che bel titolo, e anche quelli che troviamo dopo promettono bene), sarebbe cosa ben superficiale credere di poter comprendere tutto o addirittura di aver compreso tutto.

C’è molta destrezza intellettuale in quest’opera e incontrarla così spesso fa parte del piacere di leggerla, un piacere pieno di sfumature.

Era da parecchio tempo che non leggevo un libro di narrativa così complesso, ricco, intenso e problematico. Con gli aggettivi potrei continuare ma mi fermo qui. L’abitudine a tanti romanzetti anche di buona qualità ma infine sempre quelli, ci impigrisce, come se la narrativa fosse questo e non altro. Poi un bel giorno l’assolutamente altro arriva e restiamo stregati ma anche un poco travolti. E adesso di quest’opera cosa diciamo? L’opera peraltro è di felicissima lettura, la scrittura è molto bella, non affatica il lettore che procede e procede ma vive anche continui stati di smarrimento.

Di cosa parla questa trilogia, cosa racconta? E chi sono i personaggi? Perché qualcosa racconterà e ci saranno dei personaggi di un qualche tipo. Certamente, anche.

Se si racconta si presuppone un certo ordine e anche un certo realismo. Questo sarebbe fuorviante per un’opera che è affascinante perché accidentata, succede e non succede, è e non è. La trilogia non teme di allontanarsi dal realismo, di giocargli brutti scherzi, di far riapparire quello che è imprevedibile, riapre gli orizzonti, non vuole che il lettore stia comodamente seduto in poltrona.

La forma scelta è quella del diario o dei diari, ma nessuno pensi a qualcosa che già è conosciuto e se poi anche qualcuno di voi tiene un diario: ebbene questa è un’altra cosa, anzi parecchie altre cose.

lunedì 5 aprile 2021

Livia e Lalla più interessanti di Elsa

C'era troppa enfasi intorno alla donna del capo. Dovrebbero essere altrettanto valorizzate, se non di più, scrittrici che non siano Elsa Morante, per esempio Livia De Stefani e Lalla Romano, che si sentono poco nominare e hanno scritto almeno due cose davvero interessanti. Mi riferisco al racconto Viaggio di una sconosciuta, del 1963, per fortuna recentemente ristampato da Cliquot, di cui ho parlato (qui http://voltandopagine.blogspot.com/2018/11/una-scrittrice-ingiustamente.html o qui http://voltandopagine.blogspot.com/2019/06/diciottenni-suicide.html), e a Nei mari estremi (Einaudi, Torino 1996). Ma si è parlato anche di loro, soprattutto a suo tempo, direte. Se n'è parlato, ma su di loro è caduto quasi l'oblio, forse perché erano un po' sperimentali, autrici che hanno rischiato qualcosa sulla pagina. Voglio pensare questo piuttosto che sia così perché non hanno sposato Alberto Moravia... Una battuta? Forse. Ma Elsa Morante è una scrittrice decisamente sopravvalutata, vogliamo ammetterlo? Un'autrice che, in un secolo così innovativo come il Novecento, ha riproposto gli schemi tradizionali del romanzo ottocentesco, intrecci melodrammatici e quell'idea, alquanto discutibile, che esistano isole incantate dell'infanzia. Il tema dell'infanzia è molto più convincente in Meneghello, che pubblica Libera nos a Malo negli stessi anni (1963, mentre L'isola di Arturo è del 1957). Se poi vogliamo parlare di dopoguerra e di vittime della Storia, è più profondo La pelle di Malaparte che La Storia di Morante; eppure accanto a Moravia, Pasolini e pochi altri si vede spesso citata Morante, mentre Malaparte, messo ingiustamente all'indice, non viene ricordato. Ma in sostanza Elsa Morante è ancora una scrittrice ottocentesca in pieno Novecento, la quale fa operazioni di retroguardia, mentre per esempio Livia De Stefani e Lalla Romano si portano all'altezza dei tempi.