Roberta Cara Claudia, nel suo romanzo Naufraganti (Italic, Ancona 2015) si può rintracciare uno stile, una sintassi che contraddistingue nettamente il suo modo di scrivere. Una dichiarazione di poetica si trova a pag 165: "La leggerezza, deve essere tutto abbastanza leggero. La scrittura, l'andamento, quello che dicono." Calvino parlava di "planare sulle cose dall'alto" in uno dei punti delle Lezioni americane. A me pare di rinvenire traccia di questo tocco leggero in frasi come queste: "In quelle prime ore del mattino già si dicevano così tante cose che si creavano piccoli vortici e turbamenti vari." (pag 189); "Suo figlio, quei suoi occhi, fingeva di dormire e poi si accorgeva che lui la stava guardando e con uno sguardo così serio, così attento." (pag 214). Parlerei di ventosità della frase, lievemente scombinata al suo interno: "Ma adesso più niente, potersi liberare di tutti i libri, lo farei se solo sapessi come, cerco intanto di perderli, di lasciarli in giro, li abbandono, qualcuno mi insegue, lo ritrovo, me lo riportano indietro." (pag 266). Giri di frase che con poche virgole hanno piccole svolte, tipo questa: "Forse era solo la legge dell'abitudine, l'abitudine lo sorvegliava, lo teneva a bada, fidarsi di lei?" (pag 206) oppure questa: "Poi ad un certo punto ecco che tutto quell'insieme cominciò a diradarsi, ad allontanarsi, più niente, solo un cielo vuoto." (pag 210). I discorsi dei passeggeri sulla nave sono spesso interrotti, stralciati dalla brezza marina. Ed è delicato anche il modo di tratteggiare i personaggi, per esempio l'assassina che se ne sta appartata: ha già scontato la pena, coinvolta in un delitto dalle motivazioni poco chiare, donna non più giovane, molto educata e gentile, ora pare serena nonostante i tanti anni di prigione; riservata, è fra quei passeggeri che escono di notte. Come le persone che hanno molto sofferto, appare particolarmente sensibile anche la madre che scrive lettere alla figlia morta; mentre la pazza della nave, la donna che parla quotidianamente coi suoi morti come se fossero presenti, coltiva a sua volta una follia discreta, protettiva...
Claudia Sto cercando di
ricordare quel mondo, quei personaggi che stanno sulla nave, ricordo quando ho
iniziato a scrivere quest’opera, era un lontanissimo 1995, ci furono dopo molte
interruzioni, arrivò come niente il 2000 e l’opera non era ancora finita:
c’erano sempre alcune revisioni da fare. Passarono altri anni e infine tutto
sembrava pronto: si poteva cercare di farla pubblicare. Qui inizia tutta
un’altra storia che un poco ho anche raccontato. Tra un rifiuto e l’altro
arriva abbastanza rapidamente il 2015, Naufraganti viene pubblicato,
adesso dovrebbe iniziare il bello: far conoscere, far leggere l’opera, vedere
cosa ne dicono gli altri, gli altri non dicono molto, qualcuno non dice niente.
Pazienza, me lo aspettavo, saluto un poco tutti e mi metto a scrivere
altro. Sullo stile e la scrittura potrei riportare quello che altri hanno
detto, tutti comunque abbastanza d’accordo, evito l’elenco, non credo sia
importante. Sicuramente rileggo molto, ascolto la frase, tolgo anche molto e
butto via.
Roberta Sulla nave "non
dialogano tra di loro, questo no. Che brutta parola, non usarla mai." (pag
132). Non ci si confronta, si allacciano invece pacate conversazioni, spesso
interrotte, parole lasciate scivolare. E anche nella vita del
personaggio-narratrice i dialoghi che lei ha avuto con altri si trasformano
subito in pensieri, discorso indiretto libero oppure riflessioni tout court che
seguono i dialoghi, per esempio a pag 13: "La vita sociale, disse. Quale
vita sociale? Da tempo non ne ho nessuna, non ne ho mai veramente avuta una.
Frequento poche persone, esco poco e per incontrare sempre meno gente, cammino
soprattutto da sola, lontana da tutto". Questo discorrere con se stessi di
alcuni personaggi, e soprattutto della narratrice, accentua il senso di
solitudine. Sensazioni dominanti sono la solitudine e il senso di fallimento.
Sono diffusi nella società o appartengono soprattutto a scrittori e artisti?
Claudia Scrittori e artisti dovrebbero essere più
consapevoli, più attenti a certe cose, di fatto lo sono, se non vengono troppo
distratti dall’attualità e dalla chiacchiera. Sulla nave c’è gente che scrive,
alcuni sono anche scrittori famosi, forse. Poi ci sono scrittori evocati,
presenze che portano ad altre storie, uno soprattutto: Marcel Proust, ma quasi
altrettanto importante è Henry James, questo americano che come pochi altri
capì e amò un certo modo di essere dell’Europa e che a Venezia era di
casa. Poi come fantasmi si aggirano appartenenti a quel mondo
mitteleuropeo che tanti scrittori ha dato e soprattutto personalità
affascinanti.
Roberta Un altro aspetto
molto interessante di questo romanzo è l'accostamento alla narrazione di note
di scrittura, di modo che seguiamo la stesura nel suo farsi e cogliamo aspetti
biografici e storicosociali che, se pure appartengono alla
narratrice-personaggio, ci danno un'idea del contesto in cui il libro fu scritto,
a fine millennio (nel 1999, a quel che si dice). La vita della narratrice
intradiegetica del romanzo è afflitta da disagio psichico e fisico. Morirà
prima della fine del libro (credo a pag 269) e forse si ripresenterà in fondo
al mare a salutare i suoi personaggi nell'ultimo paragrafo, con un tocco
surreale, quando sono tutti morti. L'ultimo capitolo, che aveva già scritto,
viene collocato dopo la sua morte (se non erro). Non ha avuto una vita
piacevole, tutt'altro, per motivi familiari, affettivi, psicologici e sociali.
Sempre asimmetrica rispetto agli altri, a come essi l'avrebbero voluta. Si può
vedere in lei il destino che tocca agli artisti: in questo nostro tempo per
nulla capiti? L'arte e le città d'arte qui parrebbero in via di estinzione. Si
registra la messinscena delle mostre ma con scarsa sensibilità nella ricezione
da parte del pubblico, che si muove in folti gruppi indifferenti e
sostanzialmente ostili all'arte e all'anticonformismo…
Claudia Sono nata a Venezia,
vivo a Venezia anche se non sempre, so dunque bene cosa sono, che uso si fa
oggi delle città d’arte. Potrei qui parlare a lungo, mostrarmi indignata e
offesa, di fatto lo sono. In questa città più che altrove domina la monocultura
turistica, una gran brutta cosa, ma su questo sono state fatte molte analisi,
sono stati scritti ottimi libri, non che siano serviti a molto, solo un poco di
consapevolezza in più. La
narratrice è sicuramente una persona infelice, una che non si trova bene da
nessuna parte ed è però in buona compagnia, ho in mente Thomas Bernhard. L’arte
e l’artista oggi? Non saprei, dipende, non è facile, sicuramente della parola
arte si abusa e noi, come la narratrice, viviamo stati di smarrimento e di
malessere. D’altra parte mi sembra vengano scritti molti romanzetti con i quali
non c’è mai il rischio di farsi male e ci sono troppi scrittori con il
salvagente.
Roberta Può spiegare meglio
queste frasi, se vuole: "… siamo ai tempi supplementari di questa civiltà
occidentale, è mediocre oggi, è fondata sul mito della mediocrità." (pag
243); "La modernità aveva un progetto ma è stato liquidato; felicemente o
infelicemente liquidato." (pag 43)?
Claudia Quelli che stanno sulla nave sono persone di
un altro mondo, siamo nel 1914, allora si pensava che la guerra sarebbe durata
pochi mesi e dopo tutto come prima o quasi. Sappiamo che così non è stato e
adesso tutto cambia così in fretta che fatichiamo a capire, abbiamo molti
brutti presentimenti. Le tecnologie, l’intelligenza artificiale che potrebbe
anche dotarsi di coscienza e mandare noi umani in pensione. Peggio ci sembra
quello che sta succedendo al pianeta, quello che noi stiamo combinando e siamo
sicuramente in troppi e tutti gli altri animali dove andranno? Qualcuno dice
che il tempo a nostra disposizione è finito, non vogliamo crederci
naturalmente, cerchiamo di fare gli ecologisti, ci prenderemo l’automobilina
elettrica, ma cosa potremmo raccontare a quelle persone che nel 1914 stavano su
quella nave? E a noi cosa raccontiamo? Mi piace leggere di Storia e le storie
di fine Ottocento, inizio Novecento m’interessano, poi c’è quella prima guerra
mondiale iniziata perché qualcuno decide di ammazzare un arciduca. Sappiamo
cosa succede dopo: rivoluzione russa, comunismo, fascismo, nazismo, massacri
vari, ideologie di ogni tipo e per ogni più macabro gusto. Ho anche cercato di
scrivere su tutto questo in un’opera che probabilmente non avrò mai voglia di
far pubblicare Corpo Novecenti.
Roberta In diversi momenti del romanzo il
personaggio-narratrice si sente isolata e incompresa. Non riceve risposte da
critici ed editori, si sente in imbarazzo con i pochi scrittori che ha
occasione d'incontrare, peraltro sempre meno. Scrive diverse lettere che a
volte si perdono nel computer e in ogni caso generalmente non spedisce: "La
mia buca delle lettere contiene sempre e solo pubblicità, e inviti a prendere
questo o quello, e certi servizi bancari, nient'altro. Qualche volta raramente
anche gli editori scrivono, di solito rifiutano cortesi, dispiaciuti,
ringraziano anche.". Sembrerebbe una donna che scrive delle "lettere a nessuno" in un
ambiente culturale che la esclude. Cosa pensa di questo accostamento al libro
di Antonio Moresco? Spostando un poco il discorso dalla finzione alla sua vita
personale, ha incontrato difficoltà a pubblicare e a ottenere dei
riconoscimenti?
Claudia Ho letto il libro di
Moresco, ho condiviso alcuni suoi punti di vista, ho un poco seguito la sua
carriera letteraria. Vero che è sempre piuttosto tragicomico il tentativo del
povero scrittore di farsi pubblicare, e se ne possono ricavare gustose
storielline. A un certo punto uno può anche convincersi di essere meritatamente
ignoto. Vero che anche nel mio caso non c’è una gran voglia di
pubblicarmi, ricevo bei complimenti ma pochi contratti; so bene che Naufraganti
non è un’opera amabile, da leggere piacevolmente. Credo sia un’opera che
dispiace e anche disturba.
Roberta Ritorno a Calvino e al tema della leggerezza
nelle Lezioni americane: lo sguardo della letteratura è indiretto. E in Naufraganti
per parlare del nostro (europeo) attuale declino lo si sposta indietro nel
tempo, alle soglie del primo conflitto mondiale, simboleggiato da un naufragio
nel Mediterraneo nel 1914, prima che si arrivi a Venezia. Due naufragi talvolta
a confronto, questo del 1914 e quello del Titanic del 1912. Qui però i
personaggi sono più consapevoli di quelli che affondarono mentre la musica
suonava: "E con quel naufragio finiva un'epoca hanno detto, era un
anticipo del dopo, e ancora non lo sapevano, ma i miei personaggi possono avere
qualche consapevolezza in più, il Titanic era affondato, la guerra era iniziata
e loro non fingono di non sapere." (pag 164). I personaggi sono appena
distinguibili l'uno dall'altro, raffinati ma non sereni, ognuno minato da un
suo cruccio, da un senso d'incompletezza. Logorati, alcuni, da amarezze e
delusioni; altri, più giovani, minacciati da un senso d'insicurezza, acuita dai
venti di guerra, e dall'incapacità di vivere. (Mi permetto di annotare qui
ancora una bella frase sulle delusioni: "E le delusioni invece eccole,
l'agguato, la bestia che attraversa il parco di notte, e ci prende alle spalle,
naturalmente non l'avevano sentita arrivare." pag 215). Dicevamo, lo
sguardo indiretto della letteratura…
Claudia Che gente è quella che
sta in quella nave? Direi piuttosto varia ma senz’altro prevalgono gli
scrittori e alcuni tipi di intellettuali, forse anche per questo si riflette,
si ragiona molto su quello che sta succedendo. Sono tutti abbastanza lucidi
così come lo erano molti di quelli che vissero un poco prima e un poco dopo la
prima guerra mondiale e buon per loro se non arrivarono all’altra seconda
guerra. Ricordo che il Titanic, nave dichiarata inaffondabile, venne aperta
come una scatoletta da un iceberg durante il suo viaggio inaugurale. La molto
più modesta nave di Naufraganti finisce invece contro delle mine
segnalate, ma forse per distrazione, forse perché quell’ufficiale aveva di
nuovo bevuto troppo, non si cambiò rotta. Anche in questo caso sono partita da
una vicenda realmente accaduta e la foto sulla copertina è quella della nave
finita giù nei tranquilli e poco profondi fondali del mar Adriatico.
Roberta Il tema
della malinconia (preferisco chiamare così il male di vivere, in una forma,
letteraria, che mi pare più bella del molto usato "depressione")
appartiene sia a diversi personaggi della nave sia alla narratrice che
accompagna il suo racconto con note autobiografiche. Lei, Claudia, si era già
occupata di questa malattia, che può essere mortale, in Racconto d'inverno,
il quale narra proprio di un suicidio in giovane età, una storia vera. Mettendo
a tema due malattie oggi molto comuni, la sindrome depressiva e il tumore, che
mina la salute della narratrice, forse ha voluto indicare il profondo legame
che esse hanno con il nostro attuale modo di vivere. Cito solamente due dei
molti riferimenti a questi mali che si trovano nel testo: "Sarà per quel
continuo rancore che provo contro me stessa, da sempre mi sono mal sopportata e
credo sia anche per questo mio vivere continuamente la morte, non bastasse la
mia sono anche occupata da quelle altrui." (pag 175); le cellule tumorali:
"… agiscono in modo assolutamente sregolato, non si pongono limiti,
sognano l'immortalità, la pretendono (...) e quanti possibili paragoni con la
nostra società, con il nostro mondo e le nostre città e tutte le nostre altre
crescite incontrollate." (pag 260)…
Claudia Viaggio d’inverno è un’opera su commissione, era appena stato pubblicato Naufraganti
e su indicazione di Fulvio Ervas, un mio amico scrittore, una signora si
rivolse a me perché sua figlia, una ragazza appena ventenne, si era uccisa e
aveva lasciato parecchie cose scritte, scrivere era la cosa che le piaceva
fare. La madre voleva poter ricordare questa sua figlia. Ho iniziato a leggere
gli scritti di Vittoria Serena e poi ho iniziato a costruire il librino, così a
fine 2015 è nato Viaggio d’inverno, io e la madre siamo dopo andate
molto in giro a presentarlo. Vittoria Serena era una bella ragazza, si era
appena iscritta all’università di Padova, cosa la minacciava, cosa la
preoccupava? Naturalmente subito si è parlato di depressione, come se questa
fosse una spiegazione, qualcosa in più forse ho capito leggendo i suoi scritti. Ha
molta ragione quando dice di voler distinguere depressione e malinconia. La
malinconia o melanconia è cosa soprattutto del passato, il melanconico è spesso
l’artista, la nigredo è il momento
peggiore: quando si cerca di creare ma si resta in realtà bloccati, quasi
pietrificati. Se si supera questo tristo momento ecco l’albedo, ecco l’opera d’arte. Si può però anche non uscire più da
questa nigredo ed ecco che allora
arriva la pazzia. Di questa malinconia molti si sono occupati e molti hanno
scritto. Il malinconico era l’essere saturnino dominato dall’umor nero e
tipico, ripeto, soprattutto di artisti e creativi vari. L’opera d’arte che
meglio ha saputo rappresentare questa situazione è Melencolia I di Albrecht Dürer.
Il malinconico saturnino può anche convivere con questo suo umore, essere un
ironico, malinconico sognatore, una cosa abbastanza lieve. Altra cosa è la
depressione. La depressione è il gran malessere di oggi, afferra e in
alcuni casi sembra non lasciare scampo a meno di non imbottirsi di pillole con
l’aiuto anche di psicologi e psicanalisti, riguarda tanti, a volte sembra
riguardare un poco tutti, una depressione di massa. Spesso si abusa del
termine.
Roberta Purtroppo c'è stato
un naufragio anche ai nostri giorni, quello della Costa Concordia nelle acque
dell'Isola del Giglio nel gennaio 2012. Quando successe, avvertì una
qualche somiglianza fra quel disastro e quello nell'Adriatico del lontano 1914?
Claudia Ricordo le immagini di quella grossa nave da
crociera inclinata, distesa sui fondali davanti all’Isola del Giglio e chissà
come aveva fatto a finire lì. Ricordo soprattutto quel tale Francesco
Schettino, personaggio perfetto di una commedia all’italiana, lui il capitano,
ma per burla s’intende, uno scherzo fantozziano. Lui è il capitano che corre a
salvarsi e sgomita perché vuol essere il primo a lasciare la nave. Dobbiamo
però ben considerare che neppure quelle navi da crociera sono una cosa seria,
enormi scatoloni di metallo che se ne vanno per il mare, molto inquinanti vistosamente
kitsch, le navi-disneyland, luoghi di continuo, coatto divertimento. Molto
triste, anche comico ma non c’è tragedia, c’è la farsa, la vergogna. In nessun
modo potevo paragonare quella parziale sommersione ai grandi naufragi, alle
navi che finirono in fondo al mare, altra epoca, altri mondi, altri capitani e
infine anche altri passeggeri. Quella volta forse mi venne in mente il
comandante della Andrea Doria, si chiamava Pietro Calamai, lui la sua nave non
voleva lasciarla, e quando ormai non c’era più nessuno e l’imbarcazione si
stava inabissando nell’acque dell’oceano Atlantico, voleva restare, morire con
lei probabilmente, furono i suoi ufficiali a costringerlo ad andarsene, era il
1956. La Costa Concordia fu poi raddrizzata, trasportata a Genova dove venne
pezzo dopo pezzo demolita. Neppure la dignità di poter restare come relitto in fondo
al mare e diventare dimora di alghe e pesci.
Roberta Uno dei valori che invece sarebbero da
salvare, mi pare voglia dirci la voce narrante, preziosissimo per ognuno di noi
ma terribilmente trascurato, è il savoir vivre…
Claudia Sicuramente, ma com’è
difficile, certe gran dame di una volta sembravano conoscere questo savoir vivre, Madame de Sévigné
soprattutto. Persone vissute molto tempo fa, forse troppo. Una certa grazia e nonchalance e scampoli, residui di
questo savoir vivre sulla nave ancora
si possono trovare; dopo mi sembra difficile, domina invece quella che Simone Weil
chiamava la pesanteur. Anche questo
però non è vero in assoluto, lei cita molto e giustamente il Calvino delle Lezioni
americane, a me è venuto in mente Raffaele La Capria e le sue mitiche belle
giornate in Ferito a morte.
Roberta Lei ha avuto alcune scrittrici o poete di
riferimento? Forse Antonia Pozzi, che ha citato durante una presentazione?
Claudia Potrei qui fare un
piccolo elenco, subito mi vengono in mente Virginia Woolf, Elizabeth Bishop,
Simone Weil, Emily Dickinson e Colette e poi ancora e ancora. A loro devo
molto, ma devo altrettanto a molti scrittori e pensatori uomini. Sicuramente le
donne artiste hanno un motivo di fascino in più perché erano minoranza, perché
hanno dovuto inventarsi spazi e tempi che non potevano essere quelli degli
uomini.
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