domenica 31 gennaio 2021

Intervista a proposito di Nell'altra stanza, romanzo contenuto in Trilogia della scomparsa

di Lorenzo Galbiati*

Domanda Personalmente non amo i libri “di genere”, per cui sono propenso ad accogliere con interesse le opere narrative che escono dai canoni editoriali  – come la tua. Devo dire, però, che Nell’altra stanza mi ha messo in difficoltà perché a un certo punto mi è sembrato di leggere un’opera estrema, che di fatto non appartiene alla narrativa – per quanto vi si colleghi con un’esile trama. Come definiresti la tua opera? Appartiene alla narrativa o alla saggistica? Oppure alla diaristica?

Risposta Grazie per la definizione di “opera estrema”, ma forse opera “al limite” della narrativa è più appropriato. Di romanzi non prettamente narrativi (che ruotano intorno a una situazione più che snodarsi lungo un succedersi di fatti) ve ne sono diversi. Al momento mi vengono in mente Dissipatio HG di Morselli o La nausea di Sartre, ma non ne mancano. In ogni caso sappiamo che il romanzo, nel corso della sua lunga storia, si è prestato a molte trasformazioni e ibridazioni, si è dimostrato un contenitore molto elastico. Nell’altra stanza non è, a mio parere, un ibrido fra romanzo e saggio, che implicherebbe uno spazio maggiore dedicato all’informazione o alla divulgazione (un romanzo-saggio uscito proprio recentemente è per esempio Finitudine di Telmo Pievani, che si autodefinisce “romanzo filosofico” in copertina ma, data la mole nozionistica relativa alle teorie cosmologiche, genetiche, evoluzionistiche e altro, è a mio parere un romanzo-saggio a sfondo filosofico, peraltro molto interessante). Forse il mio Nell’altra stanza, senza alcun giudizio di merito, si avvicina di più al "“romanzo filosofico”", con molte virgolette però, poiché qui non si porta avanti alcuna nuova teoria e ci si rifà semmai a quelle già note (con brevi riferimenti, senza lunghe pagine saggistiche), di cui può essere impregnato un neolaureato in filosofia: esistenzialismo, marxismo, scuola di Francoforte. La definizione, ripeto, è un po’ forzata, poiché appunto non si elaborano teorie, si cerca solo di trovare nella filosofia un orientamento per vivere: la dicitura romanzo, a mio avviso, potrebbe bastare. Il punto di partenza è un personaggio, quindi siamo decisamente in ambito romanzesco. Con la precisazione che nel Novecento il genere romanzo viene molto problematizzato, si riconsidera e ci si interroga su personaggio, trama e punto di vista del Narratore (ma non è nemmeno la prima volta che ciò accade, se ricordiamo Tristram Shandy). La trama è stata proprio l’aspetto più contestato del romanzo tradizionale. Qui comunque non è forte ma c’è: il personaggio passa da uno stato A a uno stato B. La presenza di un personaggio maschile di circa trent’anni allontana questo scritto anche da alcunché di autobiografico. La forma è quella del diario (un tipo di diario molto articolato, con innesti dialogici, tranches epistolari, trascrizione di sogni, appunti di studio, messaggi fra amici). La prima parte è quella più inerte, forma dell’immobilismo iniziale di Andrea, della stasi da cui fatica ad uscire: egli si trova immobilizzato per un brutto incidente ma anche per un grande dolore che lo ha colpito, la notizia che la madre, nella stanza accanto alla sua, sia in fase terminale per un tumore non scoperto in tempo. La stallo in cui si trova è ulteriormente amplificato per il problema sociale che lo lambisce in quanto ex studente di una facoltà umanistica che ovviamente non trova subito la sua strada, anzi non ha molte strade aperte e finirà con l’andare all’estero. I suoi tentativi falliti di piccoli lavori non risolvono la situazione e soltanto la morte della madre creerà quello shock che lo metterà in movimento. Che cosa l’ha fatto resistere nella dolorosa vicinanza con la madre malata? Gli amati libri di filosofia e letteratura con i quali costruisce come delle “barricate” contro l’angoscia. I pensatori del passato sono amici che egli chiama per nome. Le frasi d’autore citate aprono a sue riflessioni personali, sono come motorini d’avviamento del pensiero. Stagnazione quindi fino a un certo punto…

Domanda Come vedi il tuo lettore ideale? Voglio dire, quali sono le qualità che ritieni debba avere il lettore per apprezzare al meglio Nell’altra stanza?

Risposta Per la lettura di qualsiasi romanzo, a mio parere, l’ideale è una persona al corrente della discussione sul romanzo avvenuta soprattutto nel Novecento. Il lettore ideale di romanzi, non solo mio, il lettore ideale è un amante della letteratura. (E, se mi parli di lettori ideali, apro una breve parentesi sul capitolo “La città ctonia”, in cui il protagonista immagina un’utopia: un luogo dove lo studio viene incoraggiato e sostenuto durante l’intera esistenza dei fortunati cittadini di quella società senza più diseguaglianza e sfruttamento, che possono coltivare i loro talenti nel campo loro più congeniale. I libri d’evasione possono esistere, naturalmente, ma non debbono ridurre ai margini o costringere in spazi sempre più angusti le opere di pensiero). Tornando a noi, il pane quotidiano di Andrea e dei suoi amici è la filosofia ma i loro riferimenti non sono particolarmente oscuri o complessi, da veri filosofi. Essi sono solamente studenti o post-studenti di filosofia amanti della materia.

Domanda Nel testo abbondano le citazioni di filosofi, scrittori e psicanalisti. Come epigrafe c’è la frase: Si vis vitam, para mortem di Sigmund Freud. È una chiave di lettura?

Risposta Il tema di fondo dell’intera trilogia è thanatos. Nei due romanzi precedenti (Il corpo della casa e Doppio diario) si tenta di farvi fronte soprattutto attraverso gli affetti e la creatività. In questo terzo romanzo della trilogia, di cui stiamo discorrendo, alle zampate di thanatos si tenta di rispondere puntando molto su filosofia e politica. Anche nell’antichità si riteneva che la filosofia fosse un “imparare a morire”. Para mortem, riprende Freud: preparati alla morte (sii pronto a difenderti dai colpi che ti arriveranno così come dalla pulsione mortifera che può albergare dentro di te), e affronterai meglio la vita. Nella frase di Platone si sfiora anche il tema dell’iniziazione, si allude a una discesa dell’eroe agli inferi e a un ritorno dopo aver acquisito un proprio tesoro di conoscenza. Ci si sposta dal discorso logico al mito, perché allora l’accostamento ai miti e ai misteri era costante. Per tornare a noi, credo che sapere sia meglio che non sapere, anche se costa sofferenza. I due amici protagonisti affrontano ciascuno una sua forma d’iniziazione.

Domanda Nella prima pagina c’è scritto: “mia madre, che è di là, nell’altra stanza in fase terminale”. Il titolo del libro, quindi, mette il focus sulla stanza della madre, dove Andrea – il protagonista – non va mai. Qual è il motivo di questa scelta?

Risposta L’altra stanza, la stanza dove si muore, dove per il momento non ci troviamo ma dove, per esempio, muore un nostro caro, è la stanza altra, che per il momento non conosciamo, ma è qui vicina a noi. Non si può che convivere col pensiero che la morte esiste. Perché? Perché ci circonda, tocca i nostri cari, ci precede e ci segue. La consapevolezza che la morte ci sia compagna può essere preziosa, per esempio può servire da stimolo a non sprecare il tempo che abbiamo. La convivenza con questo pensiero diventa un problema se giganteggia e si fa dominante, paralizzante. Nella prima parte del romanzo il protagonista è quasi paralizzato dall’angoscia. Deve riuscire a trasformare il suo rapporto con la morte, che l’ha sfiorato, in una convivenza pacifica.

Domanda L’unico avvenimento eclatante che contraddistingue la narrazione è la morte della madre di Andrea, preannunciata fin dall’inizio – come abbiamo già visto. Il protagonista reagisce in un modo che sconfina nei comportamenti psichiatrici. Il lettore, a quel punto – io, quanto meno! – si chiede se tutto quello che scrive non sia una sua invenzione. Come mai hai voluto alimentare il sospetto che il narratore sia inaffidabile?

Risposta Tutti i personaggi principali di questa trilogia hanno almeno un momento in cui sconfinano in una forma di “follia”, intendendo per follia la perdita di senso della realtà. Più in generale, nelle loro scelte prevale l’emotività: questo accade a tutti noi. L’essere umano, a mio parere, è un animale irrazionale capace di ragionamento: è capace di molti tipi di pensiero, dal calcolo all’astrazione, ma resta nella sostanza irrazionale, un animale mosso principalmente dalle pulsioni.** Il protagonista di Nell’altra stanza non trova adeguati per sua madre gli attuali riti funebri possibili: o cremazione o sepoltura. Non accetta sostanzialmente che la madre sia morta e porta via il cadavere per dargli una sepoltura più degna nella nuda terra, fra erbe e fiori, restituito al ciclo della creazione e distruzione naturale. S’inventa un proprio rito funebre che la società attuale non gli offre, permettendo soltanto a noi tutti di essere messi in loculi nel cemento così come nel cemento, in piccoli appartamenti, abbiamo vissuto. Ritorna quasi uomo primitivo. Tuttavia il suo rito non gli riesce perfettamente, resta attaccato a una reliquia, soffre di incubi… Ci vorrà tempo perché elabori il lutto e lo aiuteranno amici immaginari ma anche reali, come Virginia, un’amica virtuale di internet che s’innamora di lui.

Domanda Il principale amico di Andrea si chiama… Andrea. E quando il protagonista si trasferisce in Germania, l’amico continua ad andare a casa sua a trovarlo: ci si chiede come possa farlo. Considerando che i personaggi si contano sulle dita di una mano, a cosa sono dovute queste due circostanze? Volontà di rafforzare il sospetto che tutto avvenga nella mente del protagonista-narratore?

Risposta Mi piace lasciare al lettore la possibilità di partecipare con la sua propria immaginazione all’invenzione romanzesca. Il miglior amico di Andrea si chiama Andrea: è un fatto che nella realtà capita facilmente. Anche una mia compagnetta di classe delle elementari, nonché vicina di casa, si chiamava come me; fatti che si ripetono perché spesso i nomi corrispondono a mode dell’epoca. Il nome Andrea è oggi molto diffuso, forse il più diffuso a livello mondiale, e dal significato esemplare: dal greco anér, andròs=uomo. I due Andrea hanno una formazione simile alle spalle, ma un’estrazione sociale un po’ diversa e una visione del mondo opposta, salvo alcuni punti di contatto. Sono l’uno l’alter ego dell’altro. Si gioca qui sull’ambiguità simile/dissimile, amico/nemico, e sulla sfida, intrinseca alla filosofia, a conoscere se stessi. Possiamo anche immaginare che le persone di cui parla il protagonista nel proprio diario siano quasi tutte inventate (non Virginia, con molta probabilità, poiché è già un personaggio della narrazione precedente, Doppio diario); il suo quaderno sarebbe allora un libro in nuce. In effetti il tema della nascita della scrittura d’invenzione attraversa l’intero volume e rientra nelle possibili risposte umane a thanatos. I due amici si scambieranno persino due embrionali racconti  per commentarli insieme.

Domanda I personaggi femminili sono virtuali – se non immaginati. Mi riferisco a Virginia, la corrispondente di Andrea, e a Dutfan (la sposa thailandese dell’altro Andrea). Qual è la loro funzione narrativa?

Risposta Per fortuna Andrea e Virginia verso la fine del romanzo s’incontreranno. Anzi, lei conoscerà entrambi gli amici e con entrambi scambierà e-mail. Dutfan è la giovanissima moglie dell’altro Andrea, di cui peraltro si sa molto poco. Del tutto immaginaria invece è Duda, chiamata con molti nomi (ET, Dulcinea…), una ragazza che appare ad Andrea quando più si sente solo nel suo angusto monolocale di Francoforte. Sembrerebbe che queste donne lo aiutino a liberarsi dal pensiero fisso su sua madre.

Domanda Questo libro tratta molti argomenti filosofici, di fatto si arrovella sul significato dell’esistenza – il protagonista si definisce un esistenzialista. Gran parte del testo consiste di speculazioni filosofiche e letterarie. C’è un messaggio forte che vuoi veicolare con questo libro? Se sì, cosa ci puoi dire in proposito che non sia già espresso nel testo?

Risposta Lascio volentieri la parola al testo.


* Lorenzo Galbiati è redattore di Carteggi letterari e commentatore di Nazione Indiana.

** La condizione umana è mortale ma poiché l'homo sapiens, in quanto animale sociale, aspira alla giustizia, mira a realizzare società più eque rispetto a quelle possibili in mezzo alla savana-giungla in cui ha mosso i primi passi. Questa è secondo me la caratteristica che ci permette di avere ancora fiducia nella nostra specie: la tensione al miglioramento delle condizioni di vita di ampi gruppi, per la componente politica del suo agire. Tale tensione al miglioramento oggi come oggi non può non riguardare anche l'ambiente che lo circonda, non esclusivamente la propria specie. Da qui il desiderio, da parte del protagonista Andrea di delineare, in un suo racconto, i tratti di un'utopia.

Nessun commento: