L'andamento di questa autobiografia (ferma a infanzia e adolescenza) di Michele Mari è giustamente ondivago e zigzagante per le libere associazioni della memoria involontaria, ma soprattutto per l'invenzione dei personaggi demoniaci che commissionano al narratore l'opera, veri e propri datori di lavoro, che lo costringono a trattare di preferenza gli argomenti di cui andare meno orgogliosi, come l'enuresi notturna o i tic ossessivi: lo scrivente scrive (confessa) perché obbligato dai demoni persecutori che abitano l'avita dimora degli avi. L'idea che siano i nostri fantasmi a muoverci alla scrittura o, più generalmente, all'azione è altamente condivisibile e pone il romanzo in diretta discendenza dal perturbato dominio della psiche.
Il campo visivo della pagina risulta costantemente disturbato, attraversato come da incursioni, dalle numerose parentesi, tonde e quadre, che racchiudono pensieri laterali o semplici puntini di sospensione. I singoli brani ed episodi sono infatti conclusi con puntini posti in parentesi quadra (più marcata di quella tonda, segno più forte): sostanzialmente interrotti. Alla fine di ogni capitoletto, e talvolta anche all'inizio, è espressa così una reticenza di fondo, una volontà di non dire tutto. Lo scrittore è forzato a parlare, a rivelare i molti aspetti dolorosi della sua età formativa da mostri disgustosi e tormentosi che si nascondono dietro ogni angolo, terrorizzavano il bambino e ancora ansieggiano l'adulto. Sul percorso della lettura si ergono come ostacoli continue deviazioni (talvolta anche consecutive, come tra le pagine 58-59 e tra le pagine 162-163) o interruzioni, con quelle partentesi quadre così simili a scogli, gli scogli del non detto. Particolarmente significativa questa frase a pag 36: "[…] D'inverno, l'abominevole parto. […]", a sé stante su una riga, dove la propria nascita, è isolata fra due silenzi, quello che allude all'amplesso abominevole (pag 3) del proprio concepimento e quello che allude alle terribili tensioni interne alla famiglia che da quel connubio ebbe origine.
Se si considerano, accanto alle parentesi, anche le fotografie con didascalia, è evidente il gusto per i segni grafici contenuto in questa edizione. Da notare che, a differenza del consueto, i personaggi di queste foto non sorridono; sono anzi perlopiù compresi in una loro serietà o in un loro corruccio.
Il tema della reticenza, dell'isolamento dei personaggi ognuno nel suo mondo, è dominante nell'opera, che sceglie come oggetto un nucleo familiare i cui componenti vivono ciascuno agli occhi degli altri in un mondo chiuso e difficile da comprendere: "Sul piano prossemico-performativo, la reticenza tende all'autismo, sigillando gli individui (che si parleranno in silenzio) in mondi separati, tanto più separati quanto più ravvicinata è la distanza" (pag 138).
Emblematica, anche questa frase: "… i miei (perché «miei»? Piuttosto i «loro»)" (pag 121), in cui viene fortemente rimarcata la propria distanza da genitori e consanguinei, "miei" divenendo "loro".
Va detto che la reticenza è normale in uno scrittore che sta maneggiando il materiale incandescente delle proprie nevrosi e dei propri complessi, che addirittura si appresta a fare i conti con la figura di un padre dominante, designer di spicco e di fama internazionale; per la famiglia, un tiranno. Nonostante il parricidio simbolico, che inevitabilmente viene perpetrato, mi pare che la figura paterna giganteggi nel bene come nell'eccesso di severità, per esempio nelle pagine dedicate alla feroce antipatia nei confronti di automobile, televisione, Walt Disney e calcio, tradizionali strumenti di addomesticamento per gli italiani: "I miei genitori, per motivi ideologici, non hanno mai avuto né automobile né televisione: come degli Amish. Per mio padre in particolare la televisione era come la Chiesa: un ente di molto malvagio, nemico dell'intelligenza. Con questo distinguo: che se l'opposizione alla Chiesa era di natura filosofica, quella alla televisione era politica, essendo la televisione, per lui, sinonimo di America. Di quanto arrivava dall'America aborriva sopra ogni cosa Walt Disney, a partire dallo stile…" (pag 160).
Nel complesso entrambi i genitori emergono da un passato pur doloroso e conflittuale quali persone di grande fascino: brillanti e anticonformisti in un'epoca in cui non era affatto scontato esserlo.
Contiguo al tema della reticenza e, se possibile, più marcato è il tema della scissione, anch'esso esplicitato più volte: "Nascituro, ero già oggetto di contesa, pronto ad essere squartato da chi tira a sinistra e chi tira a destra" (pag 82); "Incline a concepire la famiglia paterna e quella materna in termini di assoluta antitesi" (pag 121); "I miei quattro nonni, per fortuna, non si sono incontrati mai: così posso ben dire di derivare da due ceppi irrelati, come un Centauro (pag 146); "Così, dopo la separazione dei miei genitori, anche la mia vicenda di lettore di fumetti fu scissa" (pag 160).
Struggente, questa rievocazione di un sonetto di Foscolo scaturita in relazione ad alcune parole della madre: "«Non son chi fui, perì di me gran parte»" (pag 130), dove la scissione è dolorosamente percepita fra le diverse età della vita (la madre da ragazza, la madre da adulta) e fra i diversi io che siamo stati. Come Proust, l'autore è consapevole che il passare del tempo è una forma della nostra mortalità e non si rassegna al suo sfuggire, rievocandolo costantemente nei romanzi (che orbitano esclusivamente, quando autobiografici, intorno all'infanzia o alla giovinezza), a costo di tenersi tutto di allora, angosce comprese. Una pagina intera, la 109, è dedicata all'enumerazione dei vari tic e manie di Michele Mari ragazzo.
Abbondano gli anacoluti, che offrono la possibilità di rendere la frase il più possibile snodata, slogata. Questa scelta sintattica è addirittura dichiarata, messa in risalto a pagina 84: "Un altro anacoluto: Cenzino, una volta, lo vidi scudisciare suo figlio…". Altri esempi: "Che Guevara gli volevamo bene entrambi no?" (pag 122); "Dunque ecco mio nonno, la tabe, a un certo punto della sua vita, verso i settant'anni: una micragna galoppante! (pag 143).
Consideriamo com'è disarticolato quest'altro periodo: "Sviluppandomi, tuttavia, il problema si ripresentò: la circoncisione, questa la nuova diagnosi, era stata solo parziale e occorreva dunque «completarla», rimuovendo le aderenze subprepuziali che si erano venute formando alla base del glande: glande da rimodellare a colpi di scalco.” (pag 76). L'inizio sembra ispirato all'ablativo assoluto latino.Troviamo anche righe particolarmente stringate, come questa: "(Divertenci. Intelligenci. Tris'ci. Brigici)" (pag 163): tragica nel suo laconismo, sempre chiuso nel mondo appartato delle parentesi; oppure questa: "(Lungo quel corridoio-Shining: dove una notte, la scarpa)." (pag 136).
L'autore, pur erede di una tradizione barocca che appartiene a diversi scrittori lombardi, incline, come noto, all'amplificazione e alla contaminazione, in questo libro ottiene sintesi efficaci, in linea con la propensione all'asciuttezza e al rigore dei suoi personaggi.
D'altronde "… si cresce soli, si vive soli, si muore soli" aveva scritto in uno splendido racconto di Tu, sanguinosa infanzia (Mondadori, Milano 1997; il racconto è quello intitolato I giornalini) e certe constatazioni, e parole, sono come pietre.
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