Se l'io è una proliferazione immaginaria, come sostiene per
esempio Lacan, non si capisce fino a che punto siano giustificati tutti quei
romanzi così solidamente strutturati, dalle trame così compatte, che si
presentano come granitici monoliti. «Con questo libro,» vorrebbe dire un
editore o un libraio all’acquirente, porgendo il maneggevole blocco di cemento
armato, «puoi star sicuro che ti vendo un buon prodotto, tenuto insieme dal
rigore sintattico e da una logica ferrea. Sei sicuro che non ti si sfascerà fra
le mani privo di senso.» Il modello del cemento armato è probabilmente il
modello con cui sono costruiti questi parallelepipedi romanzeschi che
promettono la tenuta realistica di matrice ottocentesca, senza infiltrazioni o
bolle d'aria, cioè senza nulla che minacci la coesione interna, neanche un
piccolo dubbio. Blocchi pieni di parole tenute insieme con griglie d’acciaio,
forse per far fronte all'elevata competizione: si sa, un vaso di coccio non
viaggia bene in mezzo a vasi di ferro. Ecco, queste narrazioni in cui ogni
personaggio ha un suo carattere definito, un suo destino inscritto nel
carattere, o in cui entrano in relazione soltanto delle maschere sociali più o
meno stereotipate, ci dicono qualcosa di appena un po’ diverso da un saggio
sociologico. Un saggio di sociologia o di economia ha il vantaggio che può
entrare maggiormente nei dettagli, può fornire risposte più precise e
argomentate sul contesto sociale in cui viviamo. Ma perché anche nella prosa
d'immaginazione vengono proposti schemi rigidi, assertivi, convenzionali simili
a fortini inattaccabili? Come a dire: «Non ti vendo un libro, ti vendo un
piccolo fortino in cui trincerarti contro tutte le tue paure».
A parte il discorso meramente commerciale, suppongo che conti
anche il punto di arresto cui erano arrivati gli esperimenti stilistici del
Novecento. Afasia, incomunicabilità, rimozione, inconscio, alienazione,
poliedricità... scogli pressoché insormontabili di fronte a cui si è trovato
colui o colei che volesse diventare narratore o narratrice dalla seconda metà
del secolo scorso in poi. Il nouveau roman o "romanzo
dello sguardo" negli anni cinquanta e sessanta aveva aggirato il problema,
cercando di evitare come la peste l'interiorità e decidendo di osservare tutto
dall'esterno (lasciando al massimo intuire un'interiorità appena accennata, dal
momento che l'oggetto che viene descritto è comunque scelto fra tanti altri e
quella scelta rimanda pur a una volontà, a uno stato d'animo o a un affetto).
Per chi si accontenta...
Un romanzo è costituito sostanzialmente dalle relazioni fra i
personaggi, quindi il personaggio-uomo è in gioco, c'è poco da fare. Difficile
metterlo fuori campo. Ma come rappresentare la sua mente (volubile, mutevole,
addirittura parzialmente inconscia)?
Questa è la sfida letteraria che lo straordinario secolo che abbiamo alle spalle ci ha lasciato.
Questa è la sfida letteraria che lo straordinario secolo che abbiamo alle spalle ci ha lasciato.
«Ma la storia non si fa con i se,» potrebbe rispondere un
ipotetico scrittore marxista che desideri esporre una narrazione del mondo
essenzialmente in chiave di conflitto di classe, mettendo in luce soprattutto i
rapporti di forza in cui sono immersi i gruppi sociali; un marxista scrittore,
che si ostini a mettere in pratica i suoi ideali fabbricando romanzi, ben
conscio tuttavia che la stragrande quantità della popolazione cui intende
rivolgersi non legge o, se legge, preferisce fumetti, gialli, libretti Harmony
o best-seller simili ad Harmony formato gigante, con più pepe, i Big Mac degli
scaffali. Questo scrittore che suppongo marxista potrebbe obiettare: «Lasciamo
perdere mamma e papà, squilibri nevrotici (che riguardano la solita maggioranza
della popolazione su cui è meglio gettare un velo pietoso), deragliamenti
psicotici (in genere confinati nei reparti ospedalieri), roba per medici, roba
per poveretti che non ce l'hanno fatta a diventare combattenti per una società
migliore, che non sono all'altezza delle sfide della storia. Chi ce l'ha fatta
ha il compito d'illuminare la strada. Nella storia che cosa resta delle
molteplici ansie e vicissitudini umane? Una serie di fatti concatenati fra loro
da cause che sono state appurate. Questi fatti vengono esposti dagli storici in
modo che trapeli tutto il lavorio di attività, progetti, aspirazioni dei vari
gruppi sociali. Analogamente, nelle trame romanzesche la cosa più importante è
narrare alcuni fatti e lasciar emergere, dietro a questi, i rapporti che
intercorrono tra figure sociali in equilibrio, competizione o contrasto fra
loro.» Si può rintracciare sicuramente qualche trama in cui questi rapporti
intercorrono per esempio tra un capitalista dal volto umano, coraggioso
proprietario di una piccola azienda, il rampante spregiudicato e fedifrago, e
il precario intelligente ma condannato a non emergere per destino di classe
squattrinata e per mitezza di carattere; le donne, come al solito, in ruoli
ancillari di contorno, deputate esclusivamente alla continuazione biologica
della specie, cioè a fare figli.
L'autore ipotetico marxista può levarsi quindi con agilità e
obiettare al mio attacco polemico (e invidioso) contro molti romanzi odierni,
paragonati a blocchi di cemento armato fitti di parole e personaggi
unidimensionali, che gli stessi romanzi possono essere piuttosto paragonati a
esplosivi al plastico, necessariamente ben congegnati e collaudati per smuovere
le coscienze dei lettori e mandare in mille pezzi i Big Mac dell'editoria!
Di fronte all'obiezione politica non mi resta che concludere: tra
il discorso di Freud e quello di Marx, in Italia ha circolato di più e
abbattuto le convenzioni in special modo quello di Marx...
Pubblicato su Nazione Indiana il 23.5.2020
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