mercoledì 16 gennaio 2013

Gli italiani sono fascisti?


Torna carsicamente una vecchia questione: il popolo italiano è intrinsecamente fascista? Aldo Busi parla di "cattofascismo". Marco Rovelli asserisce su Facebook di aver constatato l'esistenza di un incredibile spirito di sottomissione nei confronti dell'autorità diffuso ovunque fra gli italiani, sia a destra che a sinistra. E' una convinzione, questa, che ho udito affermare con amarezza perfino nelle sedi di Rifondazione comunista. E secondo la mia esperienza c'è del vero. Un fenomeno, che oserei quasi chiamare "culto del capo", l'ho osservato nei luoghi di lavoro. Dev'essere qualcosa che ha a che fare con l'educazione, con l'importanza dell'obbedienza, quindi in ultima istanza con l'amore per i genitori. Quasi che a essere stati figli non si possa diventare niente di diverso, si debba rimanere figli fino alla fine. Un problema diffuso in tutto il mondo, se queste sono le premesse psicologiche. Ritorniamo al discorso più volte citato dell'infantilismo coltivato ad hoc da un potere persistente, quasi inamovibile, di stampo feudale e con maggior forza persuasiva dai più giovani, pimpanti, galvanizzati mass media cantori del capitalismo (rimando ai testi di Jean Baudrillard cui si fa riferimento su questo blog nell'articolo "Re mago re o re maschera?"). In Italia probabilmente è accentuato dall'immobilismo sociale, dal forte divario economico, dal carattere ingessato, patriarcale che conservano certi ambiti (sistema universitario, libere professioni trasmesse di padre in figlio, prassi della raccomandazione ecc.). 

lunedì 14 gennaio 2013

Aristocrazia, oligarchia, democrazia nella Repubblica delle lettere

Che la Repubblica delle lettere sia un'aristocrazia non v'è dubbio; molto difficile metterlo in discussione (una democrazia non può essere perché la società è divisa in classi e non tutti hanno lo stesso accesso alla conoscenza, le medesime possibilità di sviluppare i propri talenti eccetera eccetera). Il governo dei migliori, cioè la loro capacità creativa o critica, è avallato dalla qualità dei testi prodotti e dal solido legame dimostrato col passato. Perché in sostanza la selezione dei migliori dovrebbe avvenire in base al confronto col passato (quale altra pietra di paragone abbiamo se non il passato?): se un autore si dimostra all'altezza di questo confronto, può dialogare coi suoi pari, altrimenti no).
Quando però la selezione avviene in un circolo vizioso anziché virtuoso, cioè non avviene sulla base di criteri qualitativi (seppure rivedibili e discutibili nel tempo) ma su altri criteri più legati alla convenienza, alle alleanze, allo scambio di favori… in questo caso i migliori non saranno i migliori e la Repubblica avrà il carattere odioso dell'oligarchia.
Al giorno d'oggi non so se qualcuno legga ancora libri. Il pubblico sembra più interessato ai personaggi, meglio se televisivi, che al testo prodotto; alle personalità degli autori che agli scritti in sé. Persino dei premi Nobel molte volte si sente più parlare per quello che hanno fatto che per quello che hanno scritto, per la loro encomiabile militanza, per il ruolo simbolico che hanno rivestito, piuttosto che per l'eccezionalità dello stile. Persino quando nascono le grandi querelle letterarie il conflitto sembra innescato più da una questione etica che specificamente relativa all'arte. Come se alla fine fossero i rapporti umani quello che conta più di ogni altra cosa.

venerdì 11 gennaio 2013

Oppure trama come scambio di sguardi...

I romanzi sono costruzioni psicologiche, rapporti fra personaggi o, nei casi limite, dialoghi dell'autore con se stesso. Oggi va molto di moda l'autobiografia o l'autofiction o il romanzo della propria formazione, del proprio (difficile) successo, in una società che ha fatto del singolo individuo e del successo un ottimo cardine intorno a cui ruotare. Io preferisco le trame tramate, anche con buchi o smagliature, anche con perdita di fili nei vari labirinti, ma in cui compaiano gli altri, in cui s'incontrino i vari, i molti, i diversi. Nemmeno nel genere autobiografico manca l'incontro del singolo con gli altri, beninteso, ma uno degli elementi che più mi affascina nella narrativa è proprio la tensione proiettiva o immaginativa, che più si distacca dai meri dati di fatto. Quindi una distanza, quanto maggiore possibile, dal vissuto dell'autore.
Per analogia, non ho voluto che questo sito fosse semplicemente un diario pubblico delle mie personali disavventure, ma una raccolta di voci (anche di esordienti, di emarginati, di esclusi) in materia di rapporto fra letteratura e società.

venerdì 28 dicembre 2012

Ragni e formiche

Si associa spesso la trama alla tela del ragno. Ma
trama è anche il formicaio, raccolta di briciole, spargersi per i sentieri...

lunedì 27 agosto 2012

Un po' foresta un po' giardino incantato


Lo sapevate che Macao City è piena di giardini?

Nuovo centro per l'arte e la cultura a Milano, viale Molise 68

domenica 10 giugno 2012

Arte e società

Brano tratto dall'articolo "Interpretazione come costruzione" di Mario Farina

"In un saggio letterario scritto alla fine degli anni Cinquanta, Adorno dimostra l'importanza di un Discorso su lirica e società. La società, infatti, viene riconosciuta come l'impulso primario dell'arte, come il suo contenuto oggettivo. (...) Ma nella lettura adorniana l'arte non si limita - come voleva Lukàcs - a rispecchiare, a riprodurre in negativo la realtà sociale, bensì in virtù della sua costituzione autonoma enuncia ciò che viene celato dalla configurazione empirica della società: 
' ... l'arte, che come la conoscenza riceve tutto il suo materiale e in definitiva tutte le sue forme dalla realtà, e precisamente dalla realtà sociale, per trasformarle, è irretita dalle sue inconciliabili contraddizioni. La sua profondità si misura dalla sua capacità di sottolineare, attraverso la conciliazione che la sua legge formale fa delle contraddizioni, la loro reale inconciliatezza.' (T.W. Adorno, Note per la letteratura).
Le contraddizioni della società sono, quindi, il vero e proprio impulso dell'arte. Il lavoro dell'arte perciò è quello di rielaborare questa scissione interna al reale e mostrare ciò che non è possibile vedere nella struttura oggettiva della società, ossia il fatto che la sua unità è segnata dalla contraddizione. L'arte pertanto offre all'inconciliabilità sociale una struttura formalmente conciliata e, grazie a questa, indica la possibilità di interpretare ciò che la società nasconde: le sue fratture. In questa dinamica è possibile leggere il rapporto che Adorno stipula tra arte e sogno e che avvicina l'interpretazione adorniana al processo dell'Interpretazione dei sogni elaborato da Freud. (...) In Introduzione alla psicoanalisi - passaggio più volte citato da Adorno - Freud afferma che la materia dell'attività psicoanalitica è spesso costituita da quelli che egli chiama rimasugli del mondo dei fenomeni. I lapsus, gli atti mancati, i sogni: questi scarti, questi residui, formano il materiale dell'interpretazione. Il testo su cui l'interprete deve esercitare il proprio lavoro non è costituito dunque da elementi significativi che ne garantiscono il senso, bensì da frammenti distorti per i quali bisogna costruire una configurazione nuova, senza che il risultato dell'interpretazione vada inteso come il senso dell'enigma."
"L'oggetto freudiano si offre all'interpretazione come un testo inaccessibile da costruire. Testo, perché l'oggetto si dà in un lavoro di interpretazione; inaccessibile, perché è un testo non semplicemente estraneo, o nascosto, ma irriconoscibile nella sua dimensione di senso: ed è quindi da costruire, non da ricostruire," secondo le parole di Silvia Borutti (Teoria e interpretazione. Per un'epistemologia delle scienze umane, Guerini e associati, Milano 1991).
Nell'idea freudiana d'interpretazione Adorno trova dunque una metodologia in grado di evitare l'assunto ontologico dell'ermeneutica, che rimandi a un mondo dotato di senso.

Costruzioni psicoanalitiche, n 23, Milano, maggio 2012

lunedì 21 maggio 2012

Metamorfosi Macao

Macao torre Galfa, piazza Macao, Macao palazzo Citterio, Macao città mobile... Il movimento di occupazioni Macao di Milano è una realtà metamorfica, un virus mutante che si propagherà per la città mettendone in evidenza le contraddizioni.

lunedì 23 aprile 2012

Se chi ci governa non sa immaginare il futuro, proveremo a farlo noi

Siamo lavoratrici e lavoratori della conoscenza, dello spettacolo, della cultura e della comunicazione, della formazione e della ricerca, autonomi e precari del terziario avanzato. Lavoriamo con la partita IVA, i contratti di collaborazione, in regime di diritto d'autore, con le borse di studio, nelle forme della microimpresa e dell'economia collaborativa. Siamo cervelli in lotta, non in fuga, ovunque ci troviamo. Ci occupiamo di cura della persona, della tutela del patrimonio artistico. Ogni giorno produciamo beni comuni intangibili e necessari: intelligenza, relazioni, benessere sociale.

Siamo il grande assente nel dibattito sulla riforma del mercato del lavoro, tutto concentrato sullo strumentale dibattito sull'articolo 18. Questa riforma sta facendo passare, in sordina, la decisione di aumentare l’aliquota previdenziale per le partite IVA di 6 punti, dal 27 al 33%. Una scelta gravissima, che inciderà sulla vita delle lavoratrici e dei lavoratori iscritti alla gestione separata INPS. Già dal prossimo settembre almeno un milione e trecentomila persone vedranno il proprio reddito nuovamente tagliato, senza alcuna speranza di percepire in futuro una pensione dignitosa.

Ecco l’anomalia scandalosa del mondo del lavoro italiano: dove di fatto, a chi non ha un contratto da dipendente a tempo indeterminato, non viene riconosciuta piena cittadinanza costituzionale. In questo stato di discriminazione vivono almeno altri quattro milioni di persone la cui condizione di precarietà, tanto nella pubblica amministrazione quanto nel privato, non viene affrontata dal ddl in discussione in Parlamento se non mediante un contratto di apprendistato valido fino ai 29 anni di età. Ossia con una misura che da una parte complica il panorama delle forme contrattuali atipiche – già oggi 46! - dall’altra tenta di occultare una realtà ineludibile: nei prossimi vent’anni la nostra società sarà sempre più fondata sul lavoro indipendente.

giovedì 19 aprile 2012

Quando arrivarono gli alieni

Frammento tratto da un testo di Gherardo Bortolotti

45. Dai documenti risultava evidente che diversi strati della popolazione erano ossessionati da un costrutto metafisico complesso e implicito, denominato “salario”, la cui estensione concettuale innervava le giornate dei singoli, il loro sovrappensiero, le ore di inazione che precedevano il sonno – dedicate per lo più a fruizioni coatte di eventi semiotici complessi, come notiziari, reality show, programmi di satira politica. Il medesimo costrutto parassitava i processi cognitivi, in modo tale che anche i livelli biologici degli individui venivano corrosi nel corso tempo, logorati dalla continua rielaborazione di un concetto mostruoso, sordido, inesauribile. Il gesto di aprire una porta, quello di accarezzare il figlio, erano segnati, negli immediati paraggi spazio-temporali, da una sbavatura livida, da un sistema di sottili estensioni di senso, simile a una muffa filamentosa che si riannodava, attraverso le pieghe quadridimensionali del mondo, alle mattine in tangenziale, alla cessione della propria forza-lavoro, alle pause sigaretta sul retro di edifici prefabbricati della prima fascia periferica.

19-4-2012, su Nazione Indiana

venerdì 6 aprile 2012

Il corpo di nessuno

Un mio racconto inedito della raccolta Mannequins

Il mio neropensare… me lo trascino dietro come un cane fedele (il mio Smorfia morto due anni fa, caro, caro vecchio Smorfia)… Eccoci finalmente dove volevamo arrivare: qui sul ciglio.
Ce ne stiamo così per ore e ore a guardare giù, eh, vecchio mio… Quel fondo che non è più il fondo di niente tanto è lontano... Un'impressione… laggiù dove non si vede. Proprio vero che non è poi così facile toccarlo… Quando si dice toccare il fondo… Qui va già meglio comunque, vero, caro? Questo è un momento bellissimo in realtà, un attimo di respiro per noi due vecchi stanchi. Mi trovo addirittura sopra il mio ponte preferito, la mia autostrada preferita; qui si sta bene. Potrei quasi campeggiare da queste parti in attesa… La caduta libera in sé e per sé dev'essere strepitosa. Perdere quota rapidamente fino a ridursi a un punto, cosa c'è di più leggiadro, di più magico? Un gesto d'umiltà dopotutto. Meglio sarebbe, certo, venir colpita in volo, trafitta come un uccello da un pallino da caccia, nel becco un insetto, il cibo per… Ma che ne sarà di Susan? Che idea! Se l'è sempre cavata egregiamente senza di me, anzi meglio… Il corpo non lo troveranno neanche. Sì, nei paraggi c'è l'auto, ma chi si calerà fin là sotto, in mezzo a quei rovi, a quelle spine? Magari nel frattempo riuscirà a mangiarselo qualche animale. Preferirei. Meglio di un funerale in piena regola con tutte quelle frasi fatte. Soprattutto quel "sentite condoglianze" mi irrita all'inverosimile... Altroché cordoglio, le mie amiche giurerei che saranno contente. Quel senso di sollievo al pensiero riposto: non è toccato a me. "Eppure era ancora giovane… più giovane di me…" Subito i calcoli sull'età, una rapida associazione all'aspettativa di vita… Vediamo… Cosa posso riuscire ancora a fare? E' fuor di dubbio che non ho combinato gran che… La previsione di mia madre: "Meno male che ho tuo fratello, lui non mi deluderà." Lo sconcerto quand'è nata Susan: "… ti rendi conto che non hai neanche finito il liceo? Non riesco neppure a immaginare che ti è saltato in mente… Possibile che ti abbia fatta senza cervello?" Mio fratello è stato più fortunato, grazie… Lui ha avuto l'intelligenza, troppo facile… Facile per lui dire "sei una stupida"… Se una è stupida, cosa deve fare? Se una è stupida, cosa può…? La cosa mi dà persino allegria, se ci penso. Un po' di euforia ci voleva. Cadere mentre andavo in vacanza, durante quel volo a Rio con Bob, per esempio, non sarebbe stato male… Quello sarebbe stato addirittura il momento perfetto…

mercoledì 4 aprile 2012

Bio in spiccioli: frammento di cruda realtà

E' successa una cosa traumatica che ha interrotto bruscamente le mie scritture e letture: il mio principale (per esattezza, il capufficio, del piccolo impiego che mi garantisce la sussistenza) mi ha dato uno schiaffo e umiliata pubblicamente sul luogo di lavoro in orario d'ufficio. Ho sperimentato come le vittime spesso e volentieri per vari motivi di convenienza vengano lasciate sole. I colleghi non hanno solidarizzato. Ho soltanto una testimone timorosa di eventuali conseguenze.
Dallo schiaffo ricevuto dal padre in punto di morte da Zeno Cosini nel celebre romanzo di Svevo allo schiaffo ricevuto sul luogo di lavoro, quasi che il mondo patriarcale e autoritario si sia spostato e occupi tenacemente ormai il mondo del lavoro come suo spazio centrale.