giovedì 20 maggio 2021

Editor come signori della guerra

Una società letteraria dominata dagli editor, definiti da Giulio Milani in un video degli Imperdonabili (26.2.2021), i signori della guerra del mondo letterario contemporaneo; un mondo molto competitivo in cui s'immaginano alleanze, rivalità, calcoli su come muoversi e come occupare spazi su riviste e nelle giurie dei premi. E dove soprattutto il potere decisionale relativo alle pubblicazioni spetta ai decisori interni alle case editrici, attenti a un tipo di produzione industriale. Signore della guerra, dunque, chi occupa redazioni di riviste e case editrici, giurie di premi e pagine dei giornali*, ma anche semplice impiegato nell'industria dell'editoria, semplice esecutore delle direttive della società dei consumi, come osserva ancora da Giulio Milani nei video su Facebook degli Imperdonabili. Una volta c'era un principe, un signore che poteva essere più o meno illuminato, che s'investiva del ruolo di protettore delle arti e che soprattutto utilizzava gli artisti e i cantori per dare risalto alla propria politica, alla propria dinastia o persona. Adesso a imporre le sue esigenze è un mercato con le sue dure leggi, spesso sorde alla crescita scomposta, ribelle, imprevedibile della creatività. La guerra dunque è al servizio dello status quo, del potere, salvo eccezioni (qualche eccezione c'è sempre, la rondine che non fa primavera). Anche il fenomeno dei cosiddetti "cannibali" degli anni novanta, dall'apparenza così spontaneo, trasgressivo, dirompente, fu un'invenzione di "turbo-marketing" editoriale. La stessa chiave di lettura troviamo nel saggio sulla Letteratura circostante di Gianluigi Simonetti: "E' in uno spazio culturale intermedio tra Einaudi e Mondadori, come lo definiva a Segrate Gian Arturo Ferrari, che si forma l'humus ideale per Gioventù cannibale (1996), e per altri frutti simili". Simonetti così ricostruisce: "A partire dai primi anni Ottanta una buona parte dell'editoria italiana decide di investire in modo sistematico sui giovani narratori, e di programmare sinergie specifiche fra romanzo, esperienze vissute e adolescenza: il processo può dirsi compiuto quando Repetti e Cesari, in uscita da Theoria, varano  Stile libero, immaginando un target giovanile che rinfreschi il marchio Einaudi, ormai nelle mani di Berlusconi" (pag 340).** 

Parentesi storico-sociale. La società letteraria e artistica è sempre stata espressione di una classe privilegiata che poteva permettersi di vivere al di sopra della pura necessità: studiare, coltivare i propri interessi, aggiornarsi, perfezionarsi. Con l'avvento della democrazia e di condizioni migliori di vita nel secondo dopoguerra abbiamo assistito alla scolarizzazione di massa e a un aumento della produzione letteraria non necessariamente di tipo industriale, dal momento che non tutti riescono a venire impiegati nella grande o media industria della carta stampata e non a tutti probabilmente interessa una carriera, poiché non intendono la letteratura un mestiere come un altro. Hanno maturato delle aspirazioni e prodotto dei lavori forse originali, benché il bacino di mercato per la lingua italiana sia alquanto ristretto e benché comunque continui ad avere la sua importanza l'estrazione sociale, sia per la migliore formazione che può offrire fin dalla tenera età una solida origine borghese (o addirittura l'appartenenza a una dinastia di letterati/artisti) sia per gli sbocchi occupazionali e per la rete di relazioni che riserva. Se vi sono stati sommovimenti o nuove teorie o battaglie delle idee che in altre epoche non avrebbero potuto esserci, se sono emerse posizioni antagoniste, probabilmente è a causa della scolarizzazione avvenuta nel corso degli ultimi decenni (scolarizzazione sì, tuttavia ascensore sociale bloccato: pare abbia funzionato solamente nel ventennio compreso fra gli anni Sessanta-Ottanta). 

L'artista romantico già a suo tempo si era sottratto a logiche soffocanti; analogamente l'artista contemporaneo non desidera scendere a patti con chi tende a condizionarlo troppo, a decidere cosa deve scrivere e creare. Continuerà a lavorare qualche scrittore solitario? Suppongo di sì. E allo stile dominante del minimalismo, trovato così conveniente dall'editoria (sempre secondo Giulio Milani, lui stesso consumato editor), opportunamente adattato e riadattato, forse risponderà con un suo massimalismo di cui non conosciamo ancora le espressioni particolari.

La società letteraria, che un tempo ho chiamato "casta" forse impropriamente, è comunque un insieme in cui tutto si tiene, che si autoalimenta e autoconferma, se non intervengono rivolgimenti o scorribande avanguardistiche. In che senso? Gli scrittori hanno bisogno di editori e sono disposti in larga maggioranza a sottostare alle esigenze della vendibilità; gli editori hanno bisogno dei giornalisti e di almeno alcuni critici per il lancio dei libri; i critici e i giornalisti a loro volta hanno bisogno degli editori per le proprie pubblicazioni e degli scrittori per tenere vivo l'interesse delle pagine culturali. Critici e giornalisti infatti hanno bisogno di novità editoriali per aggiornare continuamente lettori e studenti relativamente alle varie discipline, alle nuove idee, alle rivisitazioni e celebrazioni; per alimentare inoltre continuamente il consumo di narrativa e saggistica, per far prosperare l'industria della carta stampata.

Il gruppo degli Imperdonabili avanza però la ragionevole preoccupazione che una produzione industriale troppo omologata e minimalista in poco tempo finisca per stancare un pubblico che in realtà è molto esigente: i lettori (più che altro lettrici) appassionati di letteratura.


* Oltre a editori e editor vediamo anche scrittori e poeti occupare posizioni nelle giurie dei premi e nelle redazioni di riviste, come se avessero barricate ideologiche da difendere, in assenza però di battaglie ideologiche in atto da almeno quarant'anni. Desiderio di far parte di un gruppo, forse, in parte, e necessità di rendersi visibili.

** Già nel 1986 Manganelli in un articolo su "L'Espresso", Scrittori d'Italia: "Oggi, sono gli editori a fare letteratura. In fondo, parliamoci chiaro, la categoria dei 'giovani scrittori' chi l'ha inventata? Loro." (12.01.1986).

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