mercoledì 9 dicembre 2015

Un postinferno e un mondo assorbito nell'increato

Perché ho voluto cimentarmi nella lettura delle oltre mille pagine degli Increati di Moresco (Mondadori, Milano 2015)? M'interessano gli scritti che parlano di altri regni: catabasi nel regno dei morti, utopie, alcuni testi di fantascienza. Come spesso accade per i libri di fantascienza, per le utopie o per le (rare) catabasi, vi si individuano sottotraccia alcuni lineamenti della nostra società, mascherati, da decifrare. Questo è uno dei motivi per cui non mi porrò di fronte all'ultimo libro di Moresco nell'ottica di un inquadramento o di un'opinione estetico-letteraria; m'interessa bensì considerarlo come segno dei tempi (elaborazione simbolica del periodo storico in cui stiamo vivendo).
La realtà infera coglie senza troppi preamboli il narratore protagonista così come il lettore fin dalle prime pagine. Viene chiaramente esplicitato che il protagonista è morto e la coltre caliginosa, nebbiosa, piovosa, nevosa che avvolge tutto si colloca nella tradizione letteraria delle visioni degli inferi.
Qui però la veste cupa è double-face, dal momento che a un certo punto si rivela fatta di sperma centrifugato da forze cosmiche  e, più precisamente, da un coito collettivo ininterrotto e diffuso ovunque fra morti, risorti e immortali. La realtà mortale/mortifera è subito contraddetta da numerosi contrappesi erotici (pioggia e fiume di sperma, neve seminale, amore imperituro fra i due personaggi principali del narratore-protagonista e della Pesca, ripetuti ritorni a scene dell'infanzia e così via) che accompagnano ogni passo della catabasi, quasi per un bisogno molto intenso (emotivo, affettivo, mentale) di negare il brutto di ciò di cui si sta parlando. Scheletro teorico del testo (almeno fino a un certo punto) è l'idea antica, ma tuttora appartenente a diverse religioni orientali, del tempo circolare: l'eterno ritorno, le reincarnazioni, l'inesistenza della morte. Tutte le nostre preoccupazioni in materia sono ridicole (su tutto questo la cosa più normale da farsi è infatti una bella risata: " 'I morti ridono?' 'Sì, ridono. E' così che accolgono i nuovi morti.' 'Ma perché ridono?' 'Ridono perché ormai sanno cosa succede dopo. Perché sanno che la morte non c'è, non c'è mai stata...' " p 17). Nella vita oltre la morte come nella vita di prima, di prima della nascita, come durante la nostra vita vivente di corpi materiali, tutto rimane uguale, pure la presenza dei corpi, la bellezza, la giovinezza, i sentimenti, il sesso.
Lo stesso stile dell'opera ricalca lo stile oracolare, oscuro, ambiguo di molti testi sacri, il quale rimanda ripetutamente al concetto della coincidenza degli opposti ed è qui come là impregnato di ossimori: la vitamorte, il primadopo, luci nere, i morti dentro la vita, i vivi dentro la morte ecc. A mo' d'esempio riporto una dichiarazione dello scrittore Antonio Moresco sulla sua stessa opera, inserita a p 823, nello stile sapienziale di chi sa qualcosa che altri non sanno e nello stesso tempo si esprime in modo oscuro (la lunga citazione è riportata in nota *).

Per rimanere in tema di coincidenza degli opposti, nella prima parte della discesa nelle viscere della terra, dentro le città dei morti sprofondate (p 162 e seguenti), si manifestano delle donne dall'approccio analogo a quello di adescatrici di strada (resurrettrici e incernieratrici che si rivelano poi molto simili a dee della fertilità), appostate nel buio, che abbordano e seducono i nuovi arrivati per resuscitarli o mantenerli nella morte. Una variante moderna delle Sirene o di altri mostri arcaici dalle sembianze femminee e dal doppio potenziale salvifico e distruttivo.
La salvezza erotica e amorosa, promessa e confermata a ogni pie' sospinto dalla donna amata (la Pesca), è in ogni caso l'unica felicità possibile. Sparito completamente dall'orizzonte qualsiasi paradiso celeste o terrestre valido per l'intera collettività. I defunti che s'incontrano sono presi a copulare meccanicamente fra loro oppure a correre a piedi e sui camion per fuggire da un grande terremoto o guerra non del tutto comprensibile. Non s'intravede alcun tipo di felicità, benessere o beatitudine paradisiaca che non sia la gioia puramente soggettiva, singolare dell'Eros (pure la storia di Che Guevara, finita tragicamente sulla terra, è spostata a un livello di felicità amorosa che si perpetua nei tempi con Ilaria del Carretto, nobildonna medievale, reincarnatasi per lui in un'agente dei servizi segreti sovietici o peruviani o boliviani in tempi di guerra fredda e sua compagna dopo la morte. E' vero che pure da morto il Che è animato dalla gioia del combattimento, ma la sua vitalità combattiva pare svuotata di senso nel grande scontro universale dai contorni indefiniti che avvolge e sconvolge l'intera vicenda).
Per il resto, neppure si può parlare di convivenza pacifica o di serenità che coinvolga tutti i defunti. L'intera opera è pervasa da un senso di catastrofe imminente. Sottostante, credo sia il pensiero dell'emergenza di specie, condiviso e sviluppato più volte da Moresco e da altri collaboratori della rivista Il primo amore, oltre che da molti abitanti del pianeta: l'allarme per l'azione sempre più aggressiva e annientatrice dell'uomo nei confronti della natura.
Un immane terremoto continua dall'inizio alla fine: terremoto costituito dai sussulti erotici, ma anche dagli scontri bellici deflagrati tra vivi, morti e immortali. E' un terremoto anch'esso doppio: di Eros e Thanatos. Fin qui niente di nuovo: l'interagire nella vita di forze creative e distruttive. Tuttavia il senso d'inquietudine e di panico merita qualche parola in più. Anche perché, pur se rimescolata e intarsiata di fiabe amorose (Che Guevara e Ilaria del Carretto, Lenin e Anastasia Romanova), la Storia con le sue millenarie guerre di tutti i tipi, riassunte e ricordate in diverse pagine, col suo carico insopportabile di vittime innocenti, è pur lì ad assillare la memoria, a chiedere perché... Azzardo un'ipotesi: l'impressione del conflitto permanente potrebbe derivare, fra le altre cose, dal subliminale incitamento a fronteggiare la concorrenza, una concorrenza generale di tutti contro tutti. Guerra permanente come metafora della competizione mondiale dei mercati ma anche come teatro simbolico di probabili, imminenti conflitti fra enormi potenze capaci di una distruzione totale. Alle pp 772-773, per esempio, l'immagine di Bagdad bombardata nella prima guerra del Golfo, guardata da noi europei per televisione nei lontani anni novanta, si sovrappone a quella della città di Milano. La guerra, in questi ultimi decenni tenuta a distanza dai Paesi occidentali e vista solo nei film o in celebri servizi giornalistici, magari sorseggiando una birra fresca, è qui improvvisamente catapultata su di noi.
Di terrore con la t minuscola si comincia a parlare nella prima parte del libro (il capitolo intitolato "Il terrore" si trova a p 138) in riferimento agli anni di piombo italiani, ma il concetto fin dall'inizio tende a espandersi e a diventare qualcosa d'indefinito, generico e soverchiante. Cito due brani da quel capitolo: " 'Io sono uscito ormai dal terrore breve. Io mi sto muovendo verso un terrore più grande, sono già entrato in un gioco più grande…' " (p 141), dice il Gatto alla Suora Nera, la quale diventerà un capo dei terroristi rapitori di Aldo Moro. Queste sono proprio alcune delle parole scambiate fra la Suora Nera e Aldo Moro prigioniero: " 'Ma allora come si fa a guidare gli uomini verso il bene, se la morte viene prima del bene?' mi ha chiesto ancora. 'Il bene non c'è!' gli ho risposto. 'Allora c'è solo il male?' 'Non c'è neanche il male!' 'Ma allora che cosa c'è?' 'C'è solo il terrore!' gli ho detto…" (p 145).
Il terrore, motivato nelle vicende dell'umanità da questioni politiche e militari (indebolire psicologicamente il nemico, mantenere sottomesse intere masse o categorie di persone, apice di violenza ribelle nelle prime fasi delle rivoluzioni o di violenza oppressiva nelle repressioni), qui è spostato nell'aldilà, luogo fermo per eccellenza in cui tutto dovrebbe ormai esser stato deciso… In questo aldilà, specchio di quello in cui viviamo, perdura uno stato d'allarme, talvolta di panico. Che cosa si può ancora temere da morti e dai morti? Probabilmente questo stato d'ansia permanente è in primo luogo un riflesso dell'allarme ecologico planetario che preme da ogni parte, come ho già osservato. Ma non è di poco conto neppure il timore subconscio che il mondo possa cambiare all'improvviso, che siamo vicini a mutamenti epocali, che la discreta stabilità, le nostre sicurezze economiche e politiche durate per un periodo di tempo abbastanza lungo, stiano per essere definitivamente compromesse, possano incrinarsi e collassare come la terra che trema e che senza motivo, senza alcuna apparente giustificazione, viene a mancare sotto i piedi.
Di questo Terremoto e Terrore fisico e metafisico, così grande da trascendere le capacità di comprensione dei personaggi, è interessante osservare che genera un grande affanno senza reale dinamismo o sviluppo. Che la corsa inarrestabile di tutti i personaggi (una bufera infernale di dantesca memoria qui centuplicata ed estesa alle masse) sia specchio del nostro periodo storico iperattivo e accelerato sia per quanto riguarda le scoperte tecnico-scientifiche, sia per la cosiddetta crescita economica, sia per le prestazioni richieste e per i ritmi di lavoro? Grandi masse di corpi si agitano ma non s'interrogano più di tanto sul proprio agitarsi forsennato; o meglio, se s'interrogano, questo rilanciarsi l'un l'altro domande e questioni pare del tutto inutile. Non ci sono risposte. Non c'è una rivelazione ultraterrena ma neppure un ponderare filosofico. Gli incontri con i grandi uomini (Napoleone, Lenin, Mao ecc.), le voci della Storia, sono fuggevoli e poco soddisfacenti. Le grandi personalità del passato risultano molto ridimensionate, quasi ridicolizzate (credo per questo motivo: perché non ce l'hanno fatta, a cambiare il mondo o a fornire una guida). Dietro le quinte di questa realtà romanzesca s'intuisce una forte delusione derivata dall'esperienza politica e dall'attesa partecipata di un progresso nella Storia; al momento in cui siamo  non si può che constatare che gli enormi sforzi compiuti nel corso di millenni, gli slanci, le lotte, i sacrifici non sono riusciti a rovesciare il terribile destino delle vittime. La Storia viene rimescolata provocatoriamente e perfino con una punta di spregio, a mio parere: per esempio nella raffigurazione di Lenin fra le braccia di Anastasia Romanova, che dopo averlo gettato nel fuoco sotto le sembianze di una cameriera ed averlo seguito nella morte, lo culla come un bambino per l'eternità. Spregio nei confronti dello storicismo più che della Storia, direi, della fiducia nelle magnifiche sorti e progressive. Parimenti la Storia sacra a noi più vicina, quella di Bibbia e Vangeli, è contraddetta e ribaltata più volte (Lazzaro e Gesù che si scambiano le parti, nessuno dei due che vuole risorgere, il creatore che concepisce suo figlio con la prima donna creata e così via). Il rifiuto di risorgere, fatto proprio da Lazzaro, Gesù di Nazareth, madre con bambino uccisi a Treblinka (pp 106-108), altri genitori di bambini morti nelle guerre più terribili che si conoscano (pp 108-109), dal protagonista stesso e dalla sua sposa (p 82), appartiene in questo modo sia alla Storia sacra sia alla Storia tout court, non illuminata da luci di salvezza e mostrata unicamente come catasta di morti. " 'La storia dei vivi è la storia del genocidio dei vivi, la storia dei vivi è la storia di come i vivi sospingono i vivi dentro la morte (...) Così è stato fin dall'inizio, da quando l'uomo che hanno chiamato di Cro Magnon ha sterminato quello chiamato di Neanderthal (...) Tutta quella cosa che loro chiamano storia è costellata di un immane dolore inflitto e subito, in ogni forma, con ogni pretesto: razziale, etnico, economico, religioso...' ": a parlare è uno storico (pp 101-103).
Infine, nel dialogo con il Gatto-diavolo-dio, assistiamo al trionfo delle antinomie presenti nell'universo, la coincidenza di diavolo e dio: " 'Starai pensando: E' questo il destino delle antinomie… Il diavolo e Dio, a forza di combattersi, sono diventati una cosa sola. Ecco, adesso il piccolo cerchio si è chiuso. Il diavolo dei mortali non poteva che rivelarsi alla fine il Dio degli immortali…' " (p 874). Sempre dallo stesso dialogo: " 'Qual è stata la tentazione del primo uomo?' riprende a dire, con una voce così bassa che quasi non si sente. 'L'immortalità, la conoscenza del bene e del male, diventare uguale a Dio, l'immortale. Qual è, quale sarà la tentazione dell'ultimo uomo? L'increazione, diventare uguale a Dio, l'increato. Tutto quello che sta succedendo qui dentro è solo il configurarsi di questa mia tentazione…' " (p 865).
Il nulla come tentazione del postmoderno, del postinferno…? Chissà.
Questa discesa agli inferi ci conduce in un inferno postmoderno o postinferno. Avvengono tante cose insieme che non si stanno a giudicare e si dà per scontato che non si riescano a capire. Si corre a perdifiato senza sapere dove andare, senza indirizzare la propria energia verso una meta precisa, etica, che non sia l'amore verso una donna o verso un uomo. Le tre coppie di sposi: creatori, distruttori, increatori, si ritrovano tutte nell'immensa sala della reggia incendiata del gran ballo finale, per precipitare infine nell'increato: tutto alla fine viene inghiottito come se non fosse mai esistito. Un buco nero? Un'allusione al nulla in cui finisce tutto? Ancora una reminiscenza buddista relativa questa volta al nirvana, l'auspicata fuoriuscita dal ciclo delle rinascite? Un infinito, quello di Moresco, strapieno di cose, dalla creazione, alla distruzione, all'immortalità, perfino all'increazione... Ma prevale quest'ultima.
Le tre coppie di creatore e sposa, distruttore e sposa, increatore e sposa alla fine si fondono in una: " 'E anche le nostre spose chi sono, se sono una sola sposa dislocata in tre spose?' domanda ancora qualcuno, non saprei chi, se il creatore o il distruttore. E allora le nostre spose, una dopo l'altra, rispondono: 'Io sono la sposa del creatore perché sono la sposa del distruttore.' 'Io sono la sposa del distruttore perché sono la sposa del creatore.' 'Io sono la sposa dell'increatore perché sono la sposa del creatore e del distruttore e perché sono increata.' Silenzio." (p 998) La voce di uno e di tutti continua a interrogarsi fino alla fine: "… Che cos'è l'increazione? E' il verso dove che si è messo in movimento fin dagli inizi, fin dagli esordi, e che ha messo in movimento ogni cosa e ogni forma? Ma come fa a essere un movimento? Come fa a mettere in movimento? E' l'unico che ancora rimane oppure è il primo? E allora l'increatore cos'è, cosa può essere? Perché si percepisce ancora separato dall'increazione? Ma allora che increatore è se, proprio perché è increatore, si sente così separato dall'increazione, sente di fare ancora diaframma all'increazione? Perché io, proprio io, che sono l'increatore, mi sento ancora così separato e lontano dall'increazione? Come può esserci l'increatore se c'è l'increazione?' " (p 1001). Infine, a p 1013: " 'La creazione e la distruzione non ci sono più, non ci sono mai state, non ci saranno. Noi siamo le spose degli increati e siamo nell'increato.' (…) La guardo, la guardo, con i miei occhi che non la vedono. Provo ancora a dirle per la prima e ultima volta qualcosa, ma le mie labbra sono sigillate. L'increatore non c'è più. Non resta che l'increato."
  

* "Io ho svelato che non si trattava soltanto di un passaggio d'epoca, di un passaggio d'era e persino di un passaggio di specie, ma dell'inconcepibile e dell'indicibile manifestarsi del magnete che sta magnetizzando ogni cosa e che ci sta portando alle soglie dell'increato…Tutte le descrizioni, le agnizioni e le antinomiche conoscenze dei vivi dentro la morte, mitologiche, religiose, scientifiche, tecnologiche, stanno solo facendo disperatamente diaframma al magnete dell'increazione, hanno sempre fatto, faranno… Quella che sembra in atto non è solo una di quelle catastrofiche lotte tra strutture biologiche, genetiche e sapienziali emerse, quando due epoche o addirittura due ere collassano l'una sull'altra, quelle che vedono i vivi e i morti e anche gli immortali… Vedono solo queste piccole strutture che si sfracellano, i loro raffiguratori, i loro pensatori e i loro narratori si affrettano a darne una piccola descrizione antinomica dentro la vita e dentro la morte create… il tempo della parola che sta per essere inghiottito da quello dell'impulso elettronico e dell'immagine pervasiva, l'avvento dell'era digitale dentro la morte che viene prima, le cose che non viaggiano più dentro le strutture irradianti delle parole tatuate e di quelle concettuali e figurali che si formano nella mente e nei sogni che fa la mente ma dentro questo nuovo mare amniotico resettato della dimensione digitale del mondo che sta avvolgendo la vita dentro la morte, l'ibridazione uomo-macchina, il postumano, lo sdoppiamento di specie, una specie umana dentro la vita che è dentro la morte che viene prima, l'altra che è dentro la morte che è dentro la vita che è dentro la morte che viene prima e che viene dopo, verrà, per dare vita a una nuova specie che è dentro l'immortalità della vita e della morte che sono dentro la vita e la morte che vengono prima e che vengono dopo, verranno… E io, qui, proprio adesso, con la mia sola parola magnetizzata, che viene prima e che viene dopo, dentro questo culmine…' " (pp 823-824).
Altre citazioni sulla coincidenza degli opposti:
" 'Significa che la morte e la vita diventano sempre più la stessa, identica cosa. Significa che la morte è ancora la vita, che la vita è ancora la morte. E che quest'unica cosa è sempre più spaccata in due da questa compresenza e da questa immobilizzazione e da questo fronteggiamento. Significa che i vivi e i morti stanno cominciando a combattersi tra di loro per diventare la stessa, identica cosa. Significa che i vivi combattono contro la morte per restare vivi dentro la morte. E che i morti combattono contro la vita per restare morti dentro la vita…' " (p 44);
" 'E perché là fuori c'è solo guerra, devastazione, e qui dentro invece è tutto intatto, la luce non divora le forme, niente trema?' le domando ancora.
'Perché quello che sta succedendo là fuori è solo ciò che vedono gli immortali attraverso gli occhi dei morti e dei vivi, è solo ciò che vedono i morti e i vivi attraverso gli occhi degli immortali.' " (p 890);
"Dove andranno tutte quelle figure e quelle forme che erompono sempre più dal cratere del mio specchio? Dove tracimeranno? In quale altro specchio? In quale altra vita? Che ci sia anche un'altra vita? Che non ci sia solo la vita? Ma cosa può esserci d'altro, se io ho creato la vita dentro lo specchio della vita? Come fa la vita a essere dentro lo specchio della vita, se non è la vita? Che si sia duplicata anche la vita? Ma come può essersi duplicata, se la vita non può che essere tutta dentro la vita? In che cosa può essersi duplicata? E da dove può venire questa cosa che si è duplicata? Da prima o da dopo? Che ci sia una morte per la vita? Che ci sia una vita per la morte? Ma allora da dove viene la vita? Da dove viene la morte? Che vengano tutte e due dalla creazione? In quale specchio si guardano? Che si guardino tutte e due dentro lo specchio della creazione? O che sia la creazione a guardarsi nel loro specchio? Ma allora che vengano prima della creazione? Ma, se vengono prima, allora io che creatore sono? Che io, creando la vita e la sua duplicazione, abbia creato anche la morte? Ma la morte della vita o solo della duplicazione della vita? E che cos'è poi questa morte? In quale specchio si guarda? In quello della vita? E la vita in quale specchio si guarda? In quello della morte? Ma allora io che cosa ho creato? La vita o la morte? La creazione o la distruzione? La creazione che si guarda nello specchio della distruzione o la distruzione che si guarda nello specchio della creazione?" (p 932);
"Però, anche se sto vorticando con la nuvola del suo vestito da sposa tra le mie braccia, anche se il mio volto è così contro e dentro il suo volto che non si riesce a sentire nient'altro oltre il clangore soffice dei nostri due volti in combustione e in increazione, mi sembra lo stesso di percepire il suono come di qualcosa che si sta lacerando e che si sta scollando da qualche parte in tutto questo mare di fuoco e di luce e che si avvicina al vortice dei nostri corpi e dei nostri volti al centro di questa sala e di questa reggia increata, o che si allontana, se ci si può avvicinare a qualcosa solo perché ci si allontana, se ci si può allontanare da qualcosa solo perché ci si avvicina a ciò da cui ci si allontana per la prima e ultima volta nell'increato." (p 995)

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