Prima parte: un esperimento di agricoltura sostenibile, la comunità Terrestra
“Attenti alla macchina!”. All’uscita da Ravenna
percorriamo chilometri su asfalto statale e provinciale, a tratti senza
marciapiede. Paolo Pileri (ordinario di pianificazione territoriale e
ambientale al Politecnico di Milano), che ci accompagna per un lungo tratto, ci
segnala le varie brutture, tecnologiche e no, che si sarebbero potute evitare o
mascherare meglio (armadi tecnologici, ex capannoni, aree dismesse recintate e
incolte, mancanza di siepi, soste degli autobus senza marciapiede), ma deve spesso
interrompersi perché dobbiamo soprattutto prestare attenzione alle auto, che
possono sorprenderci alle spalle in qualsiasi momento, persino in qualche via
laterale. Benché Guido Viale abbia scritto Vita e morte dell’automobile,
con una certa fiducia in una svolta decisiva, nel lontano 2007, eccoci ancora
completamente circondati… La vettura privata con motore a scoppio è dura a
morire, purtroppo lo constatiamo giorno dopo giorno. Ma qui siamo solo
all’inizio di un percorso che vuole portarci fuori dal tessuto urbano in pieno
ambiente rurale.
Turismo di prossimità, agroecologia, visita solidale a
realtà alternative e a una fabbrica occupata… il cammino di quest’anno di
Repubblica nomade si preannuncia particolarmente denso di eventi e significati.
Di chi stiamo parlando? Parafrasando alcune parole di
Moresco, contenute nella prefazione a Stella d’Italia, potremmo dire che
Repubblica nomade (che a quel tempo era ancora in germe, ma molto desiderosa di
nascere) non è qualcosa di puramente culturale, anche se si denomina
“associazione culturale” e c’è dentro una forte spinta culturale e ancor più
poetica; non è qualcosa di puramente politico, anche se c’è dentro una forte
spinta politica e una trascendenza civile; non è qualcosa di puramente
atletico, anche se ha comportato per molti partecipanti un superamento delle
possibilità fisiche individuali. In parole più povere, prive di tutte le
sfumature sopra accennate, Repubblica nomade è un’associazione che organizza
cammini, in Italia e in Europa, caratterizzati da una forte connotazione
simbolica e politica (non partitica, dal momento che le idee sono varie e le
scelte in cabina elettorale pure). Inevitabile, il notevole impegno fisico, dal
momento che è proprio il passaggio dal pensiero all’azione (dalla passività
abitudinaria del nostro tran tran quotidiano all’attivarsi per qualcosa di
socialmente significativo) che si desidera, sebbene in modo giocoso,
incentivare. Perché, invece delle solite vacanze organizzate o familiari o di
consumo (nel distruttivo turismo transcontinentale), non utilizzare parte dei
nostri giorni liberi dell’anno per un’esperienza di turismo di prossimità, che
ci faccia riscoprire una vita in comune con altri, ci faccia incontrare persone
anche molto diverse da quelle del nostro ambiente, ci porti,
gambe-cervello-cuore, a contatto con realtà di cui magari si è sentito parlare,
si è letto fuggevolmente qualcosa ma non si sono mai viste né conosciute,
benché fossero qui a due passi, a qualche centinaio di passi… prendendo il
treno subito raggiunte, da poter vedere e conoscere camminandoci dentro.
Il Cammino dell’acqua, fra il 16 e il 29 giugno di
quest’anno, si propone di attraversare le terre alluvionate l’anno scorso in
due ondate successive, nella primavera e nell’autunno 2023, romagnole e
toscane, per raggiungere una realtà di lotta sindacale attiva da tre anni, da
quando, nel luglio del 2021 alla GKN di Campi Bisenzio, si attuò uno dei primi
licenziamenti dopo il periodo di sospensione della pandemia. Da un tipo di
solidarietà all’altro… da quel prodigare aiuti e partecipazione in Romagna, da
parte di genti affluite da tutt’Italia, alla capacità di reazione e di
organizzazione dimostrata dal Collettivo di fabbrica GKN in Toscana, insieme
con le moltissime associazioni solidali del territorio e oltre, nel corso di
tre anni per difendere i posti di lavoro in una vertenza che non si è ancora
conclusa (… e difenderli per giunta con attenzione consapevole alla
sostenibilità e al futuro che ci attende). Pure il territorio di Campi
Bisenzio, sempre nel 2023, a novembre, fu investito da un’alluvione, che vide i
lavoratori della fabbrica sia nelle vesti di soccorritori sia nelle vesti di
vittime, quindi il cammino può definirsi correttamente “dell’acqua” fino alla
fine.
Nelle settimane della
camminata, sul territorio nazionale due notizie fanno particolarmente parlare
di sé: l’omicidio doloso nell’ambito del bracciantato ai danni del trentenne
Satnam Singh, abbandonato e morto per dissanguamento senza soccorso fra il 17 e
il 19 giugno dopo un incidente sul lavoro in un’azienda in provincia di Latina,
preceduto e seguito purtroppo da altre morti bianche, che cadono ormai con
regolarità quasi quotidiana (nel 2024 sono in aumento rispetto agli anni
precedenti); l’approvazione alla Camera il 19 giugno del disegno di legge
sull’autonomia differenziata. Questo lo sfondo su cui ci muoviamo: lavoro
precario e sfruttato mentre vengono emanate nuove leggi molto contestate, di
dubbia utilità, forse addirittura pericolose. A proposito delle morti fra i
lavoratori agricoli, più che altro irregolari e trattati come schiavi, viene
ricordato più volte Uomini e caporali di Alessandro Leogrande, ma non
trovo avulso dal discorso il capitolo “Affamato di diseredati. Perché il
capitalismo è strutturalmente razzista” in Capitalismo cannibale di
Nancy Fraser. Sull’autonomia differenziata scrive subito qualcosa Paolo Pileri:
il 24 giugno su Altreconomia sottolinea che questa nuova direttiva “poggerà sui
piedi dell’ignoranza ecologica”. Verrà trasferita alle Regioni anche la tutela
degli ecosistemi e questo renderà tutto più difficile. È noto infatti che i piccoli comuni sono meno
efficienti dei grandi nella tutela; inoltre la gestione degli ambienti sarà più
frammentata e per parti differenziate (“Un Paese fatto a pezzi in nome
dell’autonomia differenziata. L’addendum ecologico”).
Si parte da Ravenna il 16 giugno, a pochi giorni dalla
ricorrenza dell’alluvione del maggio
2023. Sulle colline dell’Appennino, raggiunte dopo qualche giorno, dopo Faenza,
vediamo i segni profondi dei calanchi di questa terra argillosa e, un po’ più
in alto, dopo Brisighella, prima dell’arrivo al rifugio Fontana Moneta, nei
pressi di Palazzuolo sul Senio, pure le tracce di alcune delle migliaia di
frane che si verificarono da queste parti un anno fa. Puntale, Pileri: la terra
franata purtroppo va a intasare i corsi d’acqua e rende più difficile il
defluire degli allagamenti, ma il danno non si limita a questo: le frane
significano anche perdita di suolo in quota. Le strade sono riparabili, il
suolo scivolato a valle è ormai perduto. All’origine di questi disastri:
l’abbandono delle alture, per cui nessuno più cura e coltiva il terreno
montano, lasciato a sé stesso e all’erosione delle piogge; il consumo di suolo
a valle, con la cementificazione che toglie ai suoli, con le erbe e le piante,
il respiro, la possibilità di rigenerarsi, drenare e frenare le acque.
In mezzo a tutto questo, si dialoga con associazioni
virtuose (come gli Ortisti di strada della Casa volante di Ravenna, che curano
un orto in un’area dismessa e piantano alberi da frutto dove possono lungo le
strade; il Vascello vegano, sempre in provincia di Ravenna, fonte inesauribile
di ricette rispettose degli altri animali; la Cooperativa di comunità a Legri;
l’instancabile attività a favore di chi ha bisogno della Collegiata di Lugo,
tra cui il “velocibo”, raccolta e rapida distribuzione con le biciclette del
cibo recuperabile ogni giorno rimasto invenduto nei mercati; l’Orto collettivo
di Calenzano, che si propone di coltivare pure le zone di mezza montagna, oltre
a quelle di pianura e collina, per non abbandonare all’incuria e al
disboscamento un terreno prezioso), mentre gli amministratori locali vengono
pungolati con domande rigorose, talvolta indisponenti da alcuni di noi,
considerato che l’Emilia-Romagna è fra le regioni con maggiore consumo di suolo
(la Lombardia è la peggiore),
Ma ecco un fiore all’occhiello: incontriamo una realtà
che ha accettato la sfida di fare agricoltura nel modo più virtuoso possibile,
e naturalmente può costituire un esempio. Ciascuno di noi può scegliere di
appoggiare questo nuovo modo di fare agricoltura, poiché le CSA (comunità a
supporto dell’agricoltura), sono diffuse sul territorio italiano e se ne
trovano anche in provincia di Milano e Bergamo, rintracciabili su internet. La
cooperativa agricola che visitiamo a Sant’Agata sul Santerno (il comune, molto
vicino a Lugo, maggiormente colpito dall’alluvione del 2023 in Romagna),
Terrestra appunto, si propone di agire in armonia con la terra da coltivare e
tutti i suoi abitanti, nei limiti del possibile: gli animali, le piante
selvatiche, la boscaglia, l’argine del torrente, cittadini e compaesani del
circondario. Si è calcolato che gli animali possono danneggiare le coltivazioni
solo fino a un certo punto e si è messa in conto questa perdita piuttosto che
adottare l’uso di prodotti di sintesi, che avrebbero effetti peggiori. Questo
vecchio podere era già molto impoverito e rovinato per la trascuratezza di
decenni quando Silvia Pattuelli, laureata in economia, ha deciso di cambiare la
sua vita, spostandosi dalla città alla campagna, e di orientarsi con alcuni
amici verso un’agricoltura che non depauperasse irrimediabilmente il suolo,
come già avvenuto in passato, gli permettesse di rigenerarsi, di ospitare
radici e alberi, con particolare attenzione alla biodiversità, valutando con
accuratezza cosa coltivare in modo da non esaurire le risorse nutritive del
terreno in poco tempo. Occorreva decostruire le tecniche agricole
convenzionali, che vanno sempre più verso il latifondo (vaste estensioni di
terra chimicamente trattate nelle mani di pochi possessori di ingenti
capitali), per rendere l’agricoltura un bene comune. L’agroecologia, cui ci si
ispira, è lievemente diversa dall’agricoltura biologica, ha un approccio più
globale e organizza l’economia del cibo in funzione del rispetto
dell’ecosistema (molte volte l’agricoltura biologica si è dimostrata uno
specchietto per allodole, più apparenza che sostanza).
Il cibo di per sé crea comunità. L’agricoltura può
essere pure un vettore d’inclusione (le donne, per esempio, racconta Silvia,
sono sempre meno impiegate in questo settore economico, a prevalenza maschile e
maschilista; alcune poche donne le troviamo pastore in montagna, in ambiente
più povero). “Chi si associa può prendere parte ad ogni fase del processo
produttivo ed economico, condividendo i rischi e i benefici dell’attività
agricola. Smette quindi di essere semplice consumatrice o consumatore e diventa
co-produttrice o co-produttore solidale con le contadine e i contadini…” si
trova scritto nella home page di Terrestra. E ancora “ci si riconosce come
esseri eco-dipendenti”. I molti soci di questa CSA consentono con una quota
annuale, versata in anticipo ma flessibile (eventualmente concordata,
rinegoziata in caso di imprevisti) un tipo di agricoltura sostenibile anche un
po’ sperimentale (non viene usato, per esempio, nemmeno il letame affinché non
ci si debba appoggiare ad allevamenti che potrebbero non rispettare gli
animali*; si usano invece dei macerati e fermentati naturali), che si sottrae alla volatilità dei prezzi e delle
speculazioni del mercato; ogni settimana gli stessi soci ritirano una
cassetta di frutta e verdura sana. Il desiderio di avere un controllo sulla
filiera del cibo che si mangia è sicuramente una delle motivazioni più forti
nella scelta di far parte di una delle CSA che in Italia sono in aumento,
attualmente sono molto diffuse soprattutto in Germania, per quanto attiene
all’Europa; nate secondo alcune ricerche in Giappone negli anni Settanta (Alessandra
Piccoli, ricercatrice presso la libera università di Bolzano, in un articolo su
Humusjob del 15.06.2021 che si può reperire in rete: “Le comunità a supporto
dell’agricoltura o CSA. Un modello concreto per costruire un cambiamento in
agricoltura e nelle comunità”). Tuttavia, sempre in rete, si trova che
l’agroecologia in senso lato era già presente in Sudamerica nell’agricoltura
indigena, ripresa e rilanciata negli anni Ottanta (viene nominato soprattutto
il Messico). L’agricoltura preindustriale in ogni caso anche qui in Italia
consentiva una maggiore cura del territorio, si osserva da più parti durante il
cammino. Io non me ne intendo e lascio la parola a chi volesse aggiungere o puntualizzare
qualcosa. Mi limito ad aggiungere che chiunque può decidere di collaborare a
queste esperienze di sostegno all’agricoltura (tranne a Terrestra, che ha già
raggiunto il numero massimo di soci), le quali sono più complesse dei GAS,
gruppi di acquisto solidale: nelle CSA, abbiamo detto, il socio è in qualche
modo coproduttore non soltanto consumatore. Le “CSA sono forme di economia
sociale e solidale che offrono reali opportunità di superare logiche
capitaliste, imperialiste e inique verso le persone e il pianeta” conclude Alessandra
Piccoli nell’articolo citato.
*Breve appendice sugli allevamenti
Va detto che nei bar, come nei supermercati come nei
locali che s’incontrano lungo le strade e che ci circondano nella nostra vita
quotidiana, quasi tutto è farcito di affettati e di carni. Anche la semplice
focaccia o pizza, in origine vegetariana, si trova spesso arricchita di ciò che
vegetale non è, con conseguente sovrapprezzo. Prezzo a parte, non ci è ignoto
il problema degli allevamenti. Il 27 giugno esce su Extraterrestre del
Manifesto “L’orrore di una vita vicino agli allevamenti”, dove si ribadisce
ancora una volta che i territori dove si allevano più animali (in Italia nella
Pianura padana, più in generale lungo tutta la valle del Po) sono inquinati
nell’aria e nell’acqua. L’allevamento intensivo, metodo prevalente in Europa e
nel mondo per produzione di carne, latticini e uova, è fra i settori più
inquinanti al mondo, in crescita a partire dagli anni Ottanta, responsabile di
circa il 15% dei gas serra. Soprattutto per via dell’emissione di ammoniaca, ha
come conseguenza difficoltà respiratorie, asma e malattie bronchiali nelle
popolazioni circonvicine. L’ammoniaca unita ad altre sostanze presenti si
trasforma in particolato e polveri sottili, che possono penetrare nel terreno e
raggiungere le falde acquifere, da qui il rischio di malattie più gravi ed
epidemie. In cifre, l’articolo firmato Helena Spongenberg, che parla di
situazioni di angoscia e disagio nei pressi di allevamenti in Italia, Spagna,
Danimarca e Polonia, riporta purtroppo i numeri elevati di una grande bruttura
(e di una grande ingiustizia, quando già si potrebbero produrre e diffondere
maggiormente carne coltivata e proteine vegetali): “142 milioni di suini, 76
milioni di bovini, 62 milioni di pecore, 12 milioni di capre, oltre 11 miliardi
di polli: questa è la popolazione degli animali invisibili allevati in Europa
ogni anno, che nascono e muoiono all’interno di una enorme catena di montaggio
e smontaggio”.
Libri (attinenti o sconfinanti) citati durante il
Cammino dell’acqua
Valentina Baronti, La fabbrica dei sogni, ed.
Alegre, Roma 2024
Marco D’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine
sull’età del turismo, Feltrinelli, Milano 2017
Nancy Fraser, Capitalismo cannibale. Come il
sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta,
Laterza, Bari 2023
Amitav Ghosh, La grande cecità. Il cambiamento
climatico e l’impensabile, Neri Pozza, Milano 2016
Paola Imperatore, Territori in lotta. Capitalismo
globale e giustizia ambientale nell’era della crisi climatica, Meltemi,
Milano 2023
Paola Imperatore, Emanuele Leonardi, L’era della
giustizia climatica. Prospettive politiche per una transizione ecologica dal
basso, Orthotes, Napoli 2023
Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita
serena, Bollati Boringhieri, Torino 2008
Bruno Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime
climatico, Meltemi, Milano 2020
Alessandro Leogrande, Uomini e caporali. Viaggio
tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud, Feltrinelli, Milano 2016
Antonio Moresco, Repubblica nomade, Effigie
2016
Walter Orioli, Passo dopo passo. Perché
camminare ci aiuta a pensare e vivere meglio, Sonda 2022
Paolo Pileri, L’intelligenza del suolo. Piccolo
atlante per salvare dal cemento l'ecosistema più fragile, Altreconomia,
Milano 2022
Leonardo Poli, Eugenio Dal Pane, Fatti accaduti in
Romagna, Itaca, Castel bolognese, 2023
Alberto Prunetti, Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class, Minimum fax, Roma 2022
Guido Viale, Vita e morte dell’automobile,
Bollati Boringhieri, Torino 2007
Foto della frana scattata da Letizia Debetto sul
tratto di strada tra Fognano e il rifugio di Fontana Moneta, non lontano da
Palazzuolo sul Senio
(Articolo uscito su Nazione Indiana il 19.07.24)
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