lunedì 5 agosto 2024

Un esperimento di fabbrica-laboratorio sociale: GKN

Seconda parte del Cammino dell’acqua

Da un certo punto in poi il Cammino dell’acqua dell’associazione culturale Repubblica nomade si trasforma in una marcia di solidarietà alla GKN di Campi Bisenzio. Il percorso attraverso le terre romagnole e toscane che furono alluvionate nella primavera e nell’autunno 2023, fra il 16 e il 29 giugno di quest’anno non è mai stato una flânerie anzi il contrario, per motivi organizzativi e d’impulso attivista; diventa comunque decisamente più arduo sull’appennino tosco-emiliano, soprattutto per motivi climatici. Un sorprendente nubifragio contrassegnato da allarme meteo si abbatte anche sui camminanti, ma non impedisce la continuazione a un drappello dei più determinati. Passata la burrasca, in prossimità dell’arrivo, il gruppo si ricompatta e si amplia. Vi si aggiungono altre e altri solidali con la lotta degli occupanti e si arriva davanti ai cancelli la mattina del 29 giugno.

Dal 18 maggio gli ex operai avevano iniziato una tendata di protesta sotto la Regione, in quanto da sei mesi erano stati lasciati senza stipendio né ammortizzatori sociali, sempre in attesa di risposte chiare a domande semplici. La tendata è poi durata 35 giorni con 13 giorni di sciopero della fame. In tutti questi anni ai lavoratori non sono mancate la forza di volontà, l’inventiva, la determinazione. Ben presto, a breve distanza da quel 9 luglio 2021, da quando tutti i 500 lavoratori GKN si ritrovarono licenziati dal fondo britannico Melrose con un semplice sms, insieme con ingegneri ed economisti solidali si iniziò a pensare a un piano di reindustrializzazione dal basso: così leggiamo nel libro di Valentina Baronti (una degli attivisti di supporto esterno), La fabbrica dei sogni, che ripercorre con chiarezza le varie tappe di un percorso complesso e accidentato. Si cercò di allargare l’orizzonte e di coinvolgere nella lotta il maggior numero di soggetti possibile. Questa era una pratica già nota agli operai molto sindacalizzati della fabbrica ex Fiat (il colosso GKN aveva rilevato il complesso dalla Fiat negli anni ’90, un colosso aveva inglobato un altro colosso); in seguito continuò a essere utilizzata e incrementata con sempre nuove trovate, per l’esigenza di tener viva l’attenzione su una questione anno dopo anno mai risolta. Un’intera comunità “ora è chiamata a farsi intelligenza collettiva, per uscire dal calcolo solito con cui si chiudono le fabbriche: un ammortizzatore sociale che serve solo a coprire, con soldi pubblici, la fuga della multinazionale o del fondo finanziario, la nomina di un advisor che deve trovare un reindustrializzatore, che però non arriverà mai e piano piano la vertenza si spegne, i lavoratori si licenziano alla spicciolata, lo stabilimento si svuota e rimane uno scheletro industriale su cui avviare una speculazione edilizia”: osserva Valentina Baronti (cit., pag 40). Del resto, si trova scritto poco più avanti, “quando ti compra un fondo finanziario, lo sai che prima o poi chiudi. Comprano per ristrutturare, dicono loro, che in realtà vuol dire licenziare e poi rivendere, guadagnando in borsa”. GKN fu acquistata dal fondo Melrose nel 2018; non si dovette attendere molto perché si concretizzasse ciò che un po’ si temeva fin dall’inizio. Diverse volte, fra il 2021 e la fine del 2023, i giornali cantarono vittoria annunciando una svolta decisiva a favore dei lavoratori, ma le speranze vennero puntualmente frustrate. Si rispose cercando di lanciare la palla sempre più lontano: fu organizzato, anche con l’apporto di sindacati e associazioni straniere, un Festival di letteratura working class a inizio aprile 2023, cui perfino il regista Ken Loach fece pervenire un forte messaggio di sostegno; nello stesso anno si promosse una consultazione popolare e si raccolsero 17000 firme che esprimevano il desiderio di una fabbrica pubblica e aperta alla società. Tanti giovani di diverse associazioni, fra cui Fridays for future, manifestano per un nuovo tipo di fabbrica che vuole avviare una produzione sostenibile. Scrive un autore fra i partecipanti al Festival di letteratura working class: “Siamo le seconde generazioni della classe operaia. Spesso siamo i primi in famiglia che sono andati all’università. Scriviamo sulle spalle dei nostri vecchi, a volte con un inquietante senso di colpa, pensando ai sacrifici che hanno fatto per farci studiare. Non di rado con le nostre scritture cerchiamo una sorta di giustizia poetica che possa in qualche modo compensare tardivamente la durezza della vita dei nostri genitori.” (Alberto Prunetti, Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class). Giustizia sociale e giustizia climatica che diventano giustizia poetica… una bella sintesi di tutto ciò che si vorrebbe nello slogan Abbiamo fame di un mondo nuovo… Si forma e si estende sempre più quel progetto di “fabbrica socialmente integrata” di cui parlano i volantini e che si propone come tema centrale anche alla festa-ricorrenza del 12 luglio 2024 a Firenze. Intanto si progettano e si cominciano a costruire prototipi di pannelli solari e cargo bike, biciclette per il trasporto ecosostenibile.

sabato 20 luglio 2024

Costeggiando un terreno franoso

Prima parte: un esperimento di agricoltura sostenibile, la comunità Terrestra

“Attenti alla macchina!”. All’uscita da Ravenna percorriamo chilometri su asfalto statale e provinciale, a tratti senza marciapiede. Paolo Pileri (ordinario di pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano), che ci accompagna per un lungo tratto, ci segnala le varie brutture, tecnologiche e no, che si sarebbero potute evitare o mascherare meglio (armadi tecnologici, ex capannoni, aree dismesse recintate e incolte, mancanza di siepi, soste degli autobus senza marciapiede), ma deve spesso interrompersi perché dobbiamo soprattutto prestare attenzione alle auto, che possono sorprenderci alle spalle in qualsiasi momento, persino in qualche via laterale. Benché Guido Viale abbia scritto Vita e morte dell’automobile, con una certa fiducia in una svolta decisiva, nel lontano 2007, eccoci ancora completamente circondati… La vettura privata con motore a scoppio è dura a morire, purtroppo lo constatiamo giorno dopo giorno. Ma qui siamo solo all’inizio di un percorso che vuole portarci fuori dal tessuto urbano in pieno ambiente rurale.

Turismo di prossimità, agroecologia, visita solidale a realtà alternative e a una fabbrica occupata… il cammino di quest’anno di Repubblica nomade si preannuncia particolarmente denso di eventi e significati.

Di chi stiamo parlando? Parafrasando alcune parole di Moresco, contenute nella prefazione a Stella d’Italia, potremmo dire che Repubblica nomade (che a quel tempo era ancora in germe, ma molto desiderosa di nascere) non è qualcosa di puramente culturale, anche se si denomina “associazione culturale” e c’è dentro una forte spinta culturale e ancor più poetica; non è qualcosa di puramente politico, anche se c’è dentro una forte spinta politica e una trascendenza civile; non è qualcosa di puramente atletico, anche se ha comportato per molti partecipanti un superamento delle possibilità fisiche individuali. In parole più povere, prive di tutte le sfumature sopra accennate, Repubblica nomade è un’associazione che organizza cammini, in Italia e in Europa, caratterizzati da una forte connotazione simbolica e politica (non partitica, dal momento che le idee sono varie e le scelte in cabina elettorale pure). Inevitabile, il notevole impegno fisico, dal momento che è proprio il passaggio dal pensiero all’azione (dalla passività abitudinaria del nostro tran tran quotidiano all’attivarsi per qualcosa di socialmente significativo) che si desidera, sebbene in modo giocoso, incentivare. Perché, invece delle solite vacanze organizzate o familiari o di consumo (nel distruttivo turismo transcontinentale), non utilizzare parte dei nostri giorni liberi dell’anno per un’esperienza di turismo di prossimità, che ci faccia riscoprire una vita in comune con altri, ci faccia incontrare persone anche molto diverse da quelle del nostro ambiente, ci porti, gambe-cervello-cuore, a contatto con realtà di cui magari si è sentito parlare, si è letto fuggevolmente qualcosa ma non si sono mai viste né conosciute, benché fossero qui a due passi, a qualche centinaio di passi… prendendo il treno subito raggiunte, da poter vedere e conoscere camminandoci dentro.

sabato 8 giugno 2024

Dolores e il buio del passato

Mi sono molto identificata in alcune asserzioni di Dolores Prato relative all'infanzia: "“… l’infanzia è un vuoto immenso dove precipitano le cose…” (in una lettera). In  Giù la piazza non c’è nessuno: “Quel poco che ho studiato è scomparso nel buco nero che ho al posto della memoria, equivalente di ignoranza totale. Quel che pare ricordo, è tatuaggio, incisione, cicatrice: io leggo i segni.” (Dolores prato, Giù la piazza non c’è nessuno, Quodlibet, Macerata 2009, pag 102).

Anch’io devo avere un difetto della memoria che m’induce a colmare continuamente le mie lacune smisurate: curiosità d’imparare altrettanto smisurata. 

lunedì 3 giugno 2024

Quando si vuole il thriller a ogni costo

Un romanzo sulla maternità scritto come un thriller, in uno stile concitato pieno di suspense. Una scelta che non convince: Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi (Einaudi, Torino 2023). Non è una questione di giudizio morale dal momento che neppure so come va a finire la storia, non avendo voluto assecondare la curiosità tipica dei lettori di gialli che mi pare fortemente alimentata; è fastidio per lo stile, che in me suscita l'impressione di venire manipolata.

lunedì 8 gennaio 2024

Un tesoro (sperimentale) ritrovato

Giuliano Gramigna, Marcel ritrovato, Il ramo e la foglia, Roma 2023

“Passai portandomi dietro quel segnale di marrone e azzurro. Il mio cuore aveva accelerato, addirittura extrasistoli, ma era una specie di dilatazione euforica come quando ci si mette a correre, poi manca il fiato e ci si sente bene, si sta per scoppiare e ci si sente ancora meglio con energie intatte. Galoppavo a cavallo della mia nevrosi: sindromi spastiche dell’apparato digerente, neurosi splancnica, stipsi spastica, neurosi cardiaca e vasale, instabilità circolatoria, vertigini, distonie funzionali degli ipotesi, iperemesi, vertigini labirintali, mal di mare, affezioni del sistema nervoso extrapiramidale, colangiopatie, disfagie esofagee, vomito, acroasfissia, acroparesia, claudicazione intermittente (…) travaglio di parto eccetera, a cavallo non guarito ma in certo senso esultante. Anch’io avevo avuto quei capelli castani sulla fronte, la pelle nuova con la peluria bionda dietro le mandibole scampata al primo, ostinato rasoio; naturalmente senza rimpianto, però come mi erano piaciuti nei primi dieci, trenta secondi che li avevo incrociati. Neppure Marcello era sempre stato il manichino-a-successo del Tennis Club: per non dire niente altro, oltre le guance giovani, i muscoli elastici, l’aria di cuccioli, eccetera, c’erano state anche le speranze del ’45. Un momento di eccitazione non romantica ma proprio fisica, un’estasi corporale, una scossa elettrica data dalle cose, come inspirando nel momento che scrivo di me e di Marcello l’aria limpida, sottozero di Milano 8 gennaio 1967, dove sembra di stare quasi a Irkutsk.” (pag 266)

Nel romanzo circola l’aria libera, frizzante e innovativa degli anni Sessanta. Uno dei primi segnali che ci avvisano di trovarci di fronte a uno scrivente alla ricerca di un proprio stile fuori dalle convenzioni è lo scivolamento dalla terza alla prima persona; prima persona, quella del protagonista Bruno, dubitativa, inquieta e dispettosa.