La Trilogia della scomparsa ha festeggiato già alcuni compleanni. Pubblicata da un piccolo editore senza lancio pubblicitario in un anno difficile, il 2020, ha circolato in qualche modo sottotraccia fra lettori "forti", poeti, redattori di blog letterari, critici e amanti della letteratura in tutte le sue forme.
Ecco alcuni commenti di critici
intercettati:
Francesco
Muzzioli
Cara
Roberta Salardi,
ho
terminato la lettura del suo libro, iniziata con le solite perplessità che ho
sempre riguardo alla narrativa italiana. Devo riconoscere che la sua prova è
interessante. Soprattutto nella costruzione della trilogia che cambia di
prospettiva e di narratore (anche – nel terzo episodio – di genere del
narratore, che è sempre un esercizio benemerito). Questa pluralità strutturale,
che tocca l’acme nel commento intercalato del secondo episodio, è
accompagnata da una buona dose di eterogeneità e interpolazione dei
materiali (diari, dialoghi, lettere). Personalmente trovo che gli spunti
migliori vengano dalle impennate onirico-visionarie, dalle allucinazioni
deliranti e dagli esercizi di scrittura automatica (e metto in questa eredità
surrealista anche l’utopia finale, che mi è parsa davvero “eroica” di questi
tempi). Allo stesso tempo, fanno parte dell’eterogeneità anche le ipotesi
antropologiche che attraversano il libro e gli appunti filosofici della terza
parte. Qualcosa però trattiene il lavoro dentro un certo orizzonte odierno: a
mio avviso è soprattutto nei dialoghi che il linguaggio è normale. Una scelta
che è anche dovuta alla impostazione diaristica (confessione dell’io, sia pur
di volta in volta diverso) che rende improbabili sperimentalismi a quel
livello. È vero che la formula del libro consente di ritenere tutti i dialoghi
un monologo mascherato, e dunque crea un monodialogismo che
impegna il lettore; il punto critico resta la ricaduta esistenziale (la
solitudine, l’insensatezza della vita) ovvero la risoluzione drammatica, direi,
che alle somme unifica i diversi prospetti della trilogia. Penso però che
nel momento attuale la complessità ottenuta per questa via sia già un buono e
prezioso risultato.
La
ringrazio della lettura e le auguro di procedere con coraggio e autonomia nella
ricerca.
Molti
saluti. Francesco
Muzzioli (mail del 6.7.2021)
Massimo
Rizzante
Cara Roberta,
Allora,
Celati mi piace, ma sono un allievo di Kundera, che di filosofia ha letto parecchio,
anche se i filosofi lavorano con i concetti mentre gli scrittori con le parole.
La
cosa è ben diversa, anche se molti critici, quasi tutti, hanno fatto di Kundera
un mezzo filosofo. Così come di altri scrittori che amo, vedi Broch, vedi
Musil… altrimenti tirano fuori il romanzo-saggio, il romanzo-mondo, il
romanzo-massimalista e altre definizioni passe-partout con cui credono di
risolvere tutto… Mode accademiche…
In
ogni caso da quanto ho letto, la terza parte è sì, come dici tu, raziocinante,
ma mi sembra che la materia venga trattata, come è giusto che sia, da
scrittore, cioè con quel senso del paradosso e con quella irriverenza che gli
scrittori possono e devono permettersi. Forse dei tre è il romanzo che mi è
piaciuto di più.
Perché?
Perché gli altri due sono, come dici tu, più poetici. Brutalmente, troppo
corporali. Del resto, questo non è un difetto. Solo che li sento di meno,
sebbene dal punto di vista della costruzione sono entrambi originali. Certo, al
lettore le tue costruzioni narrative possono risultare difficili da seguire, ma
solo perché sono abituati a leggere le opere letterarie come articoli di
giornale. Roberta, il problema della tua opera non è la tua opera, ma il
lettore che non c’è quasi più: la letteratura è un modo di leggere, diceva
Borges. Tra accademia e neoanalfabeti, capisci bene che i lettori che la tua
opera può captare non sono molti. Ma non importa. Continua a non scomparire…
un
saluto, massimo (mail del 26.10.2021)
Paolo
Giovannetti
Gentile
Roberta Salardi,
mantengo
la promessa fatta, e le scrivo con deplorevole (però) ritardo.
In
generale, si coglie il suo talento per la scrittura narrativa, e anche lo
stile, la lingua lo sorreggono. Lo so che è una banalità, ma a volte validi
narratori scrivono male e bravi prosatori non sanno narrare.
Il
suo modo di raccontare avrebbe tratto vantaggio, però, dalla valorizzazione
(quasi l’ingrandimento) di una delle tre parti in cui si divide la sua opera.
Più esattamente: “Il corpo della casa” funziona bene, ha una sua coerenza e
riuscita; le altre narrazioni mi sembrano non solo più deboli, ma anche poco
narrative, sbilanciate come sono verso la saggistica e il diario.
Il
progetto di una trilogia, in questo senso, finisce per essere qualcosa di
eccessivamente privato, autobiografico, e perde di risonanza letteraria, cioè
strutturale, narrativa, persino “ideale” (nel senso che un’opera d’invenzione
tende sempre a dire qualcosa di più della propria occasione privata).
Perdoni
la brevità. In ogni caso, il talento c’è. Si tratta, per il futuro, di non
disperderlo…
Un
cordialissimo saluto, Paolo Giovannetti (mail del 28.4.2022)
Mariano Bargellini
Ciao,
Roberta.
Una
nota in margine di pagina, suggerita da ''Doppio diario''. Ci sono pieghe e
svolte, nell'andamento della storia di Sergio, tali da rassicurarti sulla
impervietà di questo romanzo breve a qualsiasi concessione obbligata, dovuta al
romanzo ''generalista'' e ai canoni editoriali. La sparizione di Sergio, le sue
telefonate notturne (ma non si sa di dove chiama), il ritrovamento del suo corpo
in fondo a un burrone vicino a casa, misteri da risolvere (e che verrebbero
risolti in un romanzo di genere), permangono viceversa irrisolti. A differenza
di un romanzo di genere o qualunque. La reticenza calcolata, astuta, ha un
risultato e lancia un segnale. ''Doppio diario'' vuole essere (e lo è) una
narrazione letteraria. Aliena dal puro intrattenimento. Il senso della storia
di Sergio, per conseguenza si complica, s'allarga.
Mariano
Bargellini (mail del 2.5.2022)
Si
prosegue con commenti in tono amichevole, di lettori amici di Facebook:
Paolo Gentiluomo
Ciao. Più o meno bene. Tu? Scusa se non ti ho
scritto prima, ma ho già finito da un po' il tuo trittico che mi è piaciuto,
soprattutto il primo "pannello", quello dove la follia, progressiva
mancanza di appigli al reale, ha un corpo che respira e palpita. Si ha la
sensazione di poter toccare le cose che succedono. Il terzo
"pannello" l'ho trovato un po' troppo teorico, se mi passi il
termine: all'inizio un eccesso di filosofia che poi si riflette pur nella
distopia. Insomma il primo l'ho trovato molto più caldo e io soffro il freddo.
Il "pannello centrale" si piazza efficacemente in mezzo ali altri due.
Comunque il risultato finale mi è piaciuto. Sono molto curioso di leggere il
testo di cui mi parli e osservarne le potenzialità. Paolo Gentiluomo. Un
abbraccio e a presto (messenger di Facebook, 26.10.2020)
Rosaria Lo Russo
Che bella prosa teatrale. E che titolo. Brava
(Commento a un brano apparso su Nazione Indiana,
7.11.2020)
Giorgio Mascitelli
Cara Roberta,
Ho letto il commento di Rosaria Lo Russo e
secondo me contiene una considerazione importante e cioè che c’è un aspetto da
monologo teatrale a cui non avevo pensato. Io ho letto solo il primo dei tre
romanzi e mi sembra senz’altro la tua cosa migliore, ma in effetti il suo punto
di forza sono certi monologhi in cui emerge la soggettività della protagonista
e i temi della solitudine e dell’elaborazione del lutto, più che l’articolazione
narrativa che procede per giustapposizione.
Ciao Giorgio (mail del novembre 2020)
Antonella
Bontae
Ciao ho ricevuto il tuo libro. Delle
tre parti di cui è composto ho preferito l’ultima. Un’opera che si distingue
per lo stile e il contenuto. Brava! Antonella
(Messenger di Facebook, 11.9.2021)
Davide Gatto
Ciao Roberta, ho letto la tua Trilogia. Spremendo al
massimo la sintesi: molti centri di gravità della riflessione che abbiamo in
comune (il tema del corpo, quello del male “fondativo”, quello del “tutto
pieno” della nostra epoca), una scrittura poetica sempre bella con alcuni apici
davvero notevoli, una interiorizzazione del mondo così assoluta da farlo –
appunto – scomparire. Già sai che su quest’ultimo punto stiamo agli antipodi:
io predico – innanzitutto a me stesso – un ritorno al fuori, dopo decenni di
esilio nel dentro. Proprio questa distanza rende però interessante – parlo per
me – un confronto. Fammi sapere. A presto, Davide.
(Messenger di Facebook, 29.12.2021)
Marina Corona
Davvero un bel libro, complimenti!
(Messenger di Facebook, 28.2.2022)
Invece Daniela Brogi:
Cara Roberta, qualche giorno fa mi è
arrivata la tua Trilogia della Scomparsa. ti ringrazio. come ti accennavo, come
saprai bene, sono settimane complicate. e così ho letto rapidamente, purtroppo,
ma l'ho fatto perché stimo il tuo lavoro. per lo stesso motivo allora ti dico
una mia rapida impressione. è un progetto ambizioso il tuo, ben sostenuto
dall'impianto; ma meno devo dire dalla qualità della scrittura, quasi forse
fosse sstato più il tempo dedicato al pensiero e alla progettazione che alla
stesura effettiva. Mi è mancata la cura per la frase, per le parole. io di più
non posso sccriverti, perché sto lavorando anche di domenica; ma ci tenevo a
dart un riscontro. a presto, Daniela (messenger di Facebook, 27.9.2020)
Prima che il libro nascesse Angelo
Guglielmi ne lesse alcune parti in fieri e ne scrisse così all'autrice:
Cara Roberta Salardi
Finalmente sono riuscito a leggere
il suo manoscritto, La prima parte con interesse le altre due frettolosamente perché
ripetitive e uguali a se stesse
Mentre leggevo il suo primo tomo
leggevo anche il romanzo di Foer “Molto forte e incredibilmente vicino” e mi
compiacevo che tra i due testi scorresse lo stesso vispo disordine
I suoi personaggi sono distinti e
riconoscibili ma anche indefiniti. Martina è sorella di Fabiola no
Fabiola è solo l’amica ha un fratello Fulvio ma Fulvio è l’ospite
che ha accolto in casa forse è un figlio non nato
sua figlia è morta Valeria è sua figlia no
Valeria è figlia di Fabiola che è sua sorella minore
no la Madre dice che ha solo un fratello e così intrecciando
continuamente le parti tra pensieri pensati azioni sognate amori veri e
molta infelicità i personaggi ombra della prima parte si mettono in scena
comunicando al lettore puro piacere senza il desiderio di saperne di più.
L’impressione è di un mazzo di carte mischiato e poi buttato sul tavolo
mentre una mano consapevole le rimugina creando quadri sempre eccitanti.
Le altre due parti che abbandonano
i salti nel buio (rinunciando alla frammentazione moltiplicativa) per un
racconto lineare sono più noiose e non poco ambizione. i personaggi ridotti a
due Fabiola la figlia Valeria si scambiano ragionamenti sulla
vita e la morte che sono sempre difficili e corrono il rischio di cadere
nella più gridosa retorica.
Né le cose cambiano con la terza parte
dove dopo un inizio positivamente disordinato torna il ron ron ideologico
drammatico
Sento di essere ingiusto ma non mi
pento perché penso che lavorando sulla prima parte (legga Foer che non le è lontano)
può a qualcosa di veramente interessante.
Mi perdoni il ritardo e gli errori di
ortografia è colpa del computer. Angelo Guglielmi
(mail del 20.5.2016 sulla Trilogia ancora
in fieri. Qui il nome Valeria è usato al posto di quello del personaggio, Virginia;
lapsus del critico.)
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