Non è raro constatare l’ininfluenza di
articoli e appelli lanciati dai giornali. Un esempio? Il celebre appello di
Saviano “Presidente, ritiri quella norma” (2009), che raccolse centinaia di
migliaia di firme senza impedire che in Parlamento venisse in seguito approvata
la norma sul processo breve. In quel caso la partecipazione collettiva
richiesta fu ampia ma a bassa intensità, consistendo semplicemente in una firma
on-line da apporre in calce all’appello. Ancor meno si richiede attraverso la
pubblicazione di articoli di giornale: l’articolo viene letto, apprezzato
quindi posato sul tavolo o sulla scrivania, anche se in alcuni casi, affiancato
quotidianamente da articoli dello stesso tenore, può contribuire a condizionare
l’opinione pubblica.
Più originale e suggestiva mi è parsa un’operazione
mediatica di discreta risonanza in questi anni, legata a un’azione di lotta ma
che non passò principalmente per la carta stampata. Mi riferisco all’Isola dei
cassintegrati. Fu costruita anch’essa da “operatori della conoscenza”, sebbene
meno in vista di Saviano. Due blogger,
Michele Azzu, laureato in comunicazione e musicista, e Marco Nurra,
giornalista, decisero di sostenere con la creazione di un gruppo Facebook e successivamente
con un blog (www.isoladeicassintegrati.com
) la lotta di un gruppo di cassintegrati della Vinyls di Porto Torres occupanti
l’ex carcere dell’Asinara (2010). Inscenando e mandando in rete un’abile
parodia del seguitissimo reality televisivo L’isola dei famosi, riuscirono a
ottenere l’attenzione di stampa e tv e a tenerla viva per mesi. Il blog è
attualmente aperto e segnala varie lotte di lavoratori sparse sull’intero
territorio nazionale.
“Siamo tutti intellettuali,” scriveva Antonio
Gramsci. A maggior ragione la sua asserzione si può ritenere valida oggi che
molti hanno accesso a strumenti e mezzi di comunicazione largamente diffusi
come videotelefonini, videocamere, macchine fotografiche, registratori,
collegamenti radio, computer, internet. Se non vi ho accesso io, il gruppo
intorno a me diffonde per me il mio messaggio, qualora lo ritenga importante.
Quando vi è una lotta in corso, alcuni
membri della comunità in lotta da lavoratori-attivisti che sono possono
diventare gli “intellettuali” del gruppo, coloro che si fanno carico della
comunicazione del messaggio. L’antica netta distinzione fra lavoratori, combattenti
e pensatori è caduta, cosicché una sola persona può riassumere in sé anche
tutti e tre i ruoli. Il che ci riporta al discorso sempre attuale dell’inestricabilità
di pensiero e azione. Restano tuttavia i limiti, le censure e le alte barriere
del silenzio da superare per essere notati o ascoltati.
I licenziati delle ditte esterne che si
occupavano dei treni notte cancellati da Trenitalia, saliti sulla torre-faro
della stazione Centrale di Milano con la loro imprevista e spettacolare
iniziativa (2011), si sono assunti il compito di elevare la protesta degli 800
licenziati della loro azienda nonché quello di sottolineare l’assurdità di una
decisione che, riducendo drasticamente i collegamenti Nord-Sud, per molti
aspetti taglia in due la penisola. Altri lavoratori in questi anni, prima e
dopo di loro, hanno scelto di fare azioni eclatanti. Fra i primi ricordo i
lavoratori della Innse (2009), proprio a Milano, quattro dei quali salirono su
una gru e vi resistettero fino a ottenere l’acquisto e il rilancio della
fabbrica. Salire sul punto più alto si può intendere come forma di reazione al
silenzio e alla sottomissione in cui abitualmente, nella vita di tutti i
giorni, i lavoratori dipendenti sono tenuti. Il gesto liberatorio della fuga e
della salita verso l’alto, oltre alla ricerca della visibilità, che è la prima
ragione, si può anche interpretare come reazione a una condizione subordinata e
inascoltata. “Abbiamo rialzato la testa,” dichiaravano i lavoratori della Innse.
In circostanze di questo tipo si può
felicemente osservare come un operaio o un contadino dei nostri giorni arrivi a
esprimersi in maniera chiara ed efficace allo stesso modo di un tecnico
specializzato o di una persona che abbia accumulato molte competenze. L’intervista
rilasciata da Luca Abbà, piccolo agricoltore e attivista del movimento No Tav,
per il programma Piazzapulita lo dimostra pienamente. L’intervistato parla in
maniera corretta, con proprietà di linguaggio e con chiare e comprensibili
argomentazioni. Riesce ad assumere un atteggiamento mite, privo di quella
retorica “ideologica” (oggi guardata con sospetto) o aggressiva che potrebbe
alienargli le simpatie degli ascoltatori. Punta su valori difficilmente
contestabili come la difesa del proprio territorio, della casa proprietà di
famiglia da generazioni, del lavoro sua unica fonte di sostentamento. La
convinzione e la semplicità con cui si esprime lo rendono molto credibile. L’appello
ai valori della famiglia e della proprietà potrebbe conquistargli anche le
simpatie del pubblico conservatore. Il richiamo al legame con la natura rimanda
invece alla battaglia ecologista, il discorso più universalista della lotta No
Tav. Situata al crocevia di istanze come terra, casa, lavoro, questa lotta glocal (locale e globale insieme) si
presenta nello stesso tempo come antica (difesa del territorio), moderna
(difesa di casa e lavoro) e proiettata nel futuro (difesa dell’ambiente).
Grazie a questo ampio spettro di sfumature, è in grado di coagulare il consenso
d’individui e soggetti sociali diversi. In una fase di crisi economica e di
sfiducia nella rappresentanza politica com’è quella che stiamo vivendo, funziona
infine da catalizzatore del dissenso e del disagio sociale.
La filosofia ambientalista di Abbà,
intrisa di elementi universalistici e non-violenti, al momento dell’azione, gli
fa scegliere una prassi non-violenta. In un momento decisivo per lui, cioè
quando le ruspe sono arrivate a toccare le recinzioni della sua terra, prova a
fermarne l’avanzata mettendo a rischio la sua vita. Anch’egli come altri che
sono saliti in questi anni su gru, torri, tetti, tenta di raggiungere una
posizione sopraelevata, di alta visibilità. Prova ad arrampicarsi su un traliccio
dell’alta tensione. Tramite un collegamento radio (si tratta di Radio Black
Out, che sta seguendo e coordinando alcuni degli spostamenti degli attivisti
per la montagna) continua a comunicare con altri del gruppo, a cui racconta
minuto per minuto il succedersi degli eventi. La sua azione quindi è fin da
subito altamente comunicativa. Cerca la visibilità e fa un racconto di ciò che
accade.
In una stratificazione simbolica più
profonda il traliccio come la torre, come la gru sono varianti del mitico
albero del mondo, collegamento fra terra e cielo, punto d’incontro fra umano e
divino. L’azione rischiosa, che termina nel giro di pochi minuti con un
incidente grave, collega idealmente il sacrificio sfiorato a quello dei monaci
buddisti che s’immolano per i diritti civili o a quello del tunisino Mohammed
Bouazizi che, datosi fuoco per protesta, diede inizio della “primavera araba”;
mentre la lotta per il territorio instaura una somiglianza con quelle che
potrebbero essere le rivendicazioni di un palestinese cui le ruspe stiano per
buttare giù la casa.
Dopo l’azione di Abbà, con l’estendersi
delle manifestazioni in tutta Italia, non si è attenuata la ricerca d’impatto
mediatico del movimento. Alcuni No Tav a Roma hanno fatto irruzione nella sede
del Partito Democratico per essere ascoltati; altri hanno manifestato davanti
alla sede di Repubblica, dove una delegazione ha chiesto che venissero espresse
con onestà e chiarezza tutte le ragioni della protesta. Dalla parte dei Sì Tav
un poliziotto sindacalista ha pubblicato su Facebook una lettera aperta ai
manifestanti in cui ha esposto il suo sentire.
Tutte persone che, oltre a partecipare,
si sono pronunciate e si pronunciano su una realtà complessa e aggrovigliata:
hanno enunciato argomenti, fatto emergere il lato umano della situazione,
suscitato emozioni o apportato dati e statistiche, come i ricercatori precari
che hanno stilato questo documento http://siamostatiinvaldisusa.wordpress.com/
.
Ecco, siamo ritornati al documento. Anche
qui c’è un documento, ma acquista senso solo se qualcuno lo fa vivere.
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