mercoledì 28 novembre 2018

Una scrittrice ingiustamente dimenticata: Livia De Stefani

Caduta nel dimenticatoio per più di cinquant'anni, autrice di un racconto sperimentale fra i più riusciti del dopoguerra, Viaggio di una sconosciuta, mai ristampato fra il 1963 e il 2018, viene finalmente riscoperta dalle edizioni Cliquot con una raccolta di racconti e poesie che prende il nome appunto dal testo sunnominato (Roma 2018).
Scrive Giulia Caminito nell’introduzione che Livia De Stefani ha una scrittura “articolata e sperimentale” e “una capacità di usare la lingua e le immagini che ogni nuovo autore contemporaneo dovrebbe avere”.
Si tratta di un'autrice che ha il gusto di sperimentare e non lo fa astrattamente o freddamente come altri autori degli anni Sessanta bensì mettendosi in relazione empatica coi drammi umani, adeguando l'espressività o la duttilità della sintassi ai sentimenti forti di angoscia, disperazione, frustrazione, impotenza. Il viaggio della sconosciuta è una camminata per Roma di una diciottenne sedotta e abbandonata, che porta in una valigia per chilometri sotto il sole d'agosto, indebolita e mezzo dissanguata dal parto fatto in casa da sola di nascosto, il corpicino del bimbo che ha messo al mondo come "le pecore, le cavalle" e soffocato sul nascere. Al bimbo concepito con un bellimbusto arrogante che l'ha ingannata, offesa e umiliata fintanto che è rimasto con lei, si rivolge ancora dolcemente, fantasticando come avrebbe potuto essere. Riuscirà a liberarsi del peso della fatica e della colpa solo quando giungerà al fiume e s'inabisserà col suo piccino, "per non lasciarlo solo, in quel buio". Fino a quel momento non mancano spaventi, rimorsi, brutti ricordi di violenze subite quasi da tutte le persone che la circondano, compreso il molestatore che la segue sperando di trarne qualche vantaggio sessuale, intuito il suo stato di grave difficoltà. Poiché questi s'accorge che la ragazza non vuole mollare la valigia, l'accompagna e ricatta fino a che non riesce a ottenere un rapporto sessuale da lei che pure aveva cercato di allontanarlo in ogni modo. 
Nella narrazione si alternano a stretto giro di frase la prima e la terza persona, in uno scambio serrato che mette a fuoco ora l'interiorità alterata e confusa della protagonista ora il paesaggio urbano deserto sotto un sole schiacciante, le comparse dei passanti che non capiscono la situazione, i flashback sul mondo contadino di provenienza, sulla pesantezza del lavoro a servizio di una famiglia agiata e sulla storia d'amore col seduttore prepotente. I tempi verbali cambiano in maniera poco realistica e talvolta passato e presente sembrano fusi insieme. La situazione della ragazza risulta ancora più schiacciata in un destino senza  via uscita.
Lo stile è talmente vicino a noi che mi ha ricordato Schooling di Heather McGowan (traduzione italiana nell'edizione Nutrimenti, Roma 2007), una giovane scrittrice sperimentale. Lì il flusso di coscienza interrotto dall'osservazione dei dettagli del mondo esterno in terza persona mostra brillantemente la lezione joyciana.



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