venerdì 22 giugno 2018

Lettura di una poesia di Christian Tito

Dalla raccolta Ai nuovi nati, Fiori di Torchio, Seregno 2016

Ho tolto il relitto dal giardino, mamma
impediva all'erba di crescere

questa è la mia casa
qui ci sono i miei figli

ho aperto il cancello e l'ho lasciato andare

E' difficile costruire un cancello,sai?
Ancora più che metterci dietro una casa
che sia la tua casa

senza lavoro non c'è mutuo
ma per questa mia casa
c'è voluto un muto lavoro

è stato quello
che mi ha insegnato a parlare.



La poesia nasce da un momento di sollievo perché l'io del poeta pare essersi liberato di un peso: il relitto che impediva addirittura all'erba di crescere non c'è più, l'io narrante ha forse trovato il modo di metterlo fuori dal cancello ("lasciato andare" è ben detto poiché allude anche a una vita e volontà propria che il relitto ancora possiede). 
Il cancello inizialmente viene mostrato aperto, ma nei versi successivi la situazione sembra ribaltata: il cancello acquista valore per la sua funzione difensiva per casa e figli (il relitto potrebbe anche tornare indietro? qualche altra minaccia potrebbe profilarsi all'orizzonte?). Il cancello passa in primo piano rispetto alla casa stessa, il che fa pensare che la posizione difensiva per l'autore sia molto importante, insomma sia la sua posizione, con un cancello difficile da costruire, una difesa che gli si presenta difficile giorno per giorno.
La poesia aperta dalla leggerezza di quel cancello che si apre e di quella cosa pesante in giardino che esce come in volo, nella seconda parte è piegata da un senso di pesantezza, veicolato dal tema del lavoro, del mutuo, delle fatiche quotidiane.


La chiusa rimanda a una saggezza che il protagonista evidentemente dimostra aver acquisito nel corso di una vita carica di fardelli (il lavoro "muto", che non si lascia sfuggire proteste ma tira avanti in silenzio per tesaurizzare energie; il mutuo, che è un'ipoteca sull'avvenire, un vincolo destinato a durare; quel relitto non meglio identificato che appare all'inizio ma getta la sua ombra sull'intero componimento).* L'unico elemento di forza, l'unica difesa che alla fine pare trovata dall'autore è la parola, che si libera e libera, si libra al di sopra della pesantezza del vivere.


* Un richiamo a un altro episodio di mutismo, quello di Giona nella Bibbia, commentato da Paul Auster: a un certo punto Giona si rifiuta di parlare ("Ora la parola del Signore discese su Giona... Ma Giona si alzò e fuggì dalla presenza del Signore"); nella fuga viene inghiottito da una balena. "... colui che ricerca la solitudine ricerca il silenzio; colui che non parla è solo; solo, fino alla morte stessa (...) Apprendiamo che Giona rimase nel ventre del pesce per tre giorni e tre notti (...) ossia i tre giorni in cui un uomo resta nella sua tomba prima che il corpo si distrugga e quando infine il pesce vomita Giona sulla terraferma, egli è reso alla vita, come se la morte che ha trovato nel ventre dell'animale fosse una preparazione a una vita nuova, una vita che è transitata attraverso la morte, e che dunque alla fine può parlare. Perché è la morte che sgomentandolo gli ha dischiuso le labbra." (L'invenzione della solitudine, Einaudi, Torino 2015, pagg 125-126). In questa poesia di Christian Tito la prova difficile, il passaggio nel regno della morte è dato dall'esperienza lavorativa.


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