domenica 15 giugno 2014

Nuclei libidici

Sono convinta (e non sono la sola) che nelle opere letterarie e artistiche vi siano dei "nuclei libidici", dei centri emotivi nevralgici che rendono attraente il testo sia per lo scrittore sia per i lettori.
Prendiamo in considerazione un autore generalmente considerato molto freddo, Italo Calvino. Nelle Città invisibili (Einaudi, Torino 1972) la fantasia subliminale potrebbe essere quella della donna fatta a pezzi disseminati in ordine sparso. Ai cavalieri inesistenti e ai visconti dimezzati nell'immaginario calviniano ben s'accompagnano le donne invisibili, o meglio le donne multiformi, inafferrabili, evanescenti evocate in uno dei romanzi più sibillini e affascinanti dell'autore in questione. Nel groviglio urbano di un mitico, favoloso impero cinese medievale il filo che si dipana e s'insegue nei vicoli esotici e misteriosi appartiene al gomitolo dell'eterno femminino. Dietro la metafora della città si cela il fantasma della donna.
L'esempio più lampante della stretta parentela fra città e femmina è rappresentato da Zobeide, la città-gomitolo: "Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarono d'inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trovarono ma si trovarono loro; decisero di costruire una città come nel sogno." (p 51). Si trovarono loro, gli uomini; la donna resta separata, a parte. Così in Armilla. Non lontano si trova Armilla, fatta di sole tubature, le cui padrone sono ninfe e naiadi: "Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque". (p 56).

Zobeide si colloca sotto il segno del desiderio, come in fondo tutte le altre, poiché le varie categorie di città (le città e i segni, le città e gli occhi, le città e la memoria, le città nascoste) appartengono alla stessa area semantica: occhi, segni, memoria e mistero sono tracce del desiderio, così come non si scosta di molto da questo terreno tematico l'evocazione della morte e del cielo, quando si parla di città dei morti. Anche le città sotterranee e i cimiteri sono spesso specchio delle città vive e addirittura ne rappresentano un'immagine migliore.
Fin dalla prima città descritta, Diomira, collocata sotto il segno della memoria, ciò che colpisce il viaggiatore è la voce di una donna che si affaccia alla finestra, verso sera, e chiama per la cena. Poi… "Ad Anastasia i desideri si risvegliano tutti insieme e ti circondano." (p 20); "A Cloe addirittura tutti si guardano bramandosi intensamente, ma non si accostano gli uni agli altri e non stringono legami, per non rompere l'incantesimo dell'immaginazione". (p 57).
La città è donna, luogo di promesse, possibilità, scambi, tuttavia sfuggente e frustrante. Un esempio per tutti, Isidora: il viandante pensa a lei per tutta la vita ma vi giunge soltanto da vecchio. "Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone", si osserva riflettendo su Despina. Ogni città si configura quindi essenzialmente come miraggio.
Molte di queste città calviniane sono doppie, ambigue. "Isaura, città dai mille pozzi si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo (…) il suo perimetro verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello visibile." (p 28). Oppure, a proposito di Eusapia, si ricorda: "Dicono che nelle due città gemelle non ci sia più modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti." (p 116). E arriviamo al concetto chiave della Sfinge. "D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge." (p 50).
Tutti questi agglomerati abitativi doppi, poliedrici, enigmatici, interrogativi quale domanda di fondo pongono al viaggiatore? Marco Polo e Kublai Kan su cosa s'interrogano incessantemente? Pare che si chiedano soprattutto: che cos'è la città, che cos'è l'impero? "Se ogni città è una partita a scacchi, il giorno in cui arriverà a conoscerne le regole possiederà finalmente il mio impero…" (p 127) Così Kublai.
Sottesa a tutto il discorso sta la questione della conoscenza e del controllo sul reale: si può conoscere la realtà? Che cosa si conosce?
Dietro questo puzzle dello sterminato territorio imperiale, s'intuisce un grande vuoto, vuoto di potere, di conoscenza, mistero insondabile. Il progetto di Tecla, per esempio, città in perenne costruzione, work in progress, è rappresentato dal firmamento. E poi ci sono Fedora e Zenobia, città risultate molto diverse dai loro modellini originali, lontanissime dall'ideale che avrebbero dovuto rappresentare.
Il quesito della bestia leonina posta a guardia di Tebe si può così riassumere: che cos'è quella cosa che ha quattro gambe e due e tre? Edipo aveva creduto di saper rispondere dicendo: quella cosa è l'uomo, che da piccolo gattona a quattro zampe, finalmente si erge su due gambe e finisce vecchio col bastone. Ma la sua tragedia non farà che ripetergli mille volte crudelmente la stessa domanda a cui si era illuso di poter rispondere: che cos'è allora l'uomo? L'uomo è colui che non deve commettere gli errori di Edipo, questa la morale della favola.
La domanda classica della Sfinge "che cos'è l'uomo?", in virtù della valenza metaforica del testo delle Città invisibili, che ci presenta volti di città femminee e sireniche, si può estendere a un'altra questione classica della psicanalisi: che cos'è la donna?
L'archetipo letterario presente dietro tutte quelle forme parrebbe la fuggitiva Angelica ariostesca, figura del desiderio per eccellenza perché tutti la inseguono e nessuno la raggiunge. L'Angelica dell'Ariosto tuttavia arresta la sua fuga nella posizione materna: si ferma quando incontra Medoro, il ragazzo ferito da curare. Per il poema del Quattrocento verrebbe quindi confermata l'interpretazione freudiana della donna quoad matrem. Una concessione a Freud si trova anche nelle Città invisibili, laddove si dice che dietro a ognuno di questi sogni si perpetua la nostalgia di Venezia, madrepatria di Marco Polo: "Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia…" (p 94).
Tuttavia il corpo femminile (capelli, voce, squama di pesce), senza mai diventare personaggio, è smembrato e nascosto nei vari capitoletti descrittivi lungo tutti gli itinerari del viaggiatore. Cosicché la problematica figura della donna, proprio come l'impero di Kublai, appare in formazione o in disfacimento a seconda dell'umore con cui la si contempla.
E' interessante che questo ricco e variegato materiale immaginario-fantasmatico che ha per tema il femminile non dia corpo, in quest'opera, a un personaggio vero e proprio, per cui alla fine non ci si può rapportare sul serio con lei, la donna. E' un libro, questo d'immagini mutanti e di discorsi ipotetici, privo di trama. Ma la paura dello sminuzzamento è costante in Calvino: il visconte dimezzato viene diviso a metà da una cannonata e il lavoro di ricucitura lo farà un medico; mentre del cavaliere inesistente si dice chiaramente: "Lui no, non era possibile scomporlo in pezzi, smembrarlo…" (I nostri antenati, Mondadori, Milano 1996, p 313). Noi tutti siamo dispersi e frammentati se non c'è qualcuno che con uno sguardo ci riassume in sé. Qui non c'è questo qualcuno. Sull'amore, sul desiderio dello sguardo unificante prevale l'antica forza disgregante del rancore, dell'odio. Qui il dialogo rimane esclusivo fra uomini, Marco Polo e l'imperatore dei tartari, il viaggiatore e il potente. La formula alchemica della moltiplicatio depotenzia l'oggetto mandandolo in frantumi e la donna è una delle tante cose strane da guardare al telescopio perché infinitamente lontana, come la signora rimasta sulla luna nel primo racconto delle Cosmicomiche, La distanza della Luna. La storia di Vhd Vhd è emblematica: una volta compreso che l'uomo amato è innamorato in realtà della luna, decide di confondersi per sempre con la sua superficie.
Pure in altri romanzi calviniani ci s'imbatte nell'immagine della donna frammentata e nascosta. Nel Cavaliere inesistente Bradamante, la donna guerriera, appare la prima volta a Rambaldo mentre fa pipì in un ruscello appartato, con la parte superiore del corpo ancora protetta dall'armatura, elmo compreso. Sentendosi osservata, inviperita, gli tira addosso un pugnale. In Palomar si ha a che fare con una situazione analoga anche se apparentemente opposta: l'uomo-dello-sguardo, Palomar, passa davanti a una donna in topless sulla spiaggia. Continua a osservarla perché gli sembra di non riuscire a farsene un'idea precisa e di non comprendere adeguatamente un'immagine così degna d'interesse e d'ammirazione, finché la bagnante non s'allontana irritata. In realtà cerca di vedere, di capire, ma non mette a fuoco, prendendosela con quella "specie di reggipetto mentale", costruito dalle convenzioni e dai pregiudizi, che in realtà è impossibile togliere. Paradossalmente la donna-corazza e la donna-in-topless sono due facce della stessa medaglia e finiscono per comportarsi allo stesso modo.
Calvino potrebbe essere uno di quegli autori che danno supporto in diverse opere alla celebre affermazione di Lacan: non c'è rapporto sessuale. La donna rimane qualcosa d'incomprensibile. Simile, più che a ogni altra, alla città di nome Ottavia, sospesa con una ragnatela di funi sopra un abisso fra due montagne, o a Bauci, arrampicata su trampoli sottili che la tengono separata dalla Terra.
Eppure non si può dire che una corrente di desiderio non percorra, come abbiamo visto, Le città invisibili e altri testi. La donna c'è ma è sminuzzata in tanti pezzettini.

Pensiamo a un altro testo apparentemente scostante (perché neoavanguardistico, frammentato e altro), Partita di Antonio Porta. Qui il lettore è coinvolto, trascinato, nonostante il continuo scomparire della trama, da una esplicita zoofilia, da una filia dove sono sovrapposte la donna e l'animale (Mastica è qualcosa di simile a una cavalla o a una capra ma più realistica, meno sublimata della landolfiana Gurù della Pietra lunare). Per il Seminario sulla gioventù invece a entrare in gioco con la nostra immaginazione è la bisessualità originaria di ciascuno di noi. 

Le considerazioni su Italo Calvino erano già apparse sulla rivista Costruzioni psicoanalitiche n 10, Franco Angeli, Milano 2005, nell'articolo "Le donne invisibili di Calvino".

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