Sono
convinta (e non sono la sola) che nelle opere letterarie e artistiche vi siano dei "nuclei
libidici", dei centri emotivi nevralgici che rendono attraente il testo
sia per lo scrittore sia per i lettori.
Prendiamo
in considerazione un autore generalmente considerato molto freddo, Italo
Calvino. Nelle Città invisibili (Einaudi,
Torino 1972) la fantasia subliminale potrebbe essere quella della donna fatta a
pezzi disseminati in ordine sparso. Ai cavalieri inesistenti e ai visconti
dimezzati nell'immaginario calviniano ben s'accompagnano le donne invisibili, o meglio le donne
multiformi, inafferrabili, evanescenti evocate in uno dei romanzi più sibillini
e affascinanti dell'autore in questione. Nel groviglio urbano di un mitico,
favoloso impero cinese medievale il filo che si dipana e s'insegue nei vicoli
esotici e misteriosi appartiene al gomitolo dell'eterno femminino. Dietro la
metafora della città si cela il fantasma della donna.
L'esempio
più lampante della stretta parentela fra città e femmina è rappresentato da
Zobeide, la città-gomitolo: "Questo si racconta della sua fondazione:
uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di
notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda.
Sognarono d'inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono
cercando quella città; non la trovarono ma si trovarono loro; decisero di
costruire una città come nel sogno." (p 51). Si trovarono loro, gli
uomini; la donna resta separata, a parte. Così in Armilla. Non
lontano si trova Armilla, fatta di sole tubature, le cui padrone sono
ninfe e naiadi: "Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli
uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini per
ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque". (p 56).
Zobeide
si colloca sotto il segno del desiderio, come in fondo tutte le altre, poiché
le varie categorie di città (le città e i segni, le città e gli occhi, le città
e la memoria, le città nascoste) appartengono alla stessa area semantica:
occhi, segni, memoria e mistero sono tracce del desiderio, così come non si
scosta di molto da questo terreno tematico l'evocazione della morte e del
cielo, quando si parla di città dei morti. Anche le città sotterranee e i cimiteri
sono spesso specchio delle città vive e addirittura ne rappresentano un'immagine migliore.
Fin
dalla prima città descritta, Diomira, collocata sotto il segno della memoria,
ciò che colpisce il viaggiatore è la voce di una donna che si affaccia alla
finestra, verso sera, e chiama per la cena. Poi… "Ad Anastasia i desideri
si risvegliano tutti insieme e ti circondano." (p 20); "A Cloe
addirittura tutti si guardano bramandosi intensamente, ma non si accostano gli
uni agli altri e non stringono legami, per non rompere l'incantesimo
dell'immaginazione". (p 57).
La
città è donna, luogo di promesse, possibilità, scambi, tuttavia sfuggente e
frustrante. Un esempio per tutti, Isidora: il viandante pensa a lei per tutta
la vita ma vi giunge soltanto da vecchio. "Ogni città riceve la sua forma
dal deserto a cui si oppone", si osserva riflettendo su Despina. Ogni
città si configura quindi essenzialmente come miraggio.
Molte
di queste città calviniane sono doppie, ambigue. "Isaura, città dai mille pozzi
si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo (…) il suo perimetro
verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago sepolto, un paesaggio
invisibile condiziona quello visibile." (p 28). Oppure, a proposito di
Eusapia, si ricorda: "Dicono che nelle due città gemelle non ci sia più
modo di sapere quali sono i vivi e quali i morti." (p 116). E arriviamo al
concetto chiave della Sfinge. "D'una città non godi le sette o le
settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda
che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge."
(p 50).
Tutti
questi agglomerati abitativi doppi, poliedrici, enigmatici, interrogativi quale
domanda di fondo pongono al viaggiatore? Marco Polo e Kublai Kan su cosa
s'interrogano incessantemente? Pare che si chiedano soprattutto: che cos'è la
città, che cos'è l'impero? "Se ogni città è una partita a scacchi, il
giorno in cui arriverà a conoscerne le regole possiederà finalmente il mio
impero…" (p 127) Così Kublai.
Sottesa
a tutto il discorso sta la questione della conoscenza e del controllo sul
reale: si può conoscere la realtà? Che cosa si conosce?
Dietro
questo puzzle dello sterminato territorio imperiale, s'intuisce un grande
vuoto, vuoto di potere, di conoscenza, mistero insondabile. Il progetto di
Tecla, per esempio, città in perenne costruzione, work in progress, è
rappresentato dal firmamento. E poi ci sono Fedora e Zenobia, città risultate
molto diverse dai loro modellini originali, lontanissime dall'ideale che
avrebbero dovuto rappresentare.
Il
quesito della bestia leonina posta a guardia di Tebe si può così riassumere:
che cos'è quella cosa che ha quattro gambe e due e tre? Edipo aveva creduto di
saper rispondere dicendo: quella cosa è l'uomo, che da piccolo gattona a quattro
zampe, finalmente si erge su due gambe e finisce vecchio col bastone. Ma la sua
tragedia non farà che ripetergli mille volte crudelmente la stessa domanda a
cui si era illuso di poter rispondere: che cos'è allora l'uomo? L'uomo è colui
che non deve commettere gli errori di Edipo, questa la morale della favola.
La
domanda classica della Sfinge "che cos'è l'uomo?", in virtù della
valenza metaforica del testo delle Città
invisibili, che ci presenta volti di città femminee e sireniche, si può
estendere a un'altra questione classica della psicanalisi: che cos'è la donna?
L'archetipo
letterario presente dietro tutte quelle forme parrebbe la fuggitiva Angelica
ariostesca, figura del desiderio per eccellenza perché tutti la inseguono e
nessuno la raggiunge. L'Angelica dell'Ariosto tuttavia arresta la sua fuga
nella posizione materna: si ferma quando incontra Medoro, il ragazzo ferito da
curare. Per il poema del Quattrocento verrebbe quindi confermata
l'interpretazione freudiana della donna quoad
matrem. Una concessione a Freud si trova anche nelle Città invisibili, laddove si dice che dietro a ognuno di questi
sogni si perpetua la nostalgia di Venezia, madrepatria di Marco Polo:
"Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia…" (p 94).
Tuttavia
il corpo femminile (capelli, voce, squama di pesce), senza mai diventare
personaggio, è smembrato e nascosto nei vari capitoletti descrittivi lungo
tutti gli itinerari del viaggiatore. Cosicché la problematica figura della
donna, proprio come l'impero di Kublai, appare in formazione o in disfacimento
a seconda dell'umore con cui la si contempla.
E'
interessante che questo ricco e variegato materiale immaginario-fantasmatico
che ha per tema il femminile non dia corpo, in quest'opera, a un personaggio
vero e proprio, per cui alla fine non ci si può rapportare sul serio con lei,
la donna. E' un libro, questo d'immagini mutanti e di discorsi ipotetici, privo
di trama. Ma la paura dello sminuzzamento è costante in Calvino: il visconte
dimezzato viene diviso a metà da una cannonata e il lavoro di ricucitura lo
farà un medico; mentre del cavaliere inesistente si dice chiaramente: "Lui
no, non era possibile scomporlo in pezzi, smembrarlo…" (I nostri antenati, Mondadori, Milano
1996, p 313). Noi tutti siamo dispersi e frammentati se non c'è qualcuno che
con uno sguardo ci riassume in sé. Qui non c'è questo qualcuno. Sull'amore, sul
desiderio dello sguardo unificante prevale l'antica forza disgregante del
rancore, dell'odio. Qui il dialogo rimane esclusivo fra uomini, Marco Polo e
l'imperatore dei tartari, il viaggiatore e il potente. La formula alchemica
della moltiplicatio depotenzia
l'oggetto mandandolo in frantumi e la donna è una delle tante cose strane da
guardare al telescopio perché infinitamente lontana, come la signora rimasta
sulla luna nel primo racconto delle Cosmicomiche,
La distanza della Luna. La storia di
Vhd Vhd è emblematica: una volta compreso che l'uomo amato è innamorato in
realtà della luna, decide di confondersi per sempre con la sua superficie.
Pure in
altri romanzi calviniani ci s'imbatte nell'immagine della donna frammentata e
nascosta. Nel Cavaliere inesistente
Bradamante, la donna guerriera, appare la prima volta a Rambaldo mentre fa pipì
in un ruscello appartato, con la parte superiore del corpo ancora protetta
dall'armatura, elmo compreso. Sentendosi osservata, inviperita, gli tira
addosso un pugnale. In Palomar si ha
a che fare con una situazione analoga anche se apparentemente opposta:
l'uomo-dello-sguardo, Palomar, passa davanti a una donna in topless sulla
spiaggia. Continua a osservarla perché gli sembra di non riuscire a farsene
un'idea precisa e di non comprendere adeguatamente un'immagine così degna
d'interesse e d'ammirazione, finché la bagnante non s'allontana irritata. In
realtà cerca di vedere, di capire, ma non mette a fuoco, prendendosela con
quella "specie di reggipetto mentale", costruito dalle convenzioni e
dai pregiudizi, che in realtà è impossibile togliere. Paradossalmente la
donna-corazza e la donna-in-topless sono due facce della stessa medaglia e
finiscono per comportarsi allo stesso modo.
Calvino
potrebbe essere uno di quegli autori che danno supporto in diverse opere alla
celebre affermazione di Lacan: non c'è
rapporto sessuale. La donna rimane qualcosa d'incomprensibile. Simile, più
che a ogni altra, alla città di nome Ottavia, sospesa con una ragnatela di funi
sopra un abisso fra due montagne, o a Bauci, arrampicata su trampoli sottili
che la tengono separata dalla Terra.
Eppure
non si può dire che una corrente di desiderio non percorra, come abbiamo visto,
Le città invisibili e altri testi. La
donna c'è ma è sminuzzata in tanti pezzettini.
Pensiamo
a un altro testo apparentemente scostante (perché neoavanguardistico,
frammentato e altro), Partita di Antonio
Porta. Qui il lettore è coinvolto, trascinato, nonostante il continuo
scomparire della trama, da una esplicita zoofilia, da una filia dove sono sovrapposte la donna e l'animale (Mastica è qualcosa
di simile a una cavalla o a una capra ma più realistica, meno sublimata della
landolfiana Gurù della Pietra lunare).
Per il Seminario sulla gioventù
invece a entrare in gioco con la nostra immaginazione è la bisessualità
originaria di ciascuno di noi.
Le
considerazioni su Italo Calvino erano già apparse sulla rivista Costruzioni
psicoanalitiche n 10, Franco Angeli, Milano 2005, nell'articolo "Le donne invisibili di Calvino".
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