venerdì 3 febbraio 2012

Aurea mediocritas

La mediocrità piace. Perché? Una delle risposte più semplici è questa: perché è aproblematica. Prendiamo per esempio il minisuccesso (mini perché la casa editrice è piccola) di Seventy sex (Transeuropa 2011). Più che un libro trattasi di una "macchinetta di marketing": autrice inventata, quiz fasullo sull'identità dell'autrice che accompagna il lancio, presentazione a Canale 5 intorno al quiz più che al libro, promesse contenute nel nome e nel titolo ampiamente deluse... Sì perché nel titolo si allude a temi scottanti: i tormentati anni settanta e l'erotismo, un bel condensato di complessità, insomma. Invece sugli anni di piombo si glissa alla grande e sulle ambivalenze dell'eros tanto di più, dal momento che è trattato come acqua fresca. Per non parlare poi dello stile: lo pseudonimo alluderebbe addirittura a Joyce... Scavalcate quindi a pie' pari tutte le possibili problematiche vagamente accennate, ci si libra in un bel lancio da talk show, che porterà magari fortuna.

Prendiamo un titolo più serio di Transeuropa: La mente e le rose, Simona Castiglione (2010). Qui si dovrebbe parlare di malattia, tema caro a una lunghissima e ricchissima tradizione letteraria, già presente nel realismo ottocentesco ed enormemente sviluppatosi nel decadentismo, senza considerare l'enorme bagaglio scientifico che ci precede, con la varietà e la particolarità dei casi clinici. Questi raccontini come affrontano l'argomento? Quasi esclusivamente dall'esterno: a un personaggio non funziona più un braccio o una gamba, un altro ha un incidente... Un imprevisto accade e modifica il corso della vita, talvolta persino migliorandola. La malattia ridotta a fatto puntiforme, nessun decorso, nessuna espansione psicologica. Tranquilli, niente guazzabuglio del cuore umano, niente complessità.
Ancora più notevole dal punto di vista della mancanza d'introspezione si presenta Il mio nome è legione di Demetrio Paolin (Transeuropa 2009). L'autore al momento dell'esordio aveva annunciato da qualche parte che il suo libro parlava nientepocodimeno che del Male, proprio così, con la M maiuscola. Un annuncio con tanto di ottoni e il risveglio di un'attenzione da parte di critici e recensori non da poco. Leggendo il libro però scopriamo che un vero e proprio incontro-scambio conoscitivo-esperienza condivisa coi cosiddetti "dannati" non avviene mai. Evocate sì, tante situazioni gravi e mediaticamente risonanti come l'11 settembre, il caso di Novi Ligure e altro; ma nessun dialogo coi cattivi o malati o perversi che siano, nessuna discesa agli inferi. Manca l'immedesimazione nei personaggi "negativi", la loro resa come personaggi. Anzi, piuttosto, parrebbe ricercata una distanza asettica da cui guardare le cose, una posizione nevrotico-ossessiva tesa a mantenere le distanze. Questo Male dunque rimane chiuso in se stesso e lontano; ci lascia come ci trova.

Secondo me saranno famosi.

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