mercoledì 27 agosto 2014

Lotta di classe sul palcoscenico

Conversazione con Lidia Cirillo sui teatri occupati 

R   Lidia, mi rivolgo a te non solo perché hai scritto questo libro sui teatri occupati (Lotta di classe sul palcoscenico, Alegre, Roma 2014), ma anche perché hai conosciuto e vissuto molte storie appartenenti al popolo della sinistra… In questo libro infatti parti da lontano, fai una doverosa premessa storica nel capitolo intitolato "C'era una volta il Novecento" con una digressione sul movimento operaio: "Si è chiamato movimento operaio l'insieme sinergico che in Europa e nel mondo aveva costretto il capitalismo a cambiare per non morire e quell'insieme aveva solo in parte a che fare con una classe. Certo la classe operaia, soprattutto quella dei grandi complessi industriali, era stata il nucleo intorno al quale si era aggregato tutto il resto. Ma il prodotto finale era stata una costruzione storica, socio-politica e culturale molto più ampia e complessa, dai contorni incerti, fortemente differenziata e conflittuale al proprio interno ma appunto sinergica. Essa era composta da una classe di notevole forza strutturale e capace di farsi centro del conflitto sociale; da strutture burocratiche e clientelari, che concedevano agi e poteri ai settori della piccola borghesia più ambiziosi e dinamici; da entità statali con il loro potere economico e militare, da movimenti di liberazione di Paesi colonizzati, interessati a mettersi sotto l'ala protettrice dell'URSS e che talvolta si avventuravano nella creazione di socialismi nazionali più o meno credibili; da intellettuali creativi attratti dai miti progressivi costruiti sulle vicende rivoluzionarie del secolo; da socialdemocrazie che mantenevano aperti gli spazi in cui i rivoluzionari potevano continuare ad agire e da rivoluzionari che punzecchiavano ai fianchi le socialdemocrazie e gli apparati politici, costringendoli a scatti per recuperare i rapporti con la propria base sociale; da mobilitazioni occasionali e da spessi sedimenti organizzativi, da basi elettorali, da compagni di strada e da alleati… Ora gran parte delle componenti di questo insieme o non esiste più o ha mantenuto nomi a cui non corrispondono le stesse realtà del passato oppure ha subìto dinamiche di disaggregazione, che hanno isolato ciascuno dei pezzi residui dell'insieme demolito negli ultimi trenta ingloriosi anni." (p 20-21).
Parti dunque dalla presa d'atto di una profonda disgregazione del tessuto sociale che in passato aveva consentito l'ottenimento d'importanti risultati, conquiste sempre più soggette a erosione in tutti i campi, dal lavoro alla qualità della vita, dai diritti ai beni collettivi. Tuttavia osservi che "un'inedita capacità di autorganizzazione è l'altra faccia della frammentazione e delle sconnessioni del corpo sociale. Si tratta di una capacità non universale e che riguarda alcuni settori e non altri, ma innegabile e conseguenza logica dell'impoverimento dell'ex-piccola borghesia intellettualizzata, delle maggiori quantità di conoscenze di cui si serve il profitto e dell'ampliarsi delle possibilità di comunicazione." (p 23). Con la crisi è il caso di dire che siano iniziati più decisi momenti di risveglio?

martedì 22 luglio 2014

Andare a piedi o in seggiovia

Dev'essere un po' come prendere la seggiovia: staccarsi da terra stando comodamente seduti, con posto singolo però, un posto solo per te; non come in aereo dove ci sono tanti posti. La maggior parte di noi deve compiere a piedi i percorsi in salita, impiegando tempo e fatica per raggiungere la meta. Qualcuno invece improvvisamente si trova in seggiovia, è baciato dalla fortuna, il destino viene mutato miracolosamente per intervento di qualche deus ex machina, il cui nome resta nell'ombra. E' raro che gli scrittori scendano nei particolari di come è avvenuta la loro pubblicazione decisiva, quella che li ha resi famosi. Un giorno il libro appare in libreria e questo è tutto ciò che vi è da sapere. Forse maggiori dettagli emergeranno in una futura biografia in caso di autori passati alla storia.
Ecco, penso che così avvenga per quasi tutti gli scrittori. Improvvisamente pubblicano, sono baciati dalla fortuna. Nessuna parola sul deus ex machina.

Bio in spiccioli

Per estrazione sociale, secondo la definizione marxiana, sarei proletaria, in quanto figlia di lavoratori salariati e io stessa salariata. Loro tuttavia, i genitori, classe lavoratrice agevolata dal boom economico, hanno potuto usufruire di alcuni vantaggi e godere di qualche soddisfazione pure in ambito lavorativo. Io invece, avendo trovato un lavoro che non ha nessuna relazione coi miei studi o col titolo di laurea, ho fatto un passo indietro anziché in avanti, in questo pienamente parte del mio tempo. 

giovedì 17 luglio 2014

Microtraumi

Dei grandi traumi, magari accaduti in epoca remota e infantile, è difficile parlare perché il linguaggio con cui narrarli risulterebbe presumibilmente alterato, sconnesso, lacunoso, minacciato da amnesie e rimozioni, poco razionale, difficilmente referenziale. I grandi traumi si prestano idealmente al racconto spostato, camuffato e deformato della narrativa, dell'invenzione, della "menzogna" letteraria.
Al contrario dei piccoli traumi, di cui forse è costellata la vita di molti, si può parlare in maniera più disinvolta. Il mio piccolo grande trauma dell'età adulta è stato il lavoro. Ebbi un licenziamento, o meglio un'interruzione improvvisa del rapporto di lavoro, emotivamente quasi paragonabile, per come la vissi personalmente, a un licenziamento in tronco, a ventinove anni, dopo due anni che lavoravo stabilmente, continuativamente in una casa editrice. Mi si disse semplicemente che non si aveva più bisogno di me da un momento all'altro. Non ero regolarmente assunta, ma una collaboratrice che si recava in sede tutti i giorni e faceva orario d'ufficio come se fosse assunta allo stesso modo degli altri, fatto un po' anomalo ma non poi tanto se confrontato con la vasta gamma di particolarità offerte dal lavoro irregolare che contraddistingueva l'editoria già nel passato. La mia situazione era sempre stata "appesa a un filo", tuttavia con le speranze tipiche dei giovani pensavo che le cose si sarebbero sistemate col tempo, nonostante avessi assistito pur in quel breve periodo a un caso di licenziamento vero e proprio, e fossi al corrente del fatto che il settore editoriale era già in piena ristrutturazione, con la progressiva esternalizzazione di redattori approdati prematuramente alla pensione o decisi a mettersi in proprio, che avevano costituito services editoriali e continuavano a lavorare a pieno ritmo con l'azienda. Anni novanta.

domenica 29 giugno 2014

Nipotine di Virginia

Si tende a dire che le scrittrici sono meno sperimentali degli scrittori, per costituzione (femminile) più conservatrici, meno portate all'esplorazione, all'avventura, al nuovo. C'è del vero, per questioni antropologiche e storiche.
Non mancano tuttavia le eccezioni, come quella della celebre Virginia.
Mi è già capitato, su questo sito e altrove, di citare per gli aspetti sperimentali Marosia Castaldi (nel post Inventio) e il brillante caso della giovane Heather Mc Gowan (nel post Splendidi tessuti).
Inoltre, felice scoperta, sfogliando le opere delle ultime generazioni (italiane!) mi è capitato d'imbattermi nella notevole originalità stilistica di Emmanuela Carbé. (Mi scuso con le autrici che non ho letto, che non mi è accaduto d'incrociare mai su riviste, antologie o nella grande e dispersiva rete, autrici che sicuramente esistono, stanno sperimentando, stanno lavorando magari con risultati interessanti ma che nessuno o pochi sono arrivati a conoscere.) Si sarebbe detto che, soprattutto a causa del potente influsso conformistico del mercato editoriale, oltre che per la situazione storica di particolare stallo, immobilismo, riflusso, gli ultimi decenni non avrebbero potuto produrre grande innovazione. Invece qualche fermento c'è, magari non proprio sotto i riflettori offerti dalle maggiori case editrici, come dimostra l'ampia e articolata antologia La terra della prosa, curata da Andrea Cortellessa e uscita per i tipi dell'Orma (Roma 2014), che pesca abbondantemente da medi e piccoli editori.

domenica 15 giugno 2014

Nuclei libidici

Sono convinta (e non sono la sola) che nelle opere letterarie e artistiche vi siano dei "nuclei libidici", dei centri emotivi nevralgici che rendono attraente il testo sia per lo scrittore sia per i lettori.
Prendiamo in considerazione un autore generalmente considerato molto freddo, Italo Calvino. Nelle Città invisibili (Einaudi, Torino 1972) la fantasia subliminale potrebbe essere quella della donna fatta a pezzi disseminati in ordine sparso. Ai cavalieri inesistenti e ai visconti dimezzati nell'immaginario calviniano ben s'accompagnano le donne invisibili, o meglio le donne multiformi, inafferrabili, evanescenti evocate in uno dei romanzi più sibillini e affascinanti dell'autore in questione. Nel groviglio urbano di un mitico, favoloso impero cinese medievale il filo che si dipana e s'insegue nei vicoli esotici e misteriosi appartiene al gomitolo dell'eterno femminino. Dietro la metafora della città si cela il fantasma della donna.
L'esempio più lampante della stretta parentela fra città e femmina è rappresentato da Zobeide, la città-gomitolo: "Questo si racconta della sua fondazione: uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale, videro una donna correre di notte per una città sconosciuta, da dietro, coi capelli lunghi, ed era nuda. Sognarono d'inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trovarono ma si trovarono loro; decisero di costruire una città come nel sogno." (p 51). Si trovarono loro, gli uomini; la donna resta separata, a parte. Così in Armilla. Non lontano si trova Armilla, fatta di sole tubature, le cui padrone sono ninfe e naiadi: "Può darsi che la loro invasione abbia scacciato gli uomini, o può darsi che Armilla sia stata costruita dagli uomini per ingraziarsi le ninfe offese per la manomissione delle acque". (p 56).

martedì 3 giugno 2014

Il romanzo sperimentale col senno di poi

Se pensiamo ad alcune eminenti espressioni del romanzo sperimentale anni sessanta, recentemente rievocato e riattraversato da letture critiche nel ricco volume Gruppo 63. Il romanzo sperimentale. Col senno di poi (L'orma editore, Roma 2013), per esempio a Hilarotragoedia di Manganelli, Partita di Antonio Porta o Tristano di Balestrini, osserviamo che tendevano a privilegiare, per molti validi motivi in quel periodo storico, una posizione scissa, schizoide, violentemente frammentata del narrare e dello scrivere. 
L'esempio estremo di rottura è offerto dalle opere e dalle osservazioni di Giorgio Manganelli, che hanno l'aggressività e la virulenza in qualche caso di veri e propri attacchi al legame, o attacchi al seno (al seno-romanzo e al seno-fiaba*), se vogliamo usare una terminologia psicanalitica. Si legga quest'osservazione di Fausto Curi riportata a p 245: "... l'oltranza della scrittura in Manganelli  ha una profonda radice psicologica e biologica, una violenza vitale e mortuaria. Manganelli scrive per vendicarsi, le impennate, gli attorcigliamenti, gli ingorghi del linguaggio hanno qualcosa di acre e di furente, la pagina è insaziatamente amara, cinicamente compiaciuta." 

venerdì 30 maggio 2014

Dialogo su un romanzo puzzle game e altri esperimenti

Intervista a Mariano Bargellini

- So che stai lavorando a un nuovo romanzo. Vuoi dire qualcosa su questo testo che definisci puzzle game?
L’oggetto infinito è un romanzo puzzle game. In senso metaforico e letterale. Anche alla lettera, in quanto che il fabulatore e personaggio della storia, a seguito di un escamotage si direbbe onirico, e dell’annuncio recatogli da Antony Charon, lo scimpanzé sapiente della televisione, il teledivo dell’aperitivo, quasi stesse sognando cade nella trappola di un puzzle game, di cui ignora le regole i meccanismi le leggi. Si trova di colpo, forse prigioniero, in una casa del Sonno e del Silenzio, che lui riconosce: è la casa-labirinto della fanciullezza, arredata come allora e con vestigia recenti degli antichi inquilini, ma deserta e semibuia. L’intero palazzo, oggi assediato da una nebbia fittissima, parrebbe disabitato. E la città stessa, deserta: una Milano-fantasma. Egli s’aggira, ombra di sogno, anzi persona di puntini elettronici, ente digitale, avatar del giocatore sconosciuto alla console per corridoi e stanze di un Labirinto senza uscita, e senza Minotauro. Salvo che il Minotauro, cioè l’avversario computerizzato di questo videogioco, non sia lo scimpanzé parlante, il testimonial dell’aperitivo: Toni Caronte, il suo contubernale di reclusorio-incantesimo. Il quale, sorta di Frégoli, cambia d’abito e di ruolo per tre volte. Di teologo e in veste talare, per esempio, si cambia in predicatore della rivoluzione neofuturista, vestito alla futurBalla. Oltre a questi due personaggi, e ai loro dialoghi subito declamati e voltatisi in controversia, dialoghi da teatro della sorpresa del grottesco e dell’assurdo, risuona talvolta nel teatro vuoto e quasi buio la voce del giocatore e fabulatore invisibile seduto alla console. Continui i colpi di scena. L’ultimo, a suo modo risolutivo, conclude brutalmente L’oggetto infinito, romanzo labirintico neo-novecentista.

mercoledì 21 maggio 2014

Il postmoderno sotto il vetrino

In un Quaderno di critica dal titolo Volponi e la scrittura materialistica, autori F. Bettini, M. Carlino, A. Mastropasqua, F. Muzzioli, G. Patrizi (Lithos, Roma 1995), ho trovato una frase illuminante: "...affermare la possibilità dell'avanguardia nella teoria e nella prassi, e la sua stringente attualità come strumento e luogo di opposizione e di polemica, atto a contrastare nello specifico, resistendogli e demistificandolo, il falso ecumenismo con il quale l'ideologia del postmoderno copre la sua resa alla brutalità dell'esistente." (p 18)

giovedì 8 maggio 2014

Reddito universale vs difesa posti di lavoro in settori in declino

A proposito del dibattito emerso intorno al 1° maggio su reddito di cittadinanza vs difesa del posto di lavoro in settori di produzione in declino, ecco che si potrebbe aprire un campo vastissimo di azione per molti operatori della conoscenza, tutto un lavoro educativo ad ampio spettro tale da convertire un'istruzione in larga misura finalizzata strettamente al lavoro per la maggioranza della popolazione, fino a poco tempo fa destinata a vite di lavoro in fabbrica o negli uffici con giornate intere prive di tempo libero, a un'educazione a lavorare sul proprio tempo, cioè a trasformare l'ozio in creatività. Ciò che spaventa molte persone, oltre ai problemi concreti di sopravvivenza legati al baratro che si apre attualmente per i senza-lavoro in una società abituata a fare dei disoccupati solamente un esercito di riserva per tenere bassi i costi del lavoro o da utilizzare nel lavoro sommerso o nel largo giro degli affari illeciti, è anche il vuoto del tempo libero, l'angoscia che può sommergere chi si trovi improvvisamente di fronte a cambiamenti radicali di vita e di abitudini con molte ore prive di occupazione. Invece di un'educazione finalizzata al lavoro, un'educazione in sostanza a stare rinchiusi lunghe ore in luoghi coercizionari, a stare al proprio posto, a ripetere a memoria le lezioni, a recepire passivamente le nozioni, a vivere con le orecchie tappate, con una sensibilità ridotta e quindi più adatta allo sfruttamento, come direbbe Adorno nella Dialettica dell'illuminismo (ai lavoratori-rematori compagni di Ulisse sono state tappate le orecchie affinché non odano il canto delle sirene; cfr anche mio post su questo sito http://voltandopagine.blogspot.it/2013/10/il-canto-delle-sirene.html) ci sarebbe tutta un'altra prospettiva da mostrare: il vasto mondo dell'arte e della cultura, finora rimasto in larga misura inaccessibile a chi non poteva permettersi di non lavorare. C'è tutta una mentalità da cambiare, tutta un'educazione da rifare; discorso che vale a cominciare da noi stessi.

venerdì 2 maggio 2014

L'ultimo romanzo di Luigi Di Ruscio

A tre anni dalla morte dell'autore, i romanzi di Luigi Di Ruscio approdano finalmente a un editore importante, Feltrinelli, che raccoglie in un'unica edizione i maggiori testi in prosa, Di Ruscio. Romanzi (Milano 2014).
Fin dal titolo, Neve nera (ancora più esplicito nella prima edizione, Ediesse 2010: La neve nera di Oslo),  il terzo romanzo contenuto nel volume si presenta come il libro in prosa che maggiormente dovrebbe essere incentrato sul tema del lavoro in fabbrica, luogo dove lo scrittore effettivamente fu occupato per trentasette anni dopo l'emigrazione in Norvegia. Lo è ma con scatti e puntualizzazioni anche ribelli, di chi capisce di non poter essere incasellato o inumato in una posizione troppo circoscritta, com'era già avvenuto in passato per le poesie neorealiste: "Catalogato come ero tra i poeti operai però sono anche bipede, sono anche cerebrale avendo anche un cervello, sono planetario abitando un pianeta galattico, abitando in una galassia e sono l'operaio più circondato da barattoli Cirio di tutta la storia della rivoluzione industriale del mondo intero." (p 400)