mercoledì 27 gennaio 2016

L'amara invettiva di Francesco Maino

Cartongesso di Francesco Maino (Einaudi, Torino 2014): ecco un romanzo di quelli che hanno il fuoco dentro. Questo fuoco è la rabbia, una furia polemica che colpisce a raffica la categoria degli avvocati, di cui il protagonista narratore fa parte, il suo ambiente, la cittadinanza, i politici locali, la piega che ha preso la politica negli ultimi decenni, in modo particolare nella regione Veneto ma in generale nell'Italia tutta, chiamata qui spesso e volentieri Itaglia, con allusione alla sua ignoranza atavica, alla sua degenerazione totale.
Il protagonista ci fa sapere fin da subito che, collaterali alla sua principale attività lavorativa, ha svolto altri lavori al fine della sopravvivenza fisica e morale, tipo l'aiuto-becchino. Questa comparsa, nelle prime pagine della morte vista in faccia, ci introduce in un contesto angoscioso e tragico.
Durante il romanzo il protagonista, la morte, la invocherà addirittura, per sé o per altri, talmente gli pare pesante la situazione che deve sopportare giorno dopo giorno immerso in una realtà che lo disgusta.
Innanzitutto veniamo a sapere che nella sua professione di avvocato, combatte battaglie non sue e ha già perso invece la sua propria guerra. Combatte sostanzialmente per far avere permessi di soggiorno ai clandestini con diritto: "Litigo furiosamente per un niente, non credo in niente, mi batto per qualcosa che non so, per un tutto che si chiama e si dice laleggeèugualepertutti (…) con coraggio costituzionale, credo, con il mio stile rabbioso, senza scorciatoie, a viso aperto, poche parole, parole franche, a mani nude, ardito sui generis, a modo mio. Avvocato analfabeta di prima linea, ragazzo della Piave, senza lesinare energie, senza furbizia precoce, senza elmetto, mi conquisto tre (3) foglie dignitose messe insieme e ricevute dai clienti irregolari o clandestini, i soldi del soldato…" (p 38). Oppure combatte per farli uscire, quando possibile, da un carcere-tortura orrendo, com'è a quanto pare il carcere ai giorni nostri. "Il sistema penitenziario è la dimostrazione precisa che la pena detentiva ha fallito. Esso produce e conserva odio, spirito vendicativo, frustrazione, cattiveria primitiva. Non ha alcuna efficacia riabilitativa, non punta a evitare recidive. Punta a rinforzare gli assassini. Rincuorare le merde. (…) Le carceri sono tritacarni arrugginiti, solo che il macinato che se ne ricava è, per l'appunto, un macinato umano di cui la macelleria Zottarel non riuscirebbe a piazzare un solo etto nemmeno tra i cannibali più affamati della terra. (…) Io, stringi stringi, sto dalla parte dei detenuti per partito preso, mi sento come loro, son come loro (…) Il reato che hanno commesso è quello che penso di poter compiere anch'io, un giorno o l'altro, non tra molto, sono ladro in potenza, assassino in potenza, ladro per fame, assassino per giustizia." (p 102).

domenica 17 gennaio 2016

Vengo anch'io! No tu no

"Vengo anch'io! No tu no! E perché? Perché no!" diceva una famosa canzone. Non c'è un motivo preciso e ce ne sono tanti: è il potere. Il potere esclude.
Viviamo all’interno di oligarchie occidentali, non di democrazie (cfr Sabino Cassese a proposito della Costituzione italiana). E’ una menzogna asserire che ognuno può diventare ciò che vuole. I cosiddetti “ascensori sociali” dei decenni trascorsi contano sempre meno in questo momento storico. Conta di più quel che si è di quel che si fa. Piccoli frammenti, dichiarazioni marginali di personaggi affermati vengono trattati come oro colato mentre esperienze significative, lavori approfonditi di persone che non hanno un nome vengono ignorati. C'è una netta linea di demarcazione fra chi ha un lavoro e chi no, chi pubblica e chi no, chi fa parte e chi non fa parte. Viene salutato con entusiasmo il riconoscimento una tantum di un individuo poco noto da parte di un personaggio famoso (è questo il più delle volte l’unico fattore in campo letterario, così come nel mondo dello spettacolo, a quanto si dice, che può cambiare la sorte: la decisione personalissima di un appartenente alla categoria degli aventi successo) e questo viene portato a esempio del fatto che tutto può succedere, i sogni di chiunque possono realizzarsi.

lunedì 28 dicembre 2015

Genti a cartapesta di Fabio Greco, un romanzo meritevole e ancora inedito

Un estratto

E anzi, girando lo sguardo verso l’orizzonte, verso quel confondersi di mare a cielo e cielo a mare, verso i gabbiani che volteggiavano eleganti, gli parve che dall’isola, anziché la malasorte, gli arrivasse in quel momento una buonasorte anzi una buonissima sorte camuffata da donna, un donnone salentino, donnone inteso per altezza e larghezza, un’erculona tanta, boterosa, con spalle larghe, larghi i fianchi, larghissime cosce e petto assai, che s’appressò alla costa da dietro all’isola delle Pazze. Masello la vide sbucare al remo d’una barchettina mezz’affondata con la linea di galleggiamento a livello sponda, un’eccezione a qualsiasi legge fisica, che c’era da chiedersi come potesse quella barchetta di legno, esile e fradicia, sostenere tutta quella massa senza sprofondare, come potesse non incamerare acqua a ogni beccheggio, a ogni ondata, a ogni movimento di braccio e di spinta di remo, pericolosamente s’inclinava pelo pelo all’acqua, s’inchinava al mare e all’onda e subitamente si rialzava, ripigliava contegno per poi prostrarsi dall’altro lato e ripigliare posizione una volta ancora, a farci venire in mente a Masello quei pupi da prendere a pugni che ritrovano sempre l’equilibrio. Da lontano pareva sissignore una balena, non a modo di dire grossa come una balena, cicciona come una balena, grassa come una balena, proprio una balena vera, pareva un dorso di balena che faceva il paio con quel dorso di balena ch’era l’isola delle Pazze, forse un po’ più piccola, un’infante di balena al seguito della balena madre, e la cingeva torno torno, le faceva il giro e il rigiro in cerca della mammella, la barchetta navigava come un vaporetto trascinata dal ritmo della remata, tagliò quel latte ch’era diventato il mare, intra un’unica linea di nero, la barca avanzava a sobbalzi e sovvertimenti, emergeva la prua con quel suo nome pittato, Mariabbondanza, si sganciava dall’acqua e ricadeva, pareva fosse la barchetta a farci tutta la fatica, a sbuffare e crocchiare intra a quel cambio di fase tra acqua e aria, a darsi la spinta e lo sforzo per sfuggire all’onda: Masello se l’osservò quella barca e quella donna, a mezza voce mormorò, Ma che ci starà a pescare la Mariabbondanza? senza sapere che nominando la barca diede pure nome alla donna – se ne stava sopra alla barchetta con le anche aperte per tenere l’equilibrio e, a ripetizione, come pigliata da un astio contro l’acqua marina, gettava le reti e le ritirava a bordo. A Masello, quel nome gli faceva una tavolozza di colori intra alla capo, un quadro a meraviglia si faceva, se l’azzuccherava a destra e a manca, s’accavallavano pensieri che partivano dal suono che faceva quel nome, quasi sentiva una musichetta a pronunciarlo, a scivolare su quella legatura tra nome e opulenza, Mariabbondanza, che pigliava la rincorsa all’inizio della parola e poi si lasciava trasportare fino alla fine, come fare un salto e ricadere, a una a una unì altre parolette per assonanza, Mariabbondanza/ ci chiudemmo intra alla stanza/ ti spogliai con crianza/ tutta culo tetta e panza/ tu m’attizzi Mariabbondanza e sebbene ancora non la conoscesse di persona, già gli faceva il rimbambimento d’innamorato, una con quel nome, che da sola se ne andava per mare, che donna era questa donna, a sé stessa bastante, la Mariabbondanza? Gli era talmente familiare e reale e presente intra a se stesso che si convinse fosse, non già uguale, ma molto simile a una statua di madonna che aveva fatto l’anno prima, quasi che n’avesse fatta prima la statua e poi la persona, quasi l’avesse immaginata prima ancora d’incontrarla.

sabato 12 dicembre 2015

Il comunismo e l'arca di Noè

Mi rincuora leggere questo brano nel libro Oltre la gabbia d'acciaio di Gianfranco La Grassa e Costanzo Preve (ed. Vangelista, Milano 1994); mi pare sempre attuale e particolarmente natalizio. Scrive Costanzo Preve all'inizio della parte intitolata "Marxismo e filosofia alla svolta del duemila": "La sconfitta del comunismo storico novecentesco, consumatasi nel triennio 1989-1991, è stata immediatamente interpretata dagli apologeti del capitalismo come fine della storia e come affermazione di una modernità postmoderna, cioè di una modernità ormai rassegnata a riprodurre indefinitamente le proprie contraddizioni, rinunciando definitivamente ai sogni di emancipazione. La teoria della fine della storia è infatti la specifica filosofia della storia della postmodernità.
I marxisti escono da questa vicenda come un pugile sconfitto sul ring. Ancora intontiti per i colpi ricevuti, non hanno certo la capacità di progettare futuri incontri, ma hanno soltanto la forza di ritornare al proprio angolo, mentre l'arbitro solleva il pugno del vincitore. In realtà, questa immagine è fuorviante. Il vincitore ha dovuto drogarsi per riportare la sua effimera vittoria e l'antidoping lo squalificherà. Per riportare questa vittoria sul comunismo storico novecentesco (usiamo questa espressione perché sia ben chiaro che non identifichiamo questo comunismo con il progetto di Marx!), infatti, il capitalismo si è drogato con le spese militari, con la speculazione finanziaria, con lo stravolgimento integrale della cultura attraverso i media, con l'impoverimento selvaggio e scandaloso dei paesi oppressi dall'imperialismo. E' allora bene passare ad un'altra immagine. Il comunismo ci sembra oggi somigliare a Noè, ai suoi figli e agli animali che portava con sé (cioè, fuor di metafora, alla natura che occorre salvaguardare e salvare), che escono tutti dall'arca dopo il diluvio, e che hanno salvato però l'essenziale per ripopolare la terra…" (p 119).

mercoledì 9 dicembre 2015

Un postinferno e un mondo assorbito nell'increato

Perché ho voluto cimentarmi nella lettura delle oltre mille pagine degli Increati di Moresco (Mondadori, Milano 2015)? M'interessano gli scritti che parlano di altri regni: catabasi nel regno dei morti, utopie, alcuni testi di fantascienza. Come spesso accade per i libri di fantascienza, per le utopie o per le (rare) catabasi, vi si individuano sottotraccia alcuni lineamenti della nostra società, mascherati, da decifrare. Questo è uno dei motivi per cui non mi porrò di fronte all'ultimo libro di Moresco nell'ottica di un inquadramento o di un'opinione estetico-letteraria; m'interessa bensì considerarlo come segno dei tempi (elaborazione simbolica del periodo storico in cui stiamo vivendo).
La realtà infera coglie senza troppi preamboli il narratore protagonista così come il lettore fin dalle prime pagine. Viene chiaramente esplicitato che il protagonista è morto e la coltre caliginosa, nebbiosa, piovosa, nevosa che avvolge tutto si colloca nella tradizione letteraria delle visioni degli inferi.
Qui però la veste cupa è double-face, dal momento che a un certo punto si rivela fatta di sperma centrifugato da forze cosmiche  e, più precisamente, da un coito collettivo ininterrotto e diffuso ovunque fra morti, risorti e immortali. La realtà mortale/mortifera è subito contraddetta da numerosi contrappesi erotici (pioggia e fiume di sperma, neve seminale, amore imperituro fra i due personaggi principali del narratore-protagonista e della Pesca, ripetuti ritorni a scene dell'infanzia e così via) che accompagnano ogni passo della catabasi, quasi per un bisogno molto intenso (emotivo, affettivo, mentale) di negare il brutto di ciò di cui si sta parlando. Scheletro teorico del testo (almeno fino a un certo punto) è l'idea antica, ma tuttora appartenente a diverse religioni orientali, del tempo circolare: l'eterno ritorno, le reincarnazioni, l'inesistenza della morte. Tutte le nostre preoccupazioni in materia sono ridicole (su tutto questo la cosa più normale da farsi è infatti una bella risata: " 'I morti ridono?' 'Sì, ridono. E' così che accolgono i nuovi morti.' 'Ma perché ridono?' 'Ridono perché ormai sanno cosa succede dopo. Perché sanno che la morte non c'è, non c'è mai stata...' " p 17). Nella vita oltre la morte come nella vita di prima, di prima della nascita, come durante la nostra vita vivente di corpi materiali, tutto rimane uguale, pure la presenza dei corpi, la bellezza, la giovinezza, i sentimenti, il sesso.
Lo stesso stile dell'opera ricalca lo stile oracolare, oscuro, ambiguo di molti testi sacri, il quale rimanda ripetutamente al concetto della coincidenza degli opposti ed è qui come là impregnato di ossimori: la vitamorte, il primadopo, luci nere, i morti dentro la vita, i vivi dentro la morte ecc. A mo' d'esempio riporto una dichiarazione dello scrittore Antonio Moresco sulla sua stessa opera, inserita a p 823, nello stile sapienziale di chi sa qualcosa che altri non sanno e nello stesso tempo si esprime in modo oscuro (la lunga citazione è riportata in nota *).

mercoledì 2 dicembre 2015

Sul settarismo

Ritengo legittimo che amici, conoscenti, scriventi che conosco leggano, frequentino e sostengano chi magari non piace a me, e possano non avere un giudizio positivo di tutto quello che dico, penso o scrivo. Può accadere che non abbiamo esattamente le stesse idee con tutte le loro sfumature così come possono stare antipatiche persone diverse, non per forza identiche per tutti. Mi sembra normale che sia così. Trovo incredibile che alcuni abbiano la pretesa che venga accolto come oro colato tutto quello che dicono e che gli altri esprimano i loro medesimi giudizi su tutto, compresi autori o critici da stimare o da disprezzare, da leggere o no, da frequentare o da escludere. Per quella che è la mia esperienza, il settarismo, forse residuo di antichi campanilismi e consuetudini di un lungo Medioevo, è discretamente diffuso. In ogni caso, non mi ci riconosco. Presumo di non essere né gregaria né settaria. Leggo anche testi d'autori che mi sono personalmente antipatici.

venerdì 13 novembre 2015

Dialogo su Giocare a mangiarsi con l'autore Mariano Bargellini

R.S. Quali suggestioni letterarie hanno avviato il motore della fabula di questo romanzo sugli insetti digitali di un videogioco, traboccati dagli schermi, inspiegabilmente, nella realtà? Come non pensare (ma forse è fin troppo facile e semplicistico e vago: dunque fuorviante) a La metamorfosi di Kafka…

M.B. Di fatto, La metamorfosi di Kafka, per quello che io ne so, è il primo ed è rimasto, fino ad oggi, l’unico esempio di metamorfosi in insetto della letteratura. Ivi inclusa la fiaba di magia. La storia di Gregor Samsa, ciò detto, non ha in verità proprio niente in comune con questa di Giocare a mangiarsi. Qui la classica (ma del tutto nuova) perdita del sembiante umano ha delle modalità delle cause una cornice ed un senso (o meglio dei sensi) alquanto diversi. In primo luogo: la iattura, temporanea o definitiva, qui riguarda non già una persona, il protagonista del racconto, ma tutti. Secondariamente, causa del fenomeno da incubo è un videogioco. E ancora, che tale fenomeno, cioè la metamorfosi del giocatore nel proprio avatar entomologico: alter ego il più alieno dall’umanità e maschera da idolo di un computer game nefasto; sia una minaccia incombente ogni giorno sopra di te, e poi, a un tratto, ti piombi addosso davvero, iattura paventata inspiegabile e inaudita, è denegato dai più. Addirittura dalla maggioranza. Forse da tutti, escluso il fabulatore. E per concludere: Giocare a mangiarsi, quanto al suo carattere, si presenta come una storia comica e quanto al genere come un romanzo fantascientifico satirico. Tranne il finale, repentino e catastrofico. La metamorfosi di Kafka è una catastrofe, vuoi figurale vuoi esistenziale, dalla prima all’ultima riga.

R.S. Tu però sei solito affermare che la lezione di Kafka è stata fondamentale per te. Se ce lo spiegassi, e lo mettessi in chiaro, ora, una volta per tutte…?

martedì 10 novembre 2015

Bio in spiccioli

Esperienza di vita. E' triste ammetterlo, ma, per quella che è la mia esperienza, chi possiede una qualche forma di potere viene rispettato; chi non ne ha neanche una briciola viene ignorato e talvolta pure calpestato.

sabato 31 ottobre 2015

Lo strano caso dei romanzi scritti in forma ottocentesca

Potrebbe trattarsi di una mia ossessione, potrebbe darsi che la mia antipatia per la terza persona narrativa contenga qualche aspetto nevrotico. Me ne assumo la responsabilità o l'irresponsabilità, se preferite.
Il fatto ha dell'incredibile per me. Definirlo strano è un eufemismo (ma bisogna avere il riguardo di non urtare la suscettibilità dei conformisti: questa sarebbe la regola generale del quieto vivere da rispettare sempre). 
Non finisce di stupirmi che si continuino a leggere libri che paiono scritti nell'Ottocento con l'obiettivo del fotografo-scienziato-documentarista-sociologo puntato sulla scena da cui il narratore rimane asetticamente escluso, quasi si trovasse in un empireo astratto e irrelato. Questo è l'empireo dei conformisti incontestabili, cioè lo status quo in cui il potere esercita la sua tradizionale pacifica influenza. Determinismo-positivismo come cornice di un potere immodificabile.
I corsi e ricorsi della storia non dovrebbero costituire una novità per nessuno. Perché dunque meravigliarsi del fatto che viviamo in un'epoca di Restaurazione? Gli anni Sessanta e Settanta furono più sbilanciati nel movimento, nell'innovazione, nella contestazione, nel cambiamento, nella sperimentazione e ora ci tocca (ma già da troppo tempo) l'esatto contrario. Non è giunto il momento di cambiare?

venerdì 28 agosto 2015

Romanzi che dovresti conoscere

A dispetto dello spirito critico, a torto o a ragione fagocitante vari aspetti della mia vita, devo riconoscere che diversi romanzi e racconti italiani di autori contemporanei, e perfino coetanei, mi sono piaciuti, nonostante il fatto che dopo il 1995 probabilmente ci sia stato un peggioramento della qualità letteraria delle opere pubblicate. Sarà vero? A volte si sente dire ma probabilmente non ho letto abbastanza volumi per esprimere una mia opinione. E' possibile che la cesura sia costituita dalla comparsa culturaleditoriale dei Cannibali (l'antologia einaudiana Gioventù cannibale è del 1996), tuttavia...
Avendo più di una volta espresso la mia perplessità a proposito del contesto editoriale che ci circonda, mi pare giusto segnalare almeno alcuni testi a mio avviso riusciti, scusandomi per le dimenticanze o le mancate letture.

In ordine cronologico

Silvia Ballestra, Gli orsi, Feltrinelli 1996: per la comicità intelligente
Simona Vinci, Dei bambini non si sa niente, Einaudi 1997: per la spregiudicatezza nel parlare della sessualità infantile
Antonio Moresco, Gli esordi, Feltrinelli 1998: per l'interiorizzazione della storia contemporanea e perché romanzo di formazione negato
Rosa Matteucci, Lourdes, Adelphi 1998: per il lavoro sulla lingua e la comicità intelligente
Elena Stancanelli, Benzina, Einaudi 1998: per la spregiudicatezza della trama
Antonio Rezza, Ti squamo, Bompiani 1999: per l'immaginazione
Marosia Castaldi, Per quante vite, Feltrinelli 1999: per la dimensione surreale
Tommaso Pincio, Lo spazio sfinito, Fanucci 2000: per la dimensione surreale
Luca Doninelli, La mano, Garzanti 2001: per il procedere per libere associazioni
Christian Raimo, Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro?, minimum fax 2004: per l'intreccio fra discorso diretto e flusso di coscienza
Luca Rastello, Piove all'insù, Boringhieri 2006: per l'interiorizzazione della storia contemporanea
Ornela Vorpsi, Vetri rosa, nottetempo 2006: per la spregiudicatezza nel parlare della sessualità infantile
Mariano Baino, L'uomo avanzato, Le Lettere 2008: per l'assenza di trama e il flusso mentale
Giorgio Vasta, Il tempo materiale, minimum fax 2008: per l'immaginazione
Luca Ricci, La persecuzione del rigorista, Einaudi 2008: per l'originalità della trama
Gherardo Bortolotti, Tecniche di basso livello, Lavieri 2009: per il vago sperimentalismo
Giorgio Falco, L'ubicazione del bene, Einaudi 2009: per l'interiorizzazione della storia contemporanea
Lucio Klobas, Anni luce, Effigie 2010: per il vago sperimentalismo
Luigi Di Ruscio, Cristi polverizzati, Le Lettere 2010: per l'interiorizzazione della storia contemporanea e il lavoro sulla lingua 
Roberto Pusiol, Ritratto di Edi Tonon gerontolescente, Transeuropa 2010: per la comicità intelligente
Emmanuela Carbé, Mio salmone domestico, Laterza 2013: per il vago sperimentalismo e la dimensione surreale
Francesco Maino, Cartongesso, Einaudi, Torino 2014: per la verità sociale e la verve polemica
Gilda Policastro, Cella, Marsilio 2015: per il flusso di coscienza sincopato e la resa della situazione claustrofiliaca
Mariano Bargellini, Giocare a mangiarsi, Effigie 2015: per il lavoro sulla lingua e l'immaginazione

Nota
In diversi di questi romanzi e racconti ho apprezzato soprattutto la tensione stilistica.

giovedì 25 giugno 2015

Il sonno dei giusti

la gatta imprigionata nell'armadio, la gatta furiosa nell'angolo dell'armadio, la gatta occhio stravolto, verde tagliato di giallo, limoncina, pantera gialloverde rotante impazzita imbizzarrita
biglie lanciate nel vuoto: dal settimo cielo… planava un po' con la pelle… la pelle che diventava ali, ali di un animale brutto e sgraziato come un pipistrello… l'animale che quasi si trasformava in un altro animale per salvarsi…
l'occhio ansimante furtivo cercava nel vuoto, mi cercava, la cagnagatta furiosa, mi spiava. E io la capivo: in fondo sapevo già di...
di dormire non c'è verso… tanto vale cercare di buttare giù quel pezzo che devo scrivere…
quello che si deve superare… è quasi impossibile la sfida della crescita umana: il divincolarsi e l'emanciparsi completo dallo psichismo infantile, così carico di sadismo… l'imprescindibile attaccamento alla madre, l'odiosamata… il doloroso sviluppo di una cosa così abnorme come il cervello umano (con le sue stupefacenti capacità di consapevolezza, immaginazione e compassione in un universo fatto di pietre) Con un cervello così sviluppato, verrebbe da chiedersi come fanno a cessare le cure parentali…