domenica 3 dicembre 2023

Bookcity

Olio di gomito per pulire gli elementi della cucina, poi di corsa a un evento pomeridiano di Bookcity. Quest'anno forse riesco a seguirne due o tre, anche se me ne ero prefissa cinque o sei.

Nel grande teatro del centro la sala principale è dedicata alla presentazione di un romanzo storico-rosa che sta spopolando. È difficile entrare per la ressa: una moltitudine di ragazze in coda per farsi firmare le copie dall'autrice ostacola non poco l'accesso alle altre sale che ospitano diversi eventi. Il mio è al primo piano: Mappe nel caos della poesia contemporanea. I relatori cercano di dire qualcosa su un mondo corporativo e autoreferenziale (sic), quello della poesia contemporanea che cita e ordina sé stessa, consegnandosi alla posterità già confezionata in alcune antologie e mappe orientative.

La saletta non è proprio vuota, anzi più piena del solito, perché, a differenza dei tre-quattro ascoltatori che abitualmente costituiscono il fedelissimo pubblico dei reading, qui si stanno concentrando una decina di persone, forse qualcuna in più, delle quali soltanto alcune si salutano, altre è la prima volta che si vedono: e questa sì che è una gran differenza rispetto alle solite letture pubbliche di poesia, dove i pochi convenuti si conoscono, si sono già letti e ascoltati, se la cantano e se la suonano, comunque contenti di ascoltarsi e auscultarsi vicendevolmente. I lettori di poesia sono i poeti stessi, si diceva qualche tempo fa; ora si può aggiungere che i poeti stessi sono anche i critici della poesia. Un relatore osa di più: per un certo periodo i veri e propri critici (quelli non poetanti?) hanno avuto paura a pronunciarsi sulla poesia attuale.

Qui solo un gruppetto chiacchiera, mentre altri presenti, perlopiù estranei, sono calati ciascuno sui suoi appunti, su pagine sfogliate qua e là della rivista che viene presentata o sull'immancabile telefonino. Il mio l'ho spento per evitare spiacevoli interruzioni, odiatissime in questi casi, in ogni altro luogo invece perfettamente consone all'ambiente, tranne in chiesa forse. Il silenzio discreto mi predispone bene fin dall'inizio.

Osservo la quantità di carte stampate e foglietti scritti a mano visibili un po' dovunque. Se addirittura qualcuno sfoglia degli appunti, vuol dire che vi saranno tanti interventi, rifletto però con una punta di ansia. Rischio di perdere l'evento successivo, non ho molto tempo per fiondarmi da una location all'altra. Vedo schierati alla cattedra quattro relatori: un professore universitario + un assistente che introduce il discorso (era quello pieno di appunti) + un poeta anche giornalista anche conoscitore del mondo editoriale (così si presenta) + un altro poeta anche editore. Tutto si tiene, tutto delinea fin dalle premesse la ragnatela sottostante i discorsi che seguiranno. Gli ambienti di provenienza degli attori/autori in questione sono: l'editoria, il giornalismo culturale annesso e connesso, la frangia di accademia limitrofa alla società culturaleditoriale. Buona parte dei poeti nominati durante tutte le quattro relazioni sono a loro volta redattori o editori o addetti al lavoro editoriale, tra i pochi fortunati superstiti in un settore sempre più ridottosi nei decenni, con manovalanza ormai esigua, marginalizzato dalla più proterva industria dello spettacolo, dell'informazione e dei media.

In ogni caso noi lettori sfigati, che ancora si ritrovano perdendo ore di tempo libero intorno a una rivista cartacea vecchio stampo, siamo ospitati al piano di sopra, in una stanzetta piccola ma sopraelevata; l'esordiente romanziera con grande seguito di pubblico e tante follower in attesa di una copia-feticcio, al pianterreno, che appena fai qualche passo sei sulla strada nella polvere.

"La polvere mangia i libri," asseriva mia madre invitandomi a spolverare la libreria cui ero tanto affezionata. "Più polvere in casa meno polvere nei nostri cervelli," pensavo io, la mente fissa agli slogan femministi, il corpo buttato in tutto tranne che nei lavori domestici.

Si analizzano i principali orientamenti della poesia contemporanea, fondamentalmente due, veniamo edotti con un certo sollievo: i lirici e non, i classici e non, i neo-neo-neoavanguardisti (si potrebbero aggiungere prefissi a iosa) e i tradizionali, avanti di questo passo. Uno dei relatori, il più simpatico, pare per un attimo confondersi nel groviglio interpretativo. Sta elencando le ulteriori biforcazioni e ramificazioni (sottocategorie in cui addirittura compaiono sottoinsiemi occupati da un solo poeta, il che comporta una serietà della situazione, perché è vero che ogni artista deve avere una sua originalità, ma anche una comicità derivante dall'immaginarsi il poeta solo sull'isola deserta, tipo il disperato Tom Hanks nel film che tutti conosciamo) di quei due rami principali dell'albero sempre più biforcatosi, che mostrano etichette difficilmente distinguibili l'una dall'altra, espressione di una maniacale esigenza di linneico ordinamento (quasi a dire: siamo qui, canonizzati sul nascere… nasciamo già canone… canonici, codificati, etichettati e chiusi nel nostro apposito  contenitore o posti sull'apposito scaffale di una biblioteca nazionale… tutti questi fogli imbrattati ma anche ragionati, ponderati, categorizzati sono già tradizione, nuova, ma pur sempre tradizione, la futura storia della letteratura… ci affrettiamo a sigillare il tutto, a salvarlo dall'oblio in saecula saeculorum eccetera eccetera).

Valuto a più riprese se acquistare una copia della rivista. Accanto alla scrivania delle vendite la maneggio un po'. Hanno parlato molto della copertina, che in effetti è significativa: mostra una grande nuvola foriera di tempesta che sta per abbattersi su delle rovine o su di una città, non è chiaro, la città potrebbe anche trovarsi sotto i bombardamenti e quella nuvola essersi levata dopo un'esplosione. Ci si sofferma sulle possibili letture dell'enigmatica copertina, si scattano molte foto a testimoniare che l'evento c'è stato davvero, nel caso qualcuno per i motivi più strani decidesse di dubitarne. Tutti ammiriamo la copertina ma il ragazzo volontario assegnato alle vendite ci mette in mano un opuscolo, non so se dell'editore o di Bookcity, incoraggiandoci a guardare quello, che è una sintesi e ha il considerevole vantaggio di stringere i tempi: "Questo è gratis". Non ho tempo di guardarlo; gli avventori dell'evento successivo ci spingono per entrare. Ho rinunciato alla rivista: non sono riuscita a vedere l'indice, troppo complicato in mezzo alle correnti di entrata e di uscita. Le sottocategorie "conoscenza e mondo", "mondo" senza conoscenza e "conoscenza" senza mondo m'incuriosivano non poco: non era affatto intuitivo capire la differenza tra l'una e le altre.

Il pomeriggio precedente a un altro incontro di Bookcity avevo visto un film sulla biblioteca di Umberto Eco; il film compreso e applaudito, Umberto Eco un po' meno. In una delle interviste registrate aveva asserito che chi non legge non ha curiosità intellettuali quindi non è vivo. Quanto di più contraddetto dalla mia esperienza di vita: per quello che ho potuto constatare, le persone meno istruite e meno attratte dagli studi sono in genere le più vitali e gioiose. Del docufilm mi avevano affascinato i molti libri inquadrati nella casa di Eco e quelli distribuiti su molteplici piani in alcune grandi biblioteche del mondo, ma le parole dell'erudito showman sotto sotto lasciavano intravedere una sua spocchia da aristocratico che aveva accumulato un non indifferente capitale culturale e, con esso, sapere potere ricchezza. La curiositas certo l'aveva sospinto, ma la sua chiusura nello studio lo aveva forse allontanato da quella sensibilità profonda che invece dimostravano Leopardi, Proust, Cortázar quando parlavano del più bel fiore dell'anno e della vita o delle intermittenze del cuore che casualmente, per una suggestione esterna, un sapore, una luce, ci fanno recuperare il nostro passato perduto o dei nuovi rapporti umani, e sinceri, che potrebbero formarsi se un mutamento radicale avvenisse nel nostro stile di vita.

Mentre mi faccio largo per guadagnare l'uscita, sono attirata dal romanzetto rosa ma ironico della giovane autrice dal nome inglese ma italiana, si sussurra, mentre viene narrato già qualcosa di lei tra le fanciulle in coda. Sì, perché la fila per la firma delle sue copie, passata un'ora, non è ancora terminata. Troppo rosa però per i miei gusti, che sono ancora una ragazza degli anni Settanta e corro a un altro appuntamento con Bookcity, spero problematico, discutibile, contraddittorio, segnato su una mappa ingarbugliata sia per arrivare sia per uscirne. 

Nota Aneddoto rielaborato liberamente edito su Nazione Indiana il 3.12.2023

Nessun commento: