domenica 20 novembre 2016

La letteratura è viva e lotta insieme a noi

Sorgevano dubbi che fosse ormai completamente oscurata e superata da cinema e serie televisive, soffocata da tonnellate di libri di consumo e di scarsa qualità, nascosta e talvolta introvabile negli stessi luoghi dove la si cercava, tradita da mecenati e investitori ad altro interessati, ignorata da sempre maggiori quantità di persone, strette dal bisogno e occupate unicamente da problemi di lavoro e sopravvivenza … ma nonostante le condizioni avverse resiste, anche se molti non lo sanno, non vengono informati. La letteratura è viva e lotta insieme a noi! Lo testimonia per esempio Antoine Volodine, autore francese di origine russa, col libro Des anges mineurs, Angeli minori, per cui è risuonata da più parti la parola ‘capolavoro’ (“Angeli minori ha tutte le caratteristiche del capolavoro: potenza, forza evocativa e visionarietà”, The Literary Review), tradotto in italiano da una piccola casa editrice, L’orma editore (Roma 2016).
Che cosa mi fa esclamare con entusiasmo che si tratti di un’opera letteraria degna d’ammirazione?
Innanzitutto la forma.
L’autore non si è limitato a inserirsi in canali narrativi convenzionali e lineari. Ha inventato il genere narrat: “istantanee romanzesche che fissano una situazione, delle emozioni, un conflitto vibrante fra memoria e realtà, fra immaginazione e ricordo” (pag 6). Più nello specifico i narrat che compongono il testo, queste apparizioni degli angeli minori, che all’interno della letteratura italiana potremmo associare in qualche modo a Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino o a Centuria di Manganelli, sono “immagini organizzate su cui si fermano, nella loro erranza, i miei mendicanti e i miei animali preferiti, nonché qualche vecchia immortale”. E con questo arriviamo a un altro generatore di potenza del libro: il mito inventato. L’invenzione intorno a cui ruotano le immagini, le sensazioni e narrazioni dei personaggi minori eppur protagonisti è la seguente: in un paesaggio desolato da fine del mondo, mentre l’umanità e molti animali sono in corso d’estinzione, per motivi imprecisati ma continuamente allusi come una guerra feroce mai finita fra capitalisti e comunisti, esalazioni o piogge di materiali tossici diffusi ovunque, un gruppo di donne pluricentenarie, divenute involontariamente e inspiegabilmente immortali, decide di unire le proprie forze magiche, sciamaniche o divine per dare la vita a un bambolotto di stracci “incubato” in un letto nel segreto di una casa di riposo semiabbandonata. 


Il futuro semidio, indottrinato fin nella culla, dovrà riportare nel mondo in pieno disfacimento un sistema sociale improntato alla solidarietà e alla fratellanza in grado di far rifiorire una vita vivibile sulla terra. Poiché vi è qualcosa d’imprevedibile nelle conseguenze delle nostre azioni, l’eroe farà tutto il contrario di quello che le sue madri-nonne desideravano, supponendo che sia la libera iniziativa, l’impresa capitalistica la forza capace d’imprimere dinamismo a tutto che è. Passati alcuni decenni, continuando a peggiorare le condizioni di vita sulla terra, le vecchie decidono di arrestare e condannare a morte la loro creatura. L’esecuzione però viene continuamente rinviata dal pentimento del colpevole e dai narrat che egli, novello Sherazade, comincia a raccontare. Il tempo trascorre in mezzo al bestiame e alle tende di queste dee nomadi tornate allo stadio in cui l’umanità era formata da gruppi sparsi nelle steppe e nelle pianure, mentre l’eroe narratore viene risparmiato e una anziana delle più convinte decide di partire per andare a uccidere gli ultimi capitalisti e portare a termine il suo piano salvifico. Sembra riuscire nel suo intento e dalla figlia di colui che è creduto l’ultimo capitalista verrà concepita una bambina, anch’essa messa insieme dalla sola madre in qualche modo con l’aiuto di un veterinario.
Nell’ultima pagina dell’opera si accenna a un concepimento fra uomo e donna, tuttavia in molti punti chiave del romanzo emerge l’idea che le maggiori (se non le uniche) portatrici della vita e del bene siano le donne, pur sempre nell’estrema precarietà del tutto.
Vi sono personaggi fra gli angeli minori che anelano a donne eternamente sfuggenti o scomparse, cercate, ritrovate, sognate, perdute di nuovo. Viceversa vi sono donne fra gli angeli minori che non smettono di ricordare e sognare uomini amati, un tempo scrittori, combattenti, perseguitati per la causa dell’eguaglianza. Fra gli innamorati si possono instaurare momenti di grande comprensione e fusione (“per il tempo di un’oscillazione eravamo posati sul confine delle parole, stando in silenzio e vibrando insieme, pronti al reciproco incontro mentale”, pag 86), ma anche d’improvvisa estraneità (“nella luce del sole nascente mi appariva di colpo animata da pensieri e da ricordi inaccessibili, estranei. E tutto era di nuovo come all’inizio, difficile da credere.” pag 88).
Sopravvissuti, sebbene a pochi passi dal nulla, compaiono diversi animali, considerati alla stregua degli uomini, di pari dignità, dotati di nome e cognome. L’unico amico, l’unico affetto che l’eroe Will Scheidmann ricorda della sua avventura fra gli uomini è un cane ed egli stesso in un narrat sostiene di essere morto nelle sembianze di un lupo. Qui si apre un altro ampio e profondo tema del libro: quello dell’identità. Abbiamo detto che l’eroe stesso in un narrat dice di essere morto in forma di lupo mentre all’apparenza, con gli occhi degli altri personaggi, egli è sempre più simile a una pianta, ricoperto come si ritrova di escrescenze cutanee simili ad alghe. In un altro narrat una narratrice di romance afferma di sognare di essere lei stessa Scheidmann, anzi di esserlo a un certo punto diventata. Altri personaggi entrano ed escono da sogni e da incubi che per loro sono più reali del reale.
Accanto ad essi, la regressione delle società umane a forme di vita povera e primitiva mostra scene orribili, come la brutalità delle continue uccisioni reciproche e un cannibalismo diffuso, soprattutto nelle città abbandonate, dove l’attraversamento di strade e quartieri assume perfino i caratteri di un’esplorazione in mari sconosciuti e mortali (con qualche ironia, poiché alcune azzardate esplorazioni, che costano vite e terribili atti cruenti, approdano in zone improbabili in cui la vita è rimasta come prima, come se non si profilasse all’orizzonte nessuna estinzione o guerra o carestia e non ne fosse giunta nemmeno notizia; così come in alcuni punti si parla di strade percorse da auto e da bus come prima: quasi che l’autore abbia voluto mostrare un rovescio della medaglia, la nostra società com’è ora, ignara di trovarsi sull’orlo di un baratro).
La comunità tribale delle anziane dee-pastore di pecore e cammelli in ogni caso rappresenta uno dei paradisi terrestri possibili.  Qui regna la lentezza. Gli stessi narrat sono statici, dipingono situazioni più che storie e la fabula retrostante si intravede e compone molto gradualmente.
“Scheidmann,” domanda a un certo punto una delle giustiziere al figlio-nipote, “perché ci abbindoli con questi strani narrat? Che cosa sono? Perché strani, poi? Perché sono strani?”, alludendo forse all’incompiutezza e all’enigmaticità di alcuni di essi. Questi vorrebbe “urlare attraverso la notte calda che la stranezza è la forma che prende il bello quando il bello è disperato” (pag 93), ma preferisce tacere.
In un altro momento ne parla invece come di “luoghi in cui coloro che amo possono riposarsi un istante prima di riprendere il cammino verso il nulla” (pag 6).

Pubblicato su Nazione indiana il 18.11.2016

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