Se è vero che gli intellettuali, nella maggioranza dei casi, secondo Pierre Bourdieu e Diego Fusaro, forniscono il capitale simbolico atto a giustificare l'esistente, per ciò che attiene il campo letterario chi si sforza di cercare nuove forme o di alterare, tendere, trasformare quanto più possibile quelle consuete, colloca il suo lavoro in una posizione non immediatamente supina al potere.
Oggi come oggi gli stili fanno fatica a mutare o solamente a tendersi verso il nuovo o il diverso perché viviamo in un periodo conformista e conservatore. Tuttavia personalmente posso dire d'aver notato tensione stilistica per esempio in uno dei primi volumi di racconti di Christian Raimo, Dov'eri tu quando le stelle del mattino gioivano in coro?(minimum fax, Roma 2004), e nel Nosocomio di Rosaria Lo Russo (Effigie, Milano 2016), opera fra la prosa e la poesia. Cito queste due opere ma ve ne sono anche altre naturalmente.
Fra i racconti di Raimo quello intitolato Tutte queste domande mostra un dialogo smozzicato fra nonno e nipote sotteso dal flusso di coscienza del nonno. E' esibito un virtuosismo quasi barocco in queste pagine di discorso immediato (monologo interiore), che frammenta e sospende continuamente il discorso, lo varia, lo spinge ai livelli più profondi del subconscio, gli offre diversi appigli sintattici e forme grafiche, per cui le pause sono segnate addirittura in quattro modi diversi (puntini di sospensione, a capo, spazi bianchi fra le parole o fra le righe). Questa tensione stilistica mi pare mostri in maniera molto esplicita un tentativo di fuga dalle gabbie della narrativa convenzionale.
Analogamente nel Nosocomio di Rosaria lo Russo si può notare il disinvolto sconfinare fra poesia e prosa, un altrettanto disinvolto e brusco passaggio, all'interno dello stesso periodo, dalla prima e terza persona singolare, intere pagine di flusso di coscienza (pagg 36-45), l'occupazione della pagina orizzontale anziché verticale (come per es. in Butor, Mobile), sgrammaticature come l'andare a capo in maniera scorretta e comunque lo sberleffo alle norme poetiche che pone l'a capo alla fine del verso, gli accenti sbagliati (gravi anziché acuti o viceversa), una punteggiatura anomala come parentesi aperta e non richiusa, la grafia deformata o ambigua di alcune parole (esempio: maledett* a pag 25).
Tema centrale del libro è la rimozione del degrado, dell'invecchiamento e della morte nell'Italia degli ultimi decenni, simbolizzata dalla casa di riposo con annesso dormitorio/obitorio. Realtà in parte rimossa, in parte guardata in uno stato stuporoso fra il giubilo e l’orrore, l’edificio del nosocomio si presenta così: “Tutto di vetro e di cemento armato e illumi/nato al neon ventriquattrore su ventiquat/tro, lo chiamavano il palazzo di cristallo / oppure l’obitorio, c’era sempre una corrente / ghiaccia d’inverno nell’ingresso ma fresca / d’estate che lo rendeva, il nostro nosocomio, / simile al nostro dormitorio (…) Adesso / si vuole restare per sempre nel nosocomio anche / se uno è già morto. Almeno lo imbalsamassero,/ no, gli sostituiscono i pezzi di ricambio finché / è tutto nuovo, non come nuovo, nuovo, e rico / mincia da capo senza passare dal dormitorio.” (pag 32) oppure così: “Il dormitorio è un hotel abusivo di dieci piani costruito piano piano nel tempo senza dare nell’occhio (non ha finestre esterne) in mezzo alla città storica senza che le autorità competenti intervenissero anzi senza che nessuno si ponesse il problema di quanto questo tipo di condominio fosse brutto e deturpasse il paesaggio collinare retrostante perdipiù stagliandosi in una zona di villette all’americana dove abitano le famiglie tradizionalmente felici (marito moglie due figli un cane) della classe un tempo definita medio bassa. E’ tutto di cemento armato nudo e crudo…” (pag 55).
Nessun commento:
Posta un commento