Primi commenti a Giocare a mangiarsi di Mariano Bargellini: alcune osservazioni di Antonio Caronìa e Franco Romanò
Dalla lettera-scheda di Antonio Caronìa, scritta all’autore prima della pubblicazione
Dalla lettera-scheda di Antonio Caronìa, scritta all’autore prima della pubblicazione
Mi pare che tutto il
breve romanzo giochi su di un’ambiguità di registro fra il livello della
descrizione letterale dei corpi degl’insetti e delle loro ferali interazioni
(lo svolgersi del videogioco, o computer game), e il livello metaforico dell’insight che
sugli esseri umani può ricavarsi dalla loro simulazione in forma di insetti (o
della loro trasformazione “reale” in essi). Mi pare un’ambiguità giocata molto
bene, sul filo del rasoio fra una esplicitazione risentita della metafora e la
continua tentazione di renderla letterale (che, en passant, è uno
dei meccanismi fondamentali della fantascienza: senza però che il suo romanzo
possa essere ascritto in toto a questo genere, per altri motivi che espliciterò
dopo). Quest’ambiguità della metafora centrale del libro mi pare rafforzata da
una serie di giochi di passaggio fra il mondo del testo e il “mondo zero” della
realtà (al modo di Sterne o di Cervantes), con l’identificazione fra il
narratore e l’autore che è evidentemente da prendere con cautela, ma che
contribuisce al gioco fondamentale del libro.
L’altro motivo esplicito
del libro è quello dell’ibridazione fra “reale” e virtuale, col passaggio
misterioso e inspiegato dell’insetto da avatar nel mondo del
videogioco a presenza nel mondo fisico. Non siamo mai sicuri se ciò sia un
processo “oggettivo” o solo un’allucinazione dell’autore, o ancora una
dimensione intermedia e nuova (come nella Metamorfosi di
Kafka). L’autore mi sembra abbia saputo efficacemente trasformare in un punto di
forza (sempre l’ambiguità) la sua debolezza di partenza, e cioè la sua
conoscenza scarsa e imprecisa dei mondi virtuali così come si presentano adesso
(Internet). Questa è la ragione per cui il testo non mi pare possa essere
definito – se non in senso molto lato – come fantascienza. Neppure William
Gibson, negli anni ottanta, era ricco di conoscenze sulla tecnologia dei suoi
tempi, e inventò a piene mani o glissò allegramente sulla verisimiglianza dei
dispositivi che descriveva. Tuttavia le sue intenzioni erano pienamente
all’interno dell’immaginario tecnologico – cosa che non mi sembra accada per
Bargellini. D’altronde, questa è una caratteristica di questo tipo di narrativa
nella tradizione italiana (oltre al nome di Landolfi, mi sembrano pertinenti
a questo riguardo quelli di Bontempelli e di Buzzati).
(Lettera risalente al luglio 2005, quando il romanzo era ancora in cerca di editore)
(Lettera risalente al luglio 2005, quando il romanzo era ancora in cerca di editore)
Franco Romanò, dal suo blog Agenda di
scrittore
Giocare a mangiarsi è il nome di un video
gioco (che probabilmente neppure esiste) e anche il titolo del romanzo di
Mariano Bargellini. Stiamo quindi parlando di un gioco virtuale e di un
romanzo, che è fatto a sua volta di parole scritte e cioè di qualcosa che ai
tempi di Platone si sarebbe considerato come appartenente al regno della
virtualità.
Al centro del romanzo di
Bargellini vi è dunque proprio questo: una realtà virtuale che si contrappone
all'altra e che a un certo punto la fagocita. Nel video gioco, infatti, gli
insetti che i giocatori si scelgono e usano come maschere o propri avatar,
fuoriescono dal loro regno fatto di bip e invadono il mondo fisico umano. Il
ricorso all'insetto ha degli ovvi antecedenti letterari, ma soffermarsi su
questi così come fermarsi a constatare i richiami a un genere come quello fantascientifico,
sarebbe del tutto fuori luogo. La letteratura è sempre fatta di richiami
precedenti; persino nell'Odissea vi è una citazione dell'Iliade. Solo chi è
cultore un po' ingenuo di una originalità assoluta (che non esiste), può
stupirsi dei riferimenti e il '900 è stato particolarmente generoso
nell'offrire anche dei cliché e dei generi: dal giallo alla spy story, alla
fantascienza appunto; ed è difficile che nelle opere venute dopo non vi sia qualche
traccia di queste forti presenze.
Il romanzo di Bargellini,
pur avendo i sui riferimenti, si smarca però rispetto ad essi per almeno tre
questioni che a me sembrano sostanziali e di cui una più importante delle
altre.
La prima è l'originalità
del suo bestiario. Gli insetti di Bargellini non rappresentano i difetti degli
umani secondo una tradizione millenaria; ma neppure vengono addomesticati come
lo sono, per esempio, gli animali di Walt Disney. Essi rappresentano piuttosto
delle categorie umane che conosciamo molto bene. La mosca, per esempio, è un
editore. Tale scelta diviene l'innesco di una polemica sul mondo letterario
contemporaneo cui accenno soltanto perché si tratta pur sempre di un
ingrediente narrativo per arrivare a dire altro. Che cosa?
L'insetto, nella sua
forma e comportamento, richiama anche visivamente l'immagine del bip, la
minuscola unità di misura che attraversa la rete in modo velocissimo in una
circolarità senza centro. Il bip schizza da tutte la parti come l'insetto,
s'insinua ovunque e chi frequenta un qualsiasi social network può comprendere
cosa sto dicendo; ma anche chi ne sente solo parlare può facilmente comprendere
che il flusso virtuale è regolato da un sistema binario molte semplice, ma che
produce a ogni momento scelte direzionali che vanno in tutte le direzioni
possibili in un gioco infinito di snodi.
Questa realtà virtuale in
cui siamo immersi finisce, nel romanzo di Bargellini, per fagocitare l'altra:
tale il significato del giocare a mangiarsi. Il continuo scambio fra reale e
virtuale crea una natura e un ambiente del tutto diversi, in cui l'umano pensa
di travestirsi da virtuale (o viceversa); solo che, in conclusione, non si sa
più dove l'umano per come lo conosciamo sia andato a finire.
Il mondo del romanzo di
Bargellini è già dunque un mondo post umano e questo smarca l'opera dai
riferimenti scontati e apocalittici del passato e anche dalla fantascienza.
Orwell, Huxley, Ballard, Dick, piuttosto che Burroughs ci hanno sempre parlato
di una catastrofe che verrà. Nel romanzo di Bargellini è già avvenuta e ce ne
accorgiamo dal terzo elemento, il più importante: il tempo.
La sua concezione è
quella che noi vediamo rappresentata nella rete. In essa il tempo non è ciclico
e neppure lineare e quindi non possiede le due prerogative del tempo umano
nella porzione del cosmo spaziotemporale in cui viviamo. Il tempo della rete è
un eterno presente. Non esiste in essa il passato così come non esiste il
futuro; ma neppure vita e morte, perché nel flusso continuo tutto è sostituibile
con altro nella sua totale orizzontalità senza soluzione di continuità. Se c'è
allora un altro romanzo contemporaneo cui mi sento di affiancare quello di
Bargellini è La strada di Cormac McCarthy. Le differenze sono
grandi, ma vi è fra queste due opere un lato comune: entrambe ci parlano di un
mondo post umano.
Roberta Salardi, nella
quarta di copertina del romanzo, scrive che Bargellini, a questa trasformazione
dell'umano in automi o automati, oppone “una fortezza di parole”. Lascio a
lettori e lettrici decidere se le cose stiano davvero così: se cioè non vi
siano altre tracce di resistenza dell'umano nell'opera e se (qualora non ce ne
fossero) il ricorso all'ontologia del linguaggio umano sia la sola forma di
resistenza possibile.
(Articolo postato sul blog Agenda di scrittore l'1.2.2016)
(Articolo postato sul blog Agenda di scrittore l'1.2.2016)
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