Mi piacciono i romanzi simili a luoghi più che a tempi. Non come dono di tempo, di storie (Ricoeur), ma come dono di luoghi dove aggirarsi, dove ricevere stimoli, dove abitare. Mi piace l'idea di scrivere un romanzo come abitare un luogo. Nel momento in cui si scrive o si legge, non si agisce. Il fatto di non agire introduce al pensiero. Romanzo come abitare un luogo in cui si pensa o in cui ci si lascia andare come in un labirinto. La forma morbida, flessibile, che a tratti può farsi dispersiva, svagata, onirica, fluida per inseguire un pensiero o un reale che sfugge. Il contrario di storie che tornano come conti che tornano. Attenzione fluttuante.
Alla condizione più generale della scrittura e del pensiero come azione bloccata o rimandata, progettata, comunque non posta in essere, si aggiunge che la nostra è un'epoca di sconfitta dell'azione. Sconfitta per alcuni grandi fallimenti di progetti concepiti nei secoli precedenti e nel Novecento audacemente sperimentati e naufragati. Dopo il crollo del socialismo reale (o del capitalismo di stato), vediamo ora come la democrazia appaia ridotta ai minimi termini e quasi messa definitivamente nell'angolo. Postmoderno, società dei servizi, società dello spettacolo, società dei consumi, capitalismo non più industriale ma finanziario, ecco il contesto in cui all'homo faber si è in larga parte sostituito un essere umano passivo, consumatore e per giunta ultimamente indebitato, in debito, sottoposto a pressioni di entità enormemente potenti e poco definite. E' un uomo fermo, che non può che riprendere a pensare o a girare intorno al pensiero cercando di afferrarlo, per essere in grado un giorno forse di riprendere ad agire.
Ecco alcuni motivi per cui la rigorosa narratività, con le sue esigenze di tempi incalzanti, di ritmo serrato, sebbene sia molto richiesta oggi dal mercato editoriale, non rappresenta a mio avviso l'esigenza più importante della prosa contemporanea. I romanzi d'azione, come i film d'azione, possono fornire soltanto un surrogato di qualcosa che manca profondamente nella nostra vita, con effetto placebo. Invece sarebbe da indagare perché non si agisce o perché si agisce così poco o perché si agisce con esito fallimentare.
Romanzi orizzontali, romanzi che offrono stanze come luoghi di riposo, di pausa, di dormiveglia, di sprofondamento dentro se stessi, anziché d'azione, giochi di specchi fra i personaggi...
Una mia trilogia inedita.
Alla condizione più generale della scrittura e del pensiero come azione bloccata o rimandata, progettata, comunque non posta in essere, si aggiunge che la nostra è un'epoca di sconfitta dell'azione. Sconfitta per alcuni grandi fallimenti di progetti concepiti nei secoli precedenti e nel Novecento audacemente sperimentati e naufragati. Dopo il crollo del socialismo reale (o del capitalismo di stato), vediamo ora come la democrazia appaia ridotta ai minimi termini e quasi messa definitivamente nell'angolo. Postmoderno, società dei servizi, società dello spettacolo, società dei consumi, capitalismo non più industriale ma finanziario, ecco il contesto in cui all'homo faber si è in larga parte sostituito un essere umano passivo, consumatore e per giunta ultimamente indebitato, in debito, sottoposto a pressioni di entità enormemente potenti e poco definite. E' un uomo fermo, che non può che riprendere a pensare o a girare intorno al pensiero cercando di afferrarlo, per essere in grado un giorno forse di riprendere ad agire.
Ecco alcuni motivi per cui la rigorosa narratività, con le sue esigenze di tempi incalzanti, di ritmo serrato, sebbene sia molto richiesta oggi dal mercato editoriale, non rappresenta a mio avviso l'esigenza più importante della prosa contemporanea. I romanzi d'azione, come i film d'azione, possono fornire soltanto un surrogato di qualcosa che manca profondamente nella nostra vita, con effetto placebo. Invece sarebbe da indagare perché non si agisce o perché si agisce così poco o perché si agisce con esito fallimentare.
Romanzi orizzontali, romanzi che offrono stanze come luoghi di riposo, di pausa, di dormiveglia, di sprofondamento dentro se stessi, anziché d'azione, giochi di specchi fra i personaggi...
Una mia trilogia inedita.
Trilogia della scomparsa
I
romanzo della trilogia
TITOLO Il
corpo della casa
Il corpo della casa
è strutturato come una piantina d’appartamento, presentando i capitoli come
metafore delle varie stanze: un corridoio stretto, una stanza da letto, un
salotto e così via. In ognuno di essi la protagonista Martina vive una
situazione differente; per esempio, in “Letargo”(la stanza da letto) è
riportato il dialogo con un artista suo
ospite. Nell’ultimo capitolo, “Sgabuzzino/Risposta della casa”, è la casa
stessa che parla (ça parle, direbbe
Lacan): emerge l’inconscio nella voce delle pareti, dei tubi… che “rinfaccia”
alla narratrice-protagonista la sua storia, dopo averla triturata, frammentata,
stravolta nel delirio e reinterpretata in forme confuse e molteplici.
A
dispetto dei riferimenti spaziali della struttura, non manca un’evoluzione (o
involuzione) della storia, una trama con i suoi climax e i suoi colpi di scena,
che tuttavia ribadiscono una tendenza alla coazione a ripetere della
protagonista. Tutto comincia con un’esperienza di separazione e un grave lutto;
la trentacinquenne Martina deve trovare la forza di tirare avanti. Pare
farcela, tuttavia col puntello di divagazioni schizofreniche. Improbabili
impressioni e vaghe allucinazioni (nel suo caso “terapeutiche”) in qualche modo
la sostengono finché un nuovo incontro/confronto con un uomo non la mette alla
prova in maniera dura come in passato. La breve convivenza con l’artista malato
Fulvio la inchioda a un senso d’impotenza e di aridità che la spinge sempre più
in un’area sensoriale-cognitiva “diversa”. Ecco che prende corpo la sua piccola
mitologia domestica fatta di un figlio metà animale metà vegetale, di voci
materne che provengono dalle tubature ecc. Finché nell’ultimo capitolo la
narrazione esplode, così come la logica razionale che finora in qualche modo ha
tenuto insieme il filo del racconto, in una serie di discorsi dei personaggi
immaginari che abitano la sua mente. Nel labirinto della “Risposta della casa”
si riesce a individuare il filo d’Arianna di una voce materna che continua a
rimproverarla per tutte le scelte della sua vita e il ricordo, rimosso, di un
trauma primordiale legato alla morte di un fratello.
II
romanzo della trilogia
TITOLO Doppio diario
In
Doppio diario le voci narranti sono
due, quella di una madre, cui si contrappone la voce della figlia in alcune
fasi salienti della loro vita, le sole di cui resta traccia nei rispettivi
diari. Ci ritroviamo così a leggere un testo frammentato e smozzicato, masticato da due personaggi, più volte
interrotto e in alcuni punti cancellato e riscritto da una delle due
narratrici, la figlia polemica nei confronti della madre.
Rispetto
al primo romanzo-diario della Trilogia, il secondo parrebbe proporsi come sua
continuazione e imitazione, ma gli interventi critici della lettrice figlia lo
trasformano e lo rendono qualcosa di diverso. Il secondo romanzo è intrapreso
infatti dalla sorella della narratrice del primo diario-romanzo, che intende
riprendere dal punto dove quello s’interrompeva e continuarlo con la propria
storia, ma viene scoperto in un cassetto dalla figlia adolescente, che vi trova
lo svelamento di segreti di cui era ignara e lascia a margine i suoi commenti.
Anche per gli anni successivi permane l’accostamento delle due scritture,
ovvero del diario materno e di alcune note sparse filiali. Doppio diario dunque perché si presenta come copia del primo ma
anche perché duplice in se stesso. Il tema dominante del lutto, della
difficoltà di relazione, dell’ansia e dell’ambivalenza, incentrato in questo
volume intorno all’assenza del padre e alla scomparsa del compagno della madre,
in Doppio diario si carica di
maggiore aggressività per la contrapposizione di due voci antagoniste.
Tutti
e tre i romanzi della Trilogia sono romanzi regrediti a diari e traforati da molti spazi bianchi, segno
visibile del vuoto che rode, corrode, come un roditore instancabile il testo,
aggredendo i discorsi di tutte le voci narranti. La frequente sospensione dei
tre puntini potrebbe essere assimilata all’immagine di esili ponti sul vuoto. Gli
spazi bianchi sono forse anche simbolo della pulsione di morte, logoramento continuo,
autodistruttività che costeggia e fa da sfondo al flusso verbale.
Merletto
con molti buchi.
III
romanzo della trilogia
TITOLO Nell’altra
stanza
Un
giovane laureato in filosofia, costretto da un incidente a una temporanea
immobilità accanto alla stanza della madre malata, inizia a tenere un diario
che riporta anche brevi stralci di conversazioni tenute on-line con gli amici
Andrea, suo omonimo ex compagno di sbronze e di studi, e Virginia, una
internauta mai incontrata di persona (la voce della figlia nel romanzo precedente).
L’amico gli invia fra le altre cose il racconto di una propria singolare
“esperienza estrema”: un mese trascorso in volontario isolamento al buio.
Alla
morte della madre, che vuole seppellire personalmente in un bosco dopo una fuga
delirante col cadavere nella notte, il protagonista si allontana
definitivamente da casa portando con sé (come per una ritualità molto arcaica)
una reliquia, un dito del corpo di lei, nel tentativo di reinventarsi un rito
funebre.
Trova
lavoro come pony express a Francoforte, luogo sacro per le sue memorie
culturali, ora divenuto capitale della finanza. Ormai senza ambizioni ma per un
insopprimibile desiderio di conoscenza, s’iscrive a tempo perso a un corso
universitario, fra incubi notturni, abbozzi di riflessioni non concluse,
dialoghi con personaggi immaginari, come il Kirillov di Dostoevskij o Duda, una
ragazza straniera che non esiste.
Prima
di tornare a frequentare gli amici, scriverà un abbozzo di utopia, dove la
Città ideale talvolta pare interrogarlo come una Sfinge.
Due
tronconi narrativi, più ampi di altri frammenti narrativi disseminati nel
testo, due cellule immaginative di maggiore consistenza e potenzialmente
germinative di trama, che corrispondono ai capitoli Notturno e La città ctonia,
sono immersi in un brodo colturale di associazioni, riflessioni, citazioni
letterarie e filosofiche appartenenti al mondo degli studi dei due narratori
intradiegetici, che si chiamano curiosamente allo stesso modo, i due amici
Andrea e Andrea.
La
macerazione-stagnazione diaristico-meditativa toglie velocità, movimento al
progredire di un racconto, che infatti in alcune sue parti rimane impantanato
in un’evidente difficoltà- impossibilità a svolgersi, a svilupparsi. Ma la
sfida dei protagonisti a se stessi è proprio quella di riuscire a muoversi e
addirittura di fare passi avanti.
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