Sono d'accordo con Adorno della Teoria estetica: la letteratura è il canto delle sirene: l'evocazione di tutto quello cui abbiamo dovuto rinunciare nel patto sociale e negli adattamenti legati alla sopravvivenza. L'evocazione del dolore legato al disagio nella civiltà. Uno scrittore degno d'attenzione deve saper muovere l'acqua del mare, deve far udire il canto delle sirene.
Nella rilettura di Jameson, "evocando il dolore e la contraddizione di quella rimozione del sé e della natura che la dialettica dell'Illuminismo pone come prezzo dell'autoconservazione, Adorno e Horkheimer descrivono la duplice soluzione di Ulisse, la doppia e reciprocamente contraddittoria possibilità di salvezza" (Tardo marxismo, Manifestolibri, Roma 1994, pp 146-147). Ai lavoratori vengono tappate le orecchie, un po' come agli animali da soma vengono messi i paraocchi, mentre chi è dispensato dal lavoro, chi ha dei margini di tempo libero e di libertà per percepire anche ciò che sta intorno s'impone da sé, per educazione e necessità sociali, vincoli e limiti da non superare per non essere travolto. La fruizione artistica deve essere tenuta a distanza, sotto controllo. Inoltre godimento artistico e lavoro manuale si separano all'uscita dalla preistoria.
Ancora: "Abbiamo già appreso qual è il motivo più profondo della stigmatizzazione dell'apparenza estetica: è la colpa sociale essenziale dell'arte stessa, come fu rivelata, pura, semplice e sine glossa, agli albori della cultura occidentale, nella storia del canto delle sirene. Ma questo peccato originale è chiaramente aggravato, nella società classista, dal razionalismo e dalla secolarizzazione (l'Illuminismo nel suo senso storico più stretto), con la conseguenza che l'unico luogo in cui l'apparenza estetica, l'illusione estetica, perdura facilmente, con chiara coscienza di sé, è l'industria culturale. L'arte autentica, che non può abolire del tutto lo Shein senza distruggere se stessa e ridursi al silenzio, deve nondimeno vivere la sua apparenza illusoria e la sua irreale condizione di lusso come gioco in una lucida consapevolezza che permea le forme stesse dell'arte, e viene talvolta stranamente chiamata riflessività o autocoscienza." (pp 186-187)
Nessun commento:
Posta un commento