sabato 29 giugno 2019

Diciottenni suicide

Nel 1963 Livia De Stefani dava voce all’angoscia di una servetta diciottenne sedotta e abbandonata con le conseguenze del caso, cui la giovane fa fronte maldestramente, nel panico, sopprimendo sul nascere il “frutto del peccato” e avvicinandosi sempre più al suicidio nelle ore seguenti, narrate in Viaggio di una sconosciuta (Mondadori, Milano 1963). Il lungo racconto, recentemente ristampato dalle edizioni Cliquot (Roma 2018), è molto interessante per il flusso d’angoscia della protagonista sullo sfondo di una Roma assolata e spietata; spietata a causa del quadro sociale che lascia intravedere (ne parlo qui: https://voltandopagine.blogspot.com/search/label/livia%20de%20stefani ). A distanza di oltre quarant’anni Flavia Piccinni col suo esordio Adesso tienimi (Fandango 2007; Terrarossa, Bari 2019) accosta il tema analogo della seduzione brutale di una ragazzina appena diciottenne o quasi, la quale, pur non avendo a che fare con una gravidanza indesiderata, si trova a dover elaborare una dura storia di amore malato, cui inizialmente viene costretta da un suo insegnante, che a un certo punto comincia a desiderare e che vede poi bruscamente interrotta dal suicidio di lui, il quale non le lascia alcuna spiegazione (“Per me non avevi lasciato niente, perché non ero niente.” Terrarossa ed., pag 161).
Che cos’hanno in comune testi tanto lontani nel tempo? L’elemento macroscopico è che entrambi sono segnati dalla presenza di un diffuso maschilismo e patriarcato duro a morire. Il racconto di De Stefani, presessantottino ma già femminista, dipinge il quadro di una società patriarcale, contadina, in cui le donne portano sulle spalle il peso dei parti, degli aborti clandestini, delle gravidanze indesiderate, di amori più o meno imposti come un destino cui non si può sfuggire, violentate o rudemente sedotte per brevi avventure ancora molto giovani e sprovvedute, specie se di classe inferiore. Il romanzo dell’esordiente Piccinni, in chiave più moderna, rimanda a una gioventù postsessantottina ma ancora e sempre bruciata, che si macera nell’immobilismo e nella saudade di un Suditalia abbandonato a se stesso, rassegnato ai suoi mali inguaribili: è ambientato a Taranto, dove si dà per scontato che nulla possa cambiare nella situazione industriale e ambientale così come nella vita privata dei singoli, mentre permangono antiche cerimonie religiose di celebrazione collettiva del dolore. Alle ragazze anche più trasgressive, poco sottomesse a scuola e in famiglia, che fumano e bevono birra coi loro coetanei fin da adolescenti, viene riservato comunque un ruolo passivo: “Hai voluto fare parte di tre vite. Le hai volute distruggere tutte e tre. Prima prendendo due donne e consumandole, poi uccidendo me. Mi hai preso, anche se non ti ho voluto. Sei entrato nella mia vita e, dall’interno, hai iniziato a scardinarmi. Hai dilaniato la mia vita e mi hai fatto impazzire. Mi hai costretta a essere tua.” (pag 130).

Colpisce la quantità di violenza che le due protagoniste sono costrette ad assorbire, pur essendo molto giovani e proprio per questo probabilmente prescelte dai loro seduttori.
Nel Viaggio di una sconosciuta l’oppressione di classe e di genere è registrata a ogni passo della ragazza che attraversa la città col suo fardello di colpa e di pena, il bambino morto che porta chiuso in valigia. La giovane si è macchiata di un delitto, ma la violenza sociale che affiora da ricordi, pensieri, incontri la designa come vittima più che come colpevole. In misura maggiore della sofferenza per il parto, per la ragazza è stata pesante la gravidanza, nascosta continuando a lavorare ininterrottamente stretta in un busto: “Tutto quel sangue, nel letto e in terra. Si partorisce così, le donne, le pecore, le cavalle, tutte in un modo (…) Tanto sangue. Non è questo il male. Il male era passato: quegli ultimi mesi trascorsi nella strettoia del busto, perché i padroni e il resto della gente non si accorgessero di nulla. Faticando come al solito; anzi, di più. Per scacciare i sospetti, se mai ci fossero stati.” (pag 10). A più riprese affiorano i ricordi dei rimproveri e delle esortazioni a correre e lavorare da parte della signora presso cui la ragazza è a servizio, per non parlare del tono spesso offensivo e sprezzante con cui le si rivolgono sia l’amante sia gli sconosciuti in cui s’imbatte per la strada (per esempio a pag 45: “… buffa davvero. Be’, adesso, fine dello spettacolo. Siediti, su, che resti a fare impalata. Giù a cuccia, buona buona.”).
In Adesso tienimi c’è un passaggio particolarmente duro: “… ti avevo detto che volevo dirlo a tua mogie, a tutti, che ero al limite. Allora avevi lasciato cadere il cucchiaio e avevi cominciato a urlare. Dicevi che ero una puttana, che non mi dovevano venire in mente delle cose del genere, che cazzo mi credevo? Avevo attaccato a piangere e tu, allora, avevi preso il coltello grosso dal cassetto e me lo avevi puntato in faccia, poi alla gola. Avevi detto che sarebbe stata quella la punizione se mi fossi azzardata. Avevo annuito e tu lo avevi lasciato cadere per terra. Poi mi avevi spinto, mi avevi cacciato di casa. Ero rimasta delle ore sugli scalini, davanti alla porta, aspettandoti per chiederti scusa. Ma eri rimasto dentro tutta la notte, da solo.” (pag 108). Eppure, nonostante tutto: “Avevo imparato a volerti bene con il tempo, come le spose bambine, e quel ricatto iniziale non esisteva più. Pensavo solo che non sarei stata all’altezza, anche se erano mesi che offendevi il mio corpo.” (pag 55). Il riferimento alle spose bambine di altre culture è molto centrato: anche se le protagoniste in questione sono diciottenni (ma le storie d’amore cui alludono sono durate mesi, quindi potrebbero essere iniziate che non erano neppure diciottenni), colpisce il fatto che i rispettivi seduttori approfittino di una situazione di evidente disparità fra loro e le ragazzine. Flavia Piccinni sottolinea maggiormente il tema dell’infanzia importunata o violata in un episodio a pagina 98. L’uso/abuso delle due protagoniste dei racconti è accentuato rispetto alla media, tuttavia la condizione delle donne nei rapporti normali non è tanto diversa: “Le vedove della città vecchia portano il lutto tutta la vita. Non importa quanto fossero ubriaconi e selvaggi i loro mariti, come le facessero soffrire e quante volte le avessero tradite.” (pag 19). Pure i tradizionali pranzi di famiglia, narrati a più riprese in Adesso tienimi, sono marchiati dallo stampo patriarcale, sebbene l’ultima generazione, a parole, se ne consideri fuori.
Nonostante qualche tentativo di comunicazione da parte dei genitori moderni di Martina, l’isolamento della ragazza col suo problema irrisolto, con la sua storia di abbandono e di lutto, resta costante in tutto il romanzo: “Hanno rinunciato a capirmi quando mi hai lasciato. Si sono resi conto che sarebbe stato più facile ignorarmi. Fare finta, come con gli handicappati, che vada tutto bene,” rifletterà la ragazza a pagina 28, pensando a tutti coloro, parenti e docenti, che la vedono sparire in bagno per ore senza notare nemmeno la cosa o facendo finta che non vi sia niente di strano. Entrambe le protagoniste non riescono a comunicare a nessuno il loro problema. A parlare per ognuna di loro sarà il proprio suicidio. Il suicidio diventa l’unico atto esplicativo, rivelatore. La servetta degli anni cinquanta-sessanta s’immergerà nel fiume con le spoglie del proprio bambino ucciso; la liceale violentata e sedotta dal professore inscenerà una dichiarazione al mondo di quanto successo andando a tagliarsi le vene nella casa estiva di lui, loro nido d’amore.
In Viaggio di una sconosciuta la ragazza non riesce a chiedere aiuto a nessuno per la sua gravidanza indesiderata così come non riesce a richiamare l’attenzione dei passanti per la strada quando è importunata da un altro profittatore. Il fatto-tabù di essere rimasta incinta fuori dal matrimonio non si può rivelare; da sola non riuscirà ad affrontare razionalmente la questione e quel fatto finirà per condurla alla morte. Martina di Adesso tienimi non riesce a parlare con la madre né con le compagne né con gli amici della sua relazione ambivalente con il professore. E’ vero che fin da adolescente aveva preso una china da ragazza difficile, scegliendo una giovinezza all’insegna della trasgressione con alcool, fumo e disinteresse per la scuola, ma quello stile di vita un po’ trasgressivo, comune a diversi suoi coetanei, non l’avrebbe certo portata alla morte prima dei vent’anni e magari nel tempo sarebbe rientrato o si sarebbe attenuato.
La loro storia d’amore e violenze (varie) le ha uccise: due protagoniste di racconti distanti quasi mezzo secolo, come se ben poco fosse cambiato.
Ciò non deve sorprenderci: l’ondata di dichiarazioni on-line Me Too (2017) dimostra quanto ancora ai giorni nostri siano diffusi violenza, sopraffazione e ricatti verso le donne a vari livelli.

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