giovedì 23 maggio 2019

Bruciare tutto tranne il Narratore onnisciente

Ho letto Bruciare tutto (Rizzoli, Milano 2017) di Walter Siti messa sulle sue tracce da un articolo di Matteo Marchesini, "Siti gnostico", a suo tempo pubblicato sul Foglio, adesso raccolto in Casa di carte (il Saggiatore, Milano 2019). Il romanzo ha molte frecce al suo arco, affrontando grandi temi come il senso della vita, il sentimento religioso, la perversione, il bene e il male. Non è permeato come altri romanzi di Siti dal mito dei culturisti, quindi l'ho letto con interesse. 
Al centro si svolge il dramma di un giovane che scopre in sé fin da adolescente tendenze pedofile e fa grandi sforzi per dominarle, inizialmente da solo, senza riuscirvi. Cerca rifugio nel sacerdozio, suggestionato anche dalla convinzione (psicotica?) di sentire la voce di Dio: cerca di sublimare le sue pulsioni e scontare i suoi peccati con gesti di grande altruismo, che gli guadagnano la simpatia e l'ammirazione di tanti parrocchiani. Ma la sua vita mentale è torbida, il mondo esterno, che pur lo assedia da ogni parte con richieste continue d'aiuto, non riesce a soffocare fantasie devianti, cui il succube oppone una volontà ferrea e convinzioni talvolta fanatiche e allarmanti ("non esiste una religione moderata, se è moderata non è religione" pag 123). Date le premesse, questo romanzo sarebbe adatto all'introspezione: monologhi, sogni e persino esercizi spirituali degenerati (pagg 60-63) non mancano; ma la verità è fuori ("... la verità - se mai quaggiù può esserci verità - è più fuori che dentro di noi" pag 240): il personaggio Leo e lo scrittore Walter Siti ne sono convinti, quindi vi si buttano. A descriverci un ambiente straripante di segni è dunque un Narratore forte, che tutto coglie con una sensibilità iperesercitata, dal bisbiglio di una fontana, forse voce di Dio (pag 233) ai più vari parlati sociali. Ma le persone stanno nelle loro parole?

Il Narratore extradiegetico è ancora nel pieno dei suoi poteri (o superpoteri) e può permettersi l'onniscienza (oggi come oggi sparsa a piene mani nella narrativa, come se vivessimo ancora in un mondo in cui si crede che un dio antropomorfo guardi tutto dall'alto come da un balcone o che fra esseri umani si riesca a vedere con chiarezza e distinzione cosa c'è nella testa degli altri come in una palla di vetro). Con questa scelta narrativa e metanarrativa forte si danno preavvisi al lettore su quanto succederà (pagg 24, 154, 177), si fanno appelli al personaggio (pagg 18, 168), si orchestra addirittura nell'intreccio un intervento soprannaturale, libera interpretazione del deus ex machina, qui un angelo che semina zizzania (pag 223). Confluiscono fluidamente i discorsi in terza e in prima persona, persino nello stesso periodo (pag 154), e vengono sapientemente somministrate, fra dialoghi, monologhi e indiretto libero, massicce dosi di vetero-neorealismo e di nuovo realismo linguistico che mima il parlare meticcio e sgrammaticato di migranti e bambini, anche come frasi lancinanti di discorso diretto che irrompono fra parentesi nel tessuto narrativo. I ragazzini, imbuto in cui confluisce come un torrente in piena il linguaggio mediatico, si mostrano particolarmente suggestionati dai cartoni come dai documentari più impegnati e angoscianti, dal linguaggio tecnologico come da quello pornografico, che riescono ad intercettare con grande facilità e attenzione prensile. Sono definiti impuri: "I bambini non sono puri: fanno presto a sentirsi disperati e il demone dell'angoscia è essenzialmente impuro. Sono pozze d'acqua non filtrata, ricettori di troppi stimoli per non creare corti circuiti perversi." (pag 96).
Il bambino "puro" di borgata, Massimo, poi divenuto bravo ragazzo nonostante un'infanzia devastante, è un omaggio di Siti a Pasolini, potrebbe essere un personaggio pasoliniano. Emana una certa aura d'irrealtà (perdona la madre, perdona il padre, perdona il suo stupratore, è capace d'innamorarsi; nonostante l'estrazione sottoproletaria limitrofa ad ambienti delinquenziali, è deciso a guadagnarsi da vivere lavorando), tuttavia la sua presenza non stona nel racconto. Dopotutto chi si sente di dire che la bontà non possa essere una virtù spontanea che si sviluppa nonostante tutto?
Un altro bambino-vittima, Andrea, invece ha un destino più inverosimile. E' vittima soprattutto dei contrasti violenti fra i genitori e dell'incapacità di sopperire, di "adottarlo" almeno temporaneamente, da parte delle istituzioni, la scuola piuttosto che la parrocchia; e fin qui ci siamo. A tutti è capitato d'incontrare bambini trascurati per esempio da una madre molto narcisista, da un padre stupido e ignorante, da adulti che non riescono a capire o non fanno abbastanza per colmare vuoti affettivi difficili da colmare: un po' perché la vita stessa mostra presto a chi è sensibile le sue lacune, i suoi vuoti di senso (pag 244), un po' perché nessun estraneo in genere s'improvvisa genitore o riesce abbastanza bene, in occasioni sporadiche, a farne le veci. Il gesto che non torna, a mio parere, in questo bambino immesso nel quadro di un romanzo d'impianto decisamente realista, è il suicidio. Anche l'ipotesi di Marchesini che si uccida perché sente che non esiste luogo dove si possa vivere mi pare inadeguata in relazione all'età di un bambino, che non può essere già saturo di esperienze e annoiato da tutti i luoghi (quasi una variante del motivo mallarmeano "la carne è triste, ho letto tutti i libri"). Freud sosteneva che i bambini non pensano alla morte, non si soffermano su questo pensiero con la stessa intensità di un adolescente o di un adulto; non riescono a caricare certi pensieri dell'energia libidica necessaria a creare la scena, a inventarsi e perfezionare un metodo efficace eccetera. Statisticamente il suicidio infantile è un fatto rarissimo, soprattutto diffuso in Giappone, dove tale pratica, sappiamo, ha radici culturali profonde; oppure nei campi profughi, dove le condizioni materiali e morali degli individui sono di gran lunga più pesanti da sopportare di quelle di una famiglia borghese agiata seppur conflittuale. Oppure, altra ipotesi che potrebbe essere abbastanza verosimile: l'imitazione (un bambino circondato da diverse figure parentali suicide, che s'identifica con una di queste). Una corsa sventata per la strada fra le auto in movimento in uno stato emotivo alterato: ecco, questo tipo di situazione è più probabile che si verifichi in circostanze più o meno ordinarie. Per un incidente mortale occorso ad Andrea dopo un dialogo con lui, il prete affidatario e latentemente pedofilo Leo si sarebbe sentito comunque in colpa, senza che fosse necessario il ricorso al suicidio vero e proprio di un ragazzino con tanto di lame, esecuzione perfetta e lago di sangue.
Il suicidio di Leo, questo sì è comprensibile. Disturbato, quando più avrebbe bisogno di concentrarsi su di sé, dalla babele dei linguaggi, forma espressiva di una società impenetrabile come un monolite, in cui le fenditure, gli scambi sinceri sono rari e brevi; incapace ancor più di comprendere la babele delle proprie lingue psichiche; bloccato più volte nella sua aspirazione al sacrificio da persone amiche ma conformiste, il parroco e la perpetua (i mediocri che non fanno grandi gesti ma neppure si attirano l'antipatia degli altri perché i loro peccati sono innocui, facilmente tenuti sotto controllo), si sente in colpa perché crede che il piccolo Andrea si sia ucciso per causa sua, addirittura perché non è stato al suo infantile gioco di seduzione. La motivazione ultima, la goccia che fa traboccare il vaso è decisamente assurda: un prete si ucciderebbe perché non avrebbe accontentato un bambino vagamente provocatore sul piano sessuale, respingendo malamente il suo bisogno d'affetto. Tuttavia le motivazioni a monte non mancano, per esempio un'infanzia infelice, bisogni affettivi mai colmati o presto delusi, come dalla coppia parroco-perpetua, inizialmente protettiva e sostitutiva di una famiglia ma col passare degli anni, anche a causa dei malanni dell'età, sempre più richiusa in se stessa. Le poche comunicazioni riuscite in un romanzo pieno di lingua parlata sono legate proprio al rapporto con questi due personaggi (pagg 33 e 37). Molto bello l'attimo di comprensione fra Leo e Fermo a pag 33: "Fermo era stato più cauto della perpetua, non aveva espresso giudizi sul rifiuto; l'aveva rispettato limitandosi a una frase soffiata a fior di labbra: 'Anche il nome di Dio può essere usato per chiudere i cuori...'. Com'è vero, aveva pensato Leo, questo anziano pretone conformista è più sottile di quel che credevo."
Il rapporto con l'amico Duilio, a un certo punto incrinato dalla scoperta della pedofilia di Leo, messo in crisi definitiva dalle disgrazie personali di Duilio, resta nella maggior parte dei casi collocato sul piano dello scambio intellettuale, sminuzzato in una serie di rapide battute "intelligenti" (un esempio alle pagg 66-67). Le confessioni in genere amareggiano Leo mentre le conversazioni salottiere lasciano i singoli commensali vuoti dentro e desiderosi di andarsene al più presto. Leo registra "la sensazione di essere portato fuori strada; troppo mondo, troppa esteriorità; la parrocchia non è una stazione di posta, un cacatoio dove chi vuole viene a sfogare i propri bisogni." (pag 106). E ancora: "L'esterno gli si spalanca in tutta la sua irrimediabile refrattarietà." (pag 139).
Refrattarietà e distanza non mancano neppure nel rapporto fra una madre e un figlio bambino. E' il caso di Bianca, artista in declino ma ancora molto presa da se stessa. Benché vittima a sua volta di un marito incompatibile e violento, nei confronti del figlioletto Andrea si mostra madre del tutto inadeguata, incapace di dedicare l'affetto e il tempo necessari, di difendere il figlio dalla violenza interna alla famiglia e dalla solitudine: una madre narcisista e assente che certo può arrecare gravi danni. Il personaggio è femminile (una volta in pubblico Siti dichiarò di non essere interessato ai personaggi femminili) ma Siti, in questo caso, riesce a renderlo benissimo. Una sfumatura poco convincente si può riscontrare forse soltanto in questo: che una mamma anche molto compresa nei propri interessi non voglia festeggiare il compleanno del figlio, assentandosi proprio quel giorno, e che un bambino di dieci anni, per quanto difficile, non resti attaccato alla madre nonostante tutto e preferisca morire piuttosto che lottare con tutte le sue forze per stare più tempo con lei. Il romanzo in ogni caso è pieno di rapporti coi genitori segnati da abbandoni e mancanze (Leo, Massimo e Andrea sono i casi esemplari): forse l'autore vuole dirci che alle radici dei rapporti pedofili (in questo testo sempre parzialmente consenzienti) possano esserci gravi deficit genitoriali? 
Arriviamo dunque al suicidio di Leo. Ancora nelle ultime pagine colpisce un elemento irrealistico: "Prima di svenire, Leo si è sorpreso a chiedersi 'chi è che urla?'; tanto separato da sé da non percepire come proprio il suono che gli prorompeva dalla bocca - lo spasimo violento ha scisso l'organismo in agonia e ne ha liberato una parte volatile: Leo per la prima volta si è sentito leggero e intero nello stesso tempo. Disposto a perdonare e a essere perdonato ("la dannazione è estremo omaggio"). I nervi sfrigolando hanno valicato la soglia del dolore per raggiungere un mezzo stato di estasi - un'esaltazione che ha bruciato in un istante il rancore di una vita." (pag 362). Come si fa a sapere esattamente che cosa si prova nel momento della morte? E' evidente che qui lavora la fantasia dello scrittore. Difficile però immaginare che una torcia umana con la bocca visibilmente spalancata in un grido sia in estasi. Lasciamo pure all'autore le sue fantasie; concludiamo soltanto dicendo che per essere un romanzo realista questo Bruciare tutto (che non brucia tuttavia alcune credenze che appartengono più che altro a epoche passate, come Dio, il diavolo, l'onniscienza narrativa e perfino qualche angelo, per non far torto a nessuno) contiene eclatanti momenti d'irrealtà.

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