lunedì 7 ottobre 2013

Il canto delle sirene

Sono d'accordo con Adorno della Teoria estetica: la letteratura è il canto delle sirene: l'evocazione di tutto quello cui abbiamo dovuto rinunciare nel patto sociale e negli adattamenti legati alla sopravvivenza. L'evocazione del dolore legato al disagio nella civiltà. Uno scrittore degno d'attenzione deve saper muovere l'acqua del mare, deve far udire il canto delle sirene.
Nella rilettura di Jameson, "evocando il dolore e la contraddizione di quella rimozione del sé e della natura che la dialettica dell'Illuminismo pone come prezzo dell'autoconservazione, Adorno e Horkheimer descrivono la duplice soluzione di Ulisse, la doppia e reciprocamente contraddittoria possibilità di salvezza" (Tardo marxismo, Manifestolibri, Roma 1994, pp 146-147). Ai lavoratori vengono tappate le orecchie, un po' come agli animali da soma vengono messi i paraocchi, mentre chi è dispensato dal lavoro, chi ha dei margini di tempo libero e di libertà per percepire anche ciò che sta intorno s'impone da sé, per educazione e necessità sociali, vincoli e limiti da non superare per non essere travolto. La fruizione artistica deve essere tenuta a distanza, sotto controllo. Inoltre godimento artistico e lavoro manuale si separano all'uscita dalla preistoria.

domenica 25 agosto 2013

Una recensione apparsa su Facebook: Luigi Grazioli su "Mannequins"


Dopo "Camera fissa" di MARCO ERCOLANI e "Saggi inventati" di ENRICO DE VIVO, il terzo di cui vorrei parlare è un libro di racconti di ROBERTA SALARDI: “Mannequins. Dieci fiabe sulla donna-oggetto e altri racconti”, Ed ZONA Contemporanea, Arezzo, 2013, pp. 131, E. 13,00. Avevo letto e apprezzato il precedente libro della scrittrice, “Regressioni” (Effigie, 2010), e devo dire che questo mi sembra anche migliore. Ci sono alcune cose che non mi convincono, a cominciare dal titolo a mio parere troppo esplicito, che indice sospetti di storie a tesi e di denuncia sociologica, da una parte e ambiguo dall'altra (se si pensa alla copertina con una modella che sta sfilando e al fatto che modelle non ce ne sono quasi, se si esclude quelle inconsuete del notevole racconto di apertura dove giovani donne imbalsamate vengono usate come manichini nei negozi, donne di compagnia di miti psicopatici e oggetti di collezione di un critico d'arte che le ha acquistate da un fornitore parente stretto di compari che procuravano i cadaveri in Il dottore e i diavoli di Dylan Thomas), ma non mi adeguerò al giochetto dei recensori che “sì, insomma, il libro è bello, ma discontinuo...” e altre scemenze: è ovvio che in un libro di racconti alcuni piacciano di più e altri di meno. La lettura dei racconti dipende da molti fattori, anche quelli materiali, di orario e umore, e più facili i giudizi, essendo la forma e la lettura brevi, e quindi variabili con quelle condizioni. 
Dunque Mannequins è un bel libro senza ma. Chiuso. 
Dirò allora le cose che mi piacciono. In alcune il gioco rischia di essere troppo scoperto, ma in genere l'autonomia della narrazione tiene benissimo e la trappola simbolica resta solo come efficace e non esplicito né univoco sottofondo, al pari del rischio del “voler dire”, della subordinazione magari involontaria al messaggio e al riferimento diretto alla “società” e altre simili ubbie. L'ironia è quella delle situazioni, che poi le proiettano su molti personaggi (specie quelli maschili o, se femminili, di donne legate a immagini, aspettative e ruoli dettati dall'ottica maschilista, magari volontariamente assunti per trarne vantaggio), evitando quella diretta, che diventerebbe schematica: anzi, a volte su di essi lo sguardo non manca di tenerezza. Giova all'ironia il fatto che molte storie siano narrate in prima persona dagli stessi protagonisti, che non vi vedono nulla di straordinario e anzi le riferiscono con il tono discreto e quasi sussurrato di persone timide e miti, o in quello oggettivo degli standard cronachistici, che sono autoparodici già nella realtà, come in “Zapping fatato”. Il distacco, l'astensione dal giudizio o da qualsiasi intervento di una voce autoriale, si traduce automaticamente in perfidia; lo squallore di certe situazioni, come la condivisione di valori e cliché da cui pensavamo di andare esenti, diventano i nostri, per quanto paradossali siano; la riduzione dell'empatia, che qui è metodo, si trasmette anche al lettore, che accetta lui pure come “normali”, o guarda come al resoconto di un'osservazione scientifica, anche le figure e le storie che sconfinano nel patologico o nel fantastico: come il nostro ordito quotidiano, quali difatti sono. Inquietanti ma tranquillamente plausibili, al massimo sfumate di tenue meraviglia.

lunedì 29 luglio 2013

Presentare i libri

L'autore come un morto vivente viene portato in giro da becchini giubilanti. Egli non vorrebbe rileggersi, rivedere quel passato da cui pensava di essersi staccato con la scrittura. Vorrebbe pensare ad altro, andare avanti. Invece viene costretto a riparlarne, a rileggersi, a soppesare ogni parola. L'autore dovrebbe solo poter dire: "Ho scritto. E' stato un esperimento. Vedete voi."
Forse le presentazioni servono per stancarsi di se stessi, per avere la nausea e passare presto ad altro.

domenica 16 giugno 2013

Vetrine tutte al maschile

In diverse occasioni recenti sono stata colpita da un'evidenza: il tavolo dei relatori di eventi culturali certamente considerati di sinistra, antagonistici o comunque politically correct  era tutto al maschile, senza l’ombra neppure di una donna. Mi si è offerta così banalmente l'occasione di constatare un dato molto reale, molto significativo, lampante. In più, con una punta di dispiacere, si poteva rilevare quanto la cosa apparisse normale, di nessun particolare significato, tanto da non essere minimamente camuffata.
Ecco gli esempi che mi sono capitati sotto gli occhi nella metropoli milanese.
Teatro 1, sabato 23 marzo 2013 ore 15.00: festa di Nazione indiana e del Primo amore, “dieci anni fuori dalla pozzanghera. Fare rete, fare blog”. Intervengono Mario De Santis, Gianni Biondillo, Jan Reister, Sergio Baratto, Giuseppe Zucco. Si tratta soltanto di uno dei dibattiti interni alla manifestazione, ma tant’è.
Piazzale Archinto, domenica 26 maggio 2013 ore 18.00: “festival della libreria diffusa”. Sul tema della città in trasformazione intervengono Gianni Biondillo, Giorgio Fontana, Paolo Cognetti, Francesco Bianconi, Fabio Pravettoni, Marco Garofalo; moderatore Paolo Maggioni.
Macao, spazio occupato per le arti e la cultura, sabato 15 giugno 2013 ore 15.00: tavola rotonda su “scelte editoriali e immaginari culturali alla prova del mercato”. Intervengono Pino Tripodi, Andrea Staid, Federico Di Vita, Paolo Canton, Guido Duiella, Massimo Roccaforte, Marco Cassini; moderatore Andrea Coccia.
Non nego che i tavoli fossero interessanti; non è questione di contenuti ma di soggetti deputati a parlare. A chi è data la voce? Per chi è lo spazio della cultura, che va sempre più restringendosi in tempi di crisi?
Fino a pochi anni fa nei dibattiti, negli interventi pubblici, inserivano almeno una presenza femminile per salvare le forme, anche se alcune volte compariva solo come elemento estetico-decorativo.

venerdì 7 giugno 2013

Una poesia di Giacomo Sandron

discorso sul costo delle parole

non ricordo la prima parola che ho detto
ma la prima poesia era su uno stambecco
che si arrampicava in montagna
e poi mi chiedevo come mai la marmellata
si chiamasse proprio marmellata
e non con un’altra parola tipo paracarro
e perché paracarro indicasse effettivamente un paracarro
e non un’altra cosa tipo il latte con dentro i biscotti
e allora prima di andare a scuola alla mattina
ho cominciato a mangiare una cosa diversa
ogni giorno
un albero, una tigre, mio fratello,
la signora che ci faceva catechismo al pomeriggio
inzuppando i pan di stelle
ho mangiato perfino i pianeti, le scie degli aerei,
l’universo tutto
dentro la tazza si è sciolto

ho ripensato a queste cose quando ho letto
un articolo dal titolo Quanto costa una parola?
e l’autore, un pubblicitario che lavora da più di quarant’anni
nel marketing e nella comunicazione, scriveva
Tutte le cose che hanno un valore hanno un costo.
I professionisti della comunicazione dovrebbero sapere
quanto costano le parole, ma non lo sanno.
e poi aggiungeva che
Proprio oggi che la comunicazione sta assumendo
toni e livelli parossistici, non esiste nessuno studio
che stabilisca in dettaglio
suddiviso per contesto
il costo delle parole
e siccome è un periodo che non sto lavorando
e passo un sacco di tempo su facebook
come professionista della comunicazione
sto facendo passi da gigante
e mi sono sentito chiamato in causa dalla questione

lunedì 3 giugno 2013

Semi


Con la bella stagione riapre il giardino del centro occupato per l’arte e la cultura di viale Molise a Milano, affascinante struttura in stile liberty nel primo Novecento adibita a borsa del macello comunale, poi abbandonata e caduta in disuso. I giovani occupanti, dopo averla messa in ordine e aperta alla cittadinanza con tantissimo lavoro e buona volontà, in un anno hanno già ospitato numerosi incontri e dibattiti interessanti, come quello sul reddito minimo garantito, organizzato con l’associazione San Precario, o il seminario dello scorso autunno su arte e follia; mentre vari artisti si sono esibiti gratuitamente e hanno messo a disposizione la loro preparazione in laboratori anch’essi gratuiti. In una città in cui per presentare il proprio lavoro occorre il più delle volte essere già "introdotti" nei vari ambienti e in cui affittare le sale può comportare una non modica spesa, non è poco trovare un luogo che pare seguire una logica completamente opposta.
Per festeggiare l’esistenza di tutto questo, così come il ritorno della primavera, la sera del 31 maggio scorso è stata dedicata a un evento di musica, immagini, poesia e danza moderna che ha coinvolto artisti di diverse discipline.



Su una scena installata dall’artista multimediale Malcolm Fisher, hanno letto alcune poesie: Giacomo Sandron, Francesca Genti, Paolo Gentiluomo, Manuela Dago, Luciano Mondini, Luca Vaglio, Alessandra Racca, Eleonora Esposito, Laura Bellomi. A intervalli, ora una singola danzatrice (Tibi) ora un gruppo di danzatori del tavolo teatro di Macao attraversava lo spazio trasformato in un bosco, giocava con le immagini proiettate o imitava lo scorrere delle gocce di pioggia.
Qui di seguito, alcune delle composizioni che sono state lette:

mercoledì 22 maggio 2013

bio in spiccioli: della serie "Vilma dammi la clava!"

Ho incontrato anch'io un primitivo per la città, uno di quelli animati da un gran desiderio di colpire le persone a sprangate. Questo era un mio concittadino italiano, italianissimo, circondato da miei concittadini italiani, italianissimi, per la maggioranza a quanto pare solidali con lui. Mi trovavo in piazza Bottini davanti alla stazione di Lambrate a Milano lunedì 13 maggio 2013. Questo primitivo aveva parcheggiato la sua auto in divieto di sosta proprio davanti alla fermata del filobus 93 e di vari autobus, a motore acceso, cosa ovvia dal momento che la moglie era scesa a comprare la pizza al bar di fronte e sarebbe tornata in un attimo. Intanto che lei aspettava in coda per comprare la pizza, i molti che stavano attendendo l'autobus come me dovevano respirare il gas di scarico dell'auto del marito accesa e sul punto di sprintare non appena lei avesse finalmente acquistato il prezioso trancio. Passando i minuti, gli ho chiesto se, per favore, poteva spegnere il motore. La macchina a mio parere poteva benissimo restare in divieto di sosta; non era puntiglio né fanatismo della norma quello che mi animava. Ci tenevo soltanto a respirare. Lui ha fatto spallucce e ha appena bofonchiato: "Adesso, tra poco...". Ho ripetuto diverse volte la richiesta, ma sempre con il medesimo risultato. I minuti passavano ma né arrivava l'autobus né la moglie con la pizza accennava a uscire dalla pizzeria. Ero già nervosa e la sua indifferenza mi ha innervosito ancora di più. Per esprimere in modo più chiaro la mia esigenza, ho dato due calci a una ruota posteriore del suo veicolo; portavo scarpe di gomma che naturalmente non hanno lasciato alcun segno. Il gesto stava solo ad indicare più esplicitamente: vattene!, visto che con le domande cortesi non si muoveva foglia. La moglie nel frattempo è uscita finalmente con i due tranci di pizza fumanti ma non è entrata subito nell'abitacolo; cincischiavano e mi dicevano di aspettare ancora un po'. Ormai esasperata, ho continuato a dare calci alla parte posteriore dell'auto, senza comunque lasciare segni. Allora la grande idea! Ha aperto il cofano della sua amatissima vettura e ne ha tratto una stampella di metallo, minacciando apertamente di colpirmi davanti a tutti. L'ha alzata per ben due volte su di me, mentre io l'avvisavo: "Guarda che se mi colpisci vai in galera". Nessuno diceva niente così, pensando non ci fosse più nulla da fare, gridavo: "Prendetegli la targa, almeno segnate la targa!". Niente, nessuna reazione da parte della folla circostante. Vedendo che forse non gli conveniva di fronte a una vasta platea colpirmi troppo violentemente, si è infine limitato a sputarmi in faccia, pensando fosse una cosa più semplice e priva di conseguenze.
In quel momento per fortuna sono passati dei carabinieri che hanno fermato tutto, hanno chiesto i documenti e dopo alcune bugie e farfugliamenti, hanno fatto sì che quella sgradevolissima scena s'interrompesse. Non prima però che due astanti esprimessero il loro pieno sostegno morale all'automobilista in sosta vietata che mi aveva minacciata con una specie di spranga poiché semplicemente gli avevo chiesto di spegnere il motore a veicolo fermo. I due testimoni, un uomo e una donna, hanno affermato con veemenza e assoluta sicurezza che non si poteva aggredire un'auto in quel modo!
L'ho sempre detto che l'Italia è una repubblica fondata sulle automobili.


mercoledì 1 maggio 2013

Edifici di parole

E' faticoso costruire edifici di parole, renderli abitabili per dei personaggi, far sì che i luoghi inventati siano visitabili, frequentabili.

venerdì 12 aprile 2013

Arte e fallimento

Essere un artista significa fallire come nessun altro osa fallire (...) So che ora (...) occorre fare di questa sottomissione, di questa ammissione, di questa fedeltà al fallimento, una nuova occasione, un nuovo termine di rapporto e dell'atto che egli (l'artista) compie, incapace di agire, obbligato ad agire, fare un atto espressivo, anche se espressivo solo dell'atto stesso, della sua impossibilità, del suo obbligo.

Samuel Beckett, Disiecta, Egea, Milano 1991

domenica 31 marzo 2013

Altri libri in fiamme


Il forte calore ha incollato parte delle pagine, alcuni volumi si presentano come mattoncini di carta compattata, dalla copertina plastificata mezza fusa. I risvolti di copertina sono saldati ad alcuni fogli, i margini sono carbonizzati ed emettono un odore acre.
Per un doppio salvataggio, materiale e simbolico, trascrivo qui alcuni passi di volumi andati a fuoco nella cantina-magazzino dell'editore Giovannetti, incendio cui ho già fatto riferimento nell'articolo "La trilogia in fiamme".
Dario Lanzardo, nell'Ombra della Gulfstream (Effigie 2010) racconta un'allegria di naufragi da cui si possono salvare anche bambini nella culla, marinai malinconici diventati folli per la troppa solitudine, un singolare assedio di cavallette in mare aperto, traffico d'armi e d'oro su imbarcazioni che battono bandiere ombra, morti che scivolano silenziosamente in mare. E' ­­­la solitudine uno dei temi più interessanti del libro, solitudine o nostalgia per le quali si può anche impazzire oppure per le quali si può entrare in una più profonda intesa col mondo animale. Durante la risalita del corso dell'Orinoco si crea la convivenza fra un marinaio e una scimmietta. Questi, "memore della sua passione giovanile per i film di Tarzan, cominciò a darle un'identità chiamandola con il nome di Cita. Le parlò nominando le cose che toccava e che sembravano interessarla maggiormente. Un giorno le raccontò qualche episodio delle sue avventure scoprendo il piacere di ascoltare la propria voce evocare fatti realmente accaduti o sognati. Le parlò di Beppe e dell'amicizia, di Pinto e del tradimento, della rivoluzione che avrebbe riportato gli uomini ad amare la natura e della donna che gli aveva fatto tremare i polsi; le descrisse il Porto delle nuvole dove non sarebbe più tornato. Non aveva mai parlato con tanta facilità come di fronte al piccolo primate che, per qualche gesto della mano o particolari luccichii degli occhi, sembrava capirlo. Quando poi la scimmietta si addormentava sulla stuoia che fungeva da scendiletto o sul cuscino sopra la sedia, Tullio s'inteneriva come un padre di fronte al sonno della sua bimba." (p 86).