Perché ho intervistato e mi sono occupata in diverse occasioni di due autori
arrivati fino a tarda età pressoché ignorati nelle vesti di prosatori, come
Luigi Di Ruscio* e Mariano Bargellini*? Perché mi sono parsi subito degni di
nota, fin da quando mi sono imbattuta nei loro testi. In quest'epoca di restaurazione mi è parso più interessante valorizzare autori estremisti, forse eccessivi nel loro anticonformismo, piuttosto che l'aurea mediocritas.
Luigi Di Ruscio per i suoi romanzi
assai poco romanzeschi, secondo le
sue stesse parole: per le sue iscrizioni o historiae
del presente esposte in forma trasgressiva, volutamente sgrammaticata e
portatrice della voce degli oppressi.
Mariano Bargellini per gli aspetti
immaginativo e linguistico propri del suo stile. L’immaginazione è ricca e
ampiamente sviluppata nei suoi romanzi e racconti, ritenendosi l’autore stesso erede
del genere fantastico (o della fantascienza italiana alla Landolfi). L’aspetto
linguistico è quello che meriterebbe maggiore attenzione poiché è complesso,
dichiaratamente barocco o neobarocco che dir si voglia, tuttavia applicato a
materiali persino ultramoderni a volte, comunque strettamente imparentati con la
nostra vita ora e qui. Si crea dunque un contrasto interessante nell’accostamento
fra la ricerca e la parziale riproduzione dell’italiano ricco e sonante della tradizione
più illustre (fra i maestri: Leopardi, Manganelli, vari autori del Seicento) e
alcuni caratteri della contemporaneità come la realtà virtuale, i media e così
via.