giovedì 23 febbraio 2012

Una tartaruga

Brano tratto da un romanzo inedito di Giovanni Chiara

Spioveva. Le ultime gocce cadevano cerchiando pozzanghere quasi placate. Stefano camminava da una ventina di minuti lungo la banchina, le scarpe impregnate d’acqua, i pantaloni fradici dal ginocchio in giù. Attraversava la piazza e saliva oltre le ultime case, per ridiscendere e portarsi fino all’attracco del piroscafo, sotto le mura del penitenziario, nell’aria umida del mare e negli aghi di freddo che attraversavano gli abiti per toccargli le ossa. Aspettava. A tratti guardava nel nero che stava soffocando la baia. Quando smise del tutto di piovere chiuse l’ombrello, lo scrollò mandando un ventaglio di gocce a rompere le altre che brillavano sopra le piante di una fioriera. Le luci dei lampioni, fredde, facevano piccole quelle dei negozi e delle insegne, e smorzate le poche che doravano le finestre delle case; e facevano più scuro il mare, candida la schiuma che si perdeva nella sabbia della spiaggia, sotto la piazza. 

Giocare con le figurine

Continuo a vedere molti romanzi narrati in terza persona, nonostante la crisi in cui dovrebbe essere caduto il narratore onnisciente. Mi sembra un giocare con le figurine... Non voler portare tutto il peso di una mente umana.

martedì 21 febbraio 2012

Specchio delle mie trame...

Le mie trame sono labili, forse psicolabili...

venerdì 17 febbraio 2012

L'explicit

"Un'altra forma di explicit che la narrativa del secondo Ottocento sperimenta e trasmette alla letteratura modernista è il finale rapido, aperto o tirato via. Il precursore di questa tecnica è Stendhal. Nella seconda metà del secolo, il processo di destrutturazione dei finali si intensifica e anticipa le soluzioni del primo Novecento. Virginia Woolf ammirava le chiuse inconcludenti e casuali di Cèchov, giudicandole più vicine alla vita degli explicit classicamente ottocenteschi, sigillati da quei fatti assoluti che la realtà di solito non offre."

Da Guido Mazzoni, Teoria del romanzo, Il Mulino, Bologna 2011, p 320

martedì 7 febbraio 2012

Uomini perduti nello spazio


Tommaso Landolfi, Cancroregina (Adelphi, Milano 1993)
Tommaso Pincio, Lo spazio sfinito (Fanucci, Roma 2000)
Enrique Vila-Matas, Esploratori dell'abisso (Feltrinelli, Milano 2011)

E' stato osservato di recente da Alfonso Berardinelli che precursore dello Spazio sfinito di Tommaso Pincio avrebbe potuto essere il Landolfi di Cancroregina, se solo fosse stato conosciuto allora dall'autore, che invece non l'aveva letto. Avrebbe potuto trattarsi in effetti di una proficua influenza. Sia in quella che è considerata una delle prime opere di fantascienza italiana sia nel romanzo uscito per Fanucci nel 2000 cogliamo la medesima sventura dello smarrimento nello spazio. In entrambi l'aspetto propriamente fantascientifico è irrilevante: l'interesse per le innovazioni tecnologiche o per l'incontro con altre forme di vita nell'universo, nullo. L'astronave che va alla deriva e si perde è più che altro un pretesto per parlare della condizione umana. Con una sostanziale differenza.
Nel lungo racconto di Landolfi prevale un interesse psicologico. Lo spazio più sconosciuto e inquietante si rivela quello della mente.
Riprendo qui osservazioni già presenti su questo blog in un articolo dal titolo “Primo Novecento dimenticato”. Scritto da Tommaso Landolfi nel 1949, dapprima pubblicato su rivista, poi in volume da Vallecchi nel 1950, Canrcroregina pare tragga interesse e nutrimento più che altro dai risvolti surreali che il genere fantascientifico consente.

venerdì 3 febbraio 2012

Aurea mediocritas

La mediocrità piace. Perché? Una delle risposte più semplici è questa: perché è aproblematica. Prendiamo per esempio il minisuccesso (mini perché la casa editrice è piccola) di Seventy sex (Transeuropa 2011). Più che un libro trattasi di una "macchinetta di marketing": autrice inventata, quiz fasullo sull'identità dell'autrice che accompagna il lancio, presentazione a Canale 5 intorno al quiz più che al libro, promesse contenute nel nome e nel titolo ampiamente deluse... Sì perché nel titolo si allude a temi scottanti: i tormentati anni settanta e l'erotismo, un bel condensato di complessità, insomma. Invece sugli anni di piombo si glissa alla grande e sulle ambivalenze dell'eros tanto di più, dal momento che è trattato come acqua fresca. Per non parlare poi dello stile: lo pseudonimo alluderebbe addirittura a Joyce... Scavalcate quindi a pie' pari tutte le possibili problematiche vagamente accennate, ci si libra in un bel lancio da talk show, che porterà magari fortuna.